4.6. «NotyourMomma’s Instagram» – Decolonizzazione dell’immaginario e attivismo delle donne nere

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Fin dalla sua fondazione nel 2013 da parte di tre attiviste, il movimento Black Lives Matter ha visto la capacità organizzativa e comunicativa delle donne al centro di un’onda che oggi riempie le piazze di tutto il mondo. Molte delle immagini che hanno ampiamente circolato durante le recenti proteste, dentro e fuori la rete, avevano la stessa origine: provengono dal flusso di Instagram, create proprio da artiste e illustratrici già attive da tempo sulla piattaforma. Dalle illustrazioni colorate di Laci Jordan (https://www.instagram.com/solacilike/) e Naimah Thomas

(https://www.instagram.com/naimah_creates/) dedicate alle vittime, ai poster queer diUnapologetic Street Series (https://www.instagram.com/theunapologeticstreetseries/) [fig. 1], alle visualizzazioni di dati con protagoniste donne nere di Mona Chalabi (https://www.instagram.com/monachalabi/).

Come sottolinea Victoria Esteves, è ormai innegabile che questo tipo di immagini – e gli immaginari che le sottendono – abbiano ormai travalicato i confini del web per entrare a pieno titolo nel discorso pubblico.

Alcune di queste donne sono artiste più ‘tradizionali’, altre artiste ‘digitali’, alcune sono streetartist, altre sono giornaliste, altre ancora grafiche e designer. Quello che le accomuna è l’aver scelto questa piattaforma per sperimentare un linguaggio visuale nuovo, e anche un nuovo tipo di connessione tra di loro e con il pubblico. E averlo fatto a partire da un sentire comune: la necessità di presa di parola e di creazione di un immaginario in cui l’identità e la lotta politica delle donne nere, fossero, finalmente, al centro, insieme ai loro corpi.

Instagram si trova, dunque, al centro di un artivismo cyberfemminista che sta lentamente guadagnando terreno simbolico, tanto più significativo se a generarlo è un gruppo eterogeneo di donne nere.

Le connessioni tra queste figure, spesso sganciate da una gerarchia binaria tra artiste/non artiste, giovani/adulte, attiviste/non attiviste, sono al centro di un flusso che scardina le logiche di produzione e fruizione che conoscevamo: queste immagini – e le donne che le creano – convivono nel medesimo spazio e alimentano la stessa culturale visuale. La tessitura di reti politiche e affettive è l’elemento normalmente trascurato nelle esplorazioni condotte sulle pratiche di attivismo attraverso i social network, compreso quello di stampo esplicitamente femminista. Eppure, come sostiene Fotopoulou, riprendendo Tiziana Terranova, la dimensione politica e innovativa di questi mezzi non risiede soltanto nei significati e nelle rappresentazioni, ma occorre concentrarci maggiormente sugli incontri e le relazioni sociali attraverso cui riconfigurare lo spazio d’azione di queste pratiche, soprattutto quando a metterle in atto sono soggettività marginalizzate, che nel nostro caso abbracciano più intersezioni di oppressione.

Proponiamo qui una breve panoramica di alcune di queste nuove protagoniste dell’immaginario visuale, concentrandoci su alcuni elementi paradigmatici del loro agire: la narrazione della storia e l’ibridazione di linguaggi.

 

 

1. Not your momma’s history – Ci sono persone nere nel passato

Così Cheyney Mc Knight ha intitolato il suo progetto di re-interpretazione storica, Not Your Momma’s History, declinato tra Instagram (https://www.instagram.com/notyourmommashistory/), YouTube, workshop e performance di guerrilla art nello spazio pubblico, in cui impersona varie personagge storiche del Diciottesimo e Diciannovesimo secolo (soprattutto schiave), ricostruendo anche oggetti, vestiti e ambienti in maniera filologica. Attraverso il suo corpo, quindi, dà nuova vita a soggettività che la storia (bianca) ha ignorato, oppresso e invisibilizzato per secoli, dando nuova dignità e materialità a un passato di cui le donne hanno fatto ampiamente parte, mettendole in connessione con l’oggi [fig. 2].

È particolarmente interessante notare come il passato che si crede lontano da una piattaforma che sembra perennemente schiacciata sul qui e ora, sia una parte così integrante di questo immaginario. Eppure, proprio per la radicale mancanza di riconoscimento del passato delle comunità nere, e della invisibilizzazione in particolare delle donne, parte di questo flusso è impegnato proprio nel riportare a galla un sommerso di vita, volti, esperienze.

È questo il caso di altri progetti come Race Women (https://www.instagram.com/race_women/) o Black WomenRadicals (https://www.instagram.com/blackwomenradicals/) la cui missione è usare Instagram e il suo potenziale di diffusione di contenuti gratuiti per raccontare storie in cui le donne nere non sono solo oggetti ma anche soggetti. Lo stesso accade con Black Archives (https://www.instagram.com/blackarchives.co/), progetto multimediale curato da Renata Cherlise che consiste nell’aggregazione e collezione di immagini riguardanti la vita quotidiana delle comunità nere cancellate dalle narrazioni mainstream.

Il passato, e le storture sistemiche di razzismo, schiavismo e colonialismo, sono onnipresenti: quello che è stato rimosso o colpevolmente ignorato, sminuito e cancellato ritorna prepotentemente a galla in immagini che mettono al centro l’esperienza nera e le oppressioni sistemiche che le danno forma.

Su questo tema, il lavoro più sorprendente è forse quello di Fabiola Jean-Louis (https://www.instagram.com/fabiolajeanlouis/), che da tempo condivide le opere del suo progetto RewritingHistory anche su Instagram. Si tratta di una serie di sculture di carta che riproducono abiti e scarpe dal Quindicesimo al Diciottesimo secolo, spesso ispirati ai grandi maestri dell’arte europea e di stampe fotografiche che raffigurano modelle nere che indossano gli abiti di carta, catturate in pose e ambienti ispirati agli stessi quadri. A un occhio più attento, tuttavia, non sfuggono i dettagli che Jean-Louis dissemina nelle fotografie, e negli abiti. Case di bambola in cui troviamo schiavi e schiavisti. Un uomo impiccato dopo il linciaggio all’interno di un corsetto. I segni delle frustate ricamati sulla schiena [fig. 3]. Le personagge messe in scena sono regali e potenti, sono le protagoniste di una storia che non è stata, simbolo di un sogno di libertà futura, ma circondata dalla violenza del passato. La surreale fragilità e potenza delle sue opere, in particolare i dettagli più riconoscibili della storia coloniale e dello schiavismo, sono visti e condivisi da migliaia di utenti.

 

2. Paper, stitches, collages, slide show – Sperimentare nuovi linguaggi

La ricchezza di questa rete sta anche nella pluralità di linguaggi proposti, e nella possibilità fornita dal mezzo di ibridare tecniche artistiche più tradizionali con altre che potremmo definire native del mezzo.

In particolare, sono tante le artiste che scelgono di utilizzare Instagram come canale di divulgazione e circolazione delle loro opere, sfruttando la possibilità di mostrare a chi guarda dettagli ed elementi che potrebbero sfuggire in altre situazioni espositive e che invece ben si adattano agli stilemi visivi ‘quadrati’ di Instragram, come nel caso di Jean-Louis. Si tratta di pittrici, come Kenturah Davis (https://www.instagram.com/kenturah/) o Amy Sherald (https://www.instagram.com/asherald/) [fig. 4], o artiste che prediligono il collage, come Lorna Simpson (https://www.instagram.com/lornasimpson) e Deborah E. Roberts (https://www.instagram.com/rdeborah191/) che si mescolano alla remix culture del web, come quella dei collage digitali di Unapologetic Street Series dedicati alle ‘divinità’ politiche contemporanee [fig. 5] . Di grande successo anche altre pratiche care all’artivismoDIY, come il ricamo a tematica politica di EboniHogan (https://www.instagram.com/the_wreckshop/). Un suo lavoro recente, nel suo stile colorato e pop, raffigura una donna di spalle, con abiti che la identificano come schiava, che dà fuoco a una villa bianca, le fiamme rosse accese dominano la composizione[fig. 6].

L’impatto forse maggiore in termini di circolazione, tuttavia, spetta alle illustrazioni e grafiche digitali che sfruttano due elementi ‘tipici’ dell’immaginario di Instagram: i colori pastello opachi e il format delle slideshow, ovvero la possibilità di caricare 10 foto che l’utente può visionare in maniera sequenziale.

Sono moltissime le applicazioni di entrambe le scelte estetico-formali, ad esempio nelle grafiche di Danielle Coke (https://www.instagram.com/ohhappydani/), Morgan Harper Nicholls (https://www.instagram.com/morganharpernichols/) e Mona Chalabi. Quest’ultima, in particolare, è diventata nota per la modalità innovativa con cui sfrutta il meccanismo della slideshow per le sue infografiche, usandole come device visuale e narrativo [fig.7].

Lungi dal rappresentare un terreno sicuro e liberato, Instagram si è tuttavia rivelato uno spazio di possibilità per le soggettività più invisibilizzate, uno spazio di sperimentazione e crescita, uno spazio di incontro e mescolamento, uno spazio che ha accompagnato l’azione politica in mesi difficili e complessi.

Come grida da grandi cartelloni pubblicitari l’artista Alisha B. Wormsley, There are Black People in the Future, ci sono persone nere nel futuro [fig. 8]. Anche Wormsley usa la piattaforma (https://www.instagram.com/alishabwormsley/) per diffondere il suo lavoro interdisciplinare di arte pubblica, un progetto afro-futurista il cui scopo è inscrivere le storie e i corpi delle persone nere negli spazi quotidiani, pubblici e nel futuro, un futuro di cui non solo faranno parte, ma della cui forma saranno anche autrici e creatrici.

L’immaginario materiale e immateriale di Instagram è, a nostro avviso, un tassello di questo atto di creazione del futuro.

 

Bibliografia

A. Fotopoulou, Feminist Activism and Digital Networks: Between Empowerment and Vulnerability, London, Palgrave Macmillan, 2016.

V. Esteves, ‘I Can Haz Rights? Online Memes as Digital Embodiment of Craft(Ivism)’, in M. Graham (ed.), The Routledge Companion to Media and Activism, London, Routledge, 2018, pp. 187-204.