5.4. Interni d’amore. Il paesaggio calabrese di Mario Gallo

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  • 'Paesaggi di vita'. Mito e racconto nel cinema documentario italiano (1948-1968) →
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Mario Gallo, produttore di alcuni film importanti del cinema italiano e autore di preziosi documentari sul sud Italia, nei suoi 9 cortometraggi girati a Rovito (un comune in provincia di Cosenza) tratta il tema del gioco, della festa e dell’amore (Matrimonio segreto, Dichiarazione d’amore, e Una storia d’amore); cioè, sempre, una dinamica ludica alla base dell’intreccio. Nello scritto si cerca di mostrare poi come nella dinamica dell’incontro amoroso raccontata da Gallo, è presente sempre una doppia articolazione tra gli interni domestici dove l’incontro amoroso non è dato, è impossibile o interdetto e il paesaggio esterno, naturale, dove invece l’incontro amoroso trova terreno fertile per la propria realizzazione e manifestazione. .

Mario Gallo, producer of some important films of Italian cinema and author of precious documentaries on southern Italy, in his 9 short films shot in Rovito (a municipality in the province of Cosenza) deals with the themes of play, celebration and love (Matrimonio segreto, Dichiarazione d’amore, e Una storia d’amore); that is, always, a playful dynamic at the basis of the plot. In the paper we then try to show how in the dynamics of the love encounter told by Gallo, there is always a double articulation between the domestic interiors where the love encounter is not given, is impossible or forbidden and the external, natural landscape, where instead the love encounter finds fertile ground for its realization and manifestation.

 
Non apprezzavo il modo in cui la cinematografia trattava la Calabria, forse mi sbagliavo ma ero fortemente convinto che vi era un forte divario tra le rappresentazioni della realtà e la realtà. Decisi di girare alcuni aspetti del mondo contadino per un problema di giustizia sociale, perché era un mondo di fame e di miseria, perché era il mondo della mia infanzia, ma anche e soprattutto perché era un mondo di incontri poetici (Gallo 1992, p. 150).

Così Mario Gallo, produttore di alcune importanti pellicole del cinema italiano e autore, tra gli altri, di preziosi documentari girati nella sua terra d’origine (il comune di Rovito, in provincia di Cosenza), dichiara a proposito della sua poetica che, come spesso accade, riesce a eludere le intenzioni stesse dei propri autori. Gallo, infatti, parte sì da un intento di denuncia, dal voler raccontare le condizioni di miseria, sfruttamento e disoccupazione della Calabria degli anni Cinquanta-Sessanta, ma poi finisce per sublimare quell’esperienza restituendo della Calabria un’immagine poetica, fatta soprattutto da incontri d’amore.

Partiamo quindi dall’evidenziare, come già rilevato in altra sede (Tucci 2023), che in Mario Gallo il paesaggio non è, come in altri autori a lui contemporanei, funzionale per trattare tematiche come quella del lavoro, molto diffusa negli anni in questione; al contrario Gallo è interessato alle dinamiche ludiche: il tema del gioco (Michelino, 1957; Sabato sera, 1959), della festa (Farsa di Carnevale, 1957; Il mago, 1959), dell’incontro amoroso (Matrimonio segreto, 1958; Dichiarazione d’amore, 1961 e Una storia d’amore, 1965). In questo saggio ci concentreremo proprio su questi tre film, richiamando questioni già trattate ma nel tentativo di fare un passo avanti nella nostra ricerca sull’autore. Per far questo, mostreremo come, nella dinamica dell’incontro amoroso raccontata da Gallo, sia presente sempre una doppia articolazione tra gli interni domestici dove l’incontro amoroso non è dato, è impossibile o interdetto, e il paesaggio esterno, naturale, dove invece esso trova terreno fertile per la propria realizzazione e manifestazione, nel contesto di una prassi che attraversa in vari modi il cinema meridiano (Gaudiosi 2021; Sainati, Federico 2023). Vediamo ad esempio cosa avviene nel primo caso di studio.

 

1. Matrimonio segreto

 

 

Il nostro amore è fedele

come l’albero alla terra

con te avrà due speranze

e quattro braccia.

 

 

Matrimonio segreto è la storia di due ragazzi che vogliono sposarsi e che, per poterlo fare, ricorrono alla cosiddetta fuitina, come spiega il commento parlato all’inizio del film:

Ancora oggi in alcune zone dell’Italia meridionale si ricorre al matrimonio segreto. Quando le famiglie dei fidanzati non vanno d’accordo o i due giovani hanno fretta o non possono pagare un pranzo di nozze. I promessi sposi trascorrono la notte in una capanna, la mattina seguente ritornano in paese, chiedono perdono ai genitori e l’episodio si conclude in chiesa. Ma l’avvenimento è lo specchio di una particolare condizione umana e sociale.

A inizio corto vediamo infatti una ragazza che attraversa piuttosto intimorita le strade di un paese pressoché disabitato per recarsi in un negozio di generi alimentari a comprare il formaggio; poi torna a casa e prepara l’occorrente per un pranzo a sacco: il pane, il vino, in ultimo il rosario. Testimoni silenziosi dei preparativi sono un gatto e l’anziano padre della ragazza seduto davanti al camino [fig. 1]. Capiamo che il padre, sofferente, è complice di quanto sta per avvenire: è lui che aveva scritto su un quadernino cosa comprare al negozio, è lui che dà alla figlia il cappotto prima che la ragazza gli baci la mano per poi uscire di casa.

Da questo momento in poi la narrazione si sposta all’esterno, nel bosco dove i due giovani hanno appuntamento per la loro fuitina. La macchina da presa segue la ragazza che si dirige frettolosamente nel bosco, con la musica che incalza finché questa si siede a terra e inizia a piangere. È qui che assistiamo a un movimento di camera molto espressivo: mentre la donna piange, infatti, c’è un’inquadratura dal basso degli alberi del bosco che non è una soggettiva, perché non è la donna che guarda la selva essendo questa con la testa china sulle gambe, ma è il regista che anziché soffermarsi sul primo piano della donna si rivolge al paesaggio per esprimere lo stato d’angoscia della protagonista [fig. 2]. Il paesaggio diventa un catalizzatore di emozioni, grazie anche all’effetto patetizzante della musica che, come nelle altre opere di Gallo, è affidata a Egisto Macchi.

Passata questa climax, la musica si distende, e Gallo ritorna a ridosso dei ragazzi per inquadrarli da vicino mentre consumano il loro picnic. A fine pranzo, però, ecco che lo sguardo dell’autore si allunga di nuovo sul paesaggio: gli amanti diventano due esili figure rispetto alla maestosità degli alberi, la musica si incupisce nuovamente, i due si dirigono verso una casetta. Ed è sulla soglia di questa casa che, mentre l’uomo fuma una sigaretta, la donna si sistema la collana sul vestito e finalmente si toglie il velo nero sulla testa che, in un’immagine riflessa allo specchio, aveva sistemato in una delle inquadrature iniziali, lasciando ora cadere sulle spalle i capelli sciolti; lui le sorride e finalmente incontra anche il sorriso della ragazza. La macchina da presa non si spinge mai all’interno delle mura domestiche, è sulla soglia della porta, in controluce rispetto allo sfondo degli alberi, in un paesaggio tutto naturale, che l’incontro amoroso può finalmente avvenire: il protagonista butta la sigaretta e si avvicina alla giovane, mentre la macchina da presa si allontana e lascia che il loro scambio avvenga [fig. 3].

In questo corto la denuncia degli effetti della fuitina, tramite il racconto della pratica dell’obbligo del matrimonio per poter stare insieme, è inserita in un discorso narrativo molto formalizzato, come emerge anche dall’inquadratura finale dei due amanti, incorniciati vicino la casa come in quadro dai tratti fiamminghi. La critica sociale si fa più marcata, invece, nel secondo testo dedicato alla dimensione amorosa.

 

2. Una storia d’amore

 

 

Io cerco pure di non incontrarlo ma siamo vicini di casa.

La nostra campagna confina con la sua.

Lui dice che tutto quello che facciamo non è peccato […].

Vogliamo avere una casa nostra e una famiglia

e quando ci incontriamo siamo contenti.

 

 

In Una storia d’amore l’aspetto ludico-amoroso torna a misurarsi con il paesaggio calabrese e la formalizzazione del racconto. Come ci spiega il commento parlato a inizio film, siamo di fronte alla narrazione vera di una lettera scritta nel 1954 da una donna al senatore Luigi Renato Sansone, dopo che fu presentata in Parlamento la proposta di legge sul piccolo divorzio, con cui si voleva concedere il riconoscimento della separazione solo in casi particolari. Era possibile quando il coniuge era malato di mente, condannato a una lunga pena in carcere, scomparso senza lasciare traccia o in casi specifici, come quello della protagonista del corto Carmela, che, nella sequenza iniziale del film, entrando in casa dopo aver sbrigato qualche faccenda all’esterno, così si racconta:

Vivo con i miei suoceri. Quello che mi capita inizia dieci anni fa. Mi sposai a sedici anni e dopo sei mesi mio marito è partito in America. [...] ha trovato un’altra donna e si è sposato e tiene pure una figlia. Mia suocera dice: “Aspetta, aspetta, tu sei sempre la sua prima moglie, da te deve tornare”. E io dico ho aspettato dieci anni, non posso aspettare tutta la vita [...]. Così io ingoio pane e dolori, perché sul focolare c’è pure la fotografia di mio marito, la sua sposa e sua figlia, e tutti e tre c’hanno una faccia contenta.

La casa, emblematicamente rappresentata dal focolare domestico su cui campeggia la foto della famiglia felice del marito [fig. 4], è quindi la negazione del desiderio, sottratto dalla legge incarnata dai due ‘carcerieri’: gli interni precludono qualsiasi altro incontro amoroso, come si evince fin dalla primissima inquadratura sui titoli di testa del film, quando la ragazza guarda fuori attraverso le grate del balconcino della casa, condivisa amaramente con i vecchi suoceri che la osteggiano. L’interno è come una prigione da cui la giovane (e la narrazione) continuamente tenta di fuggire, verso la piazza per la festa del paese o nei campi per le faccende giornaliere. Questa dinamica si inserisce all’interno di una strutturazione discorsiva molto convenzionale, costituita dal montaggio alternato tra le scene corali (in cui la popolazione del paese balla in piazza durante la festa del grano) e il racconto singolare degli incontri tra Carmela e Giovanni, il ragazzo di cui è innamorata ma che non può sposare.

Ed è sempre e solo fuori che Carmela può manifestare e vivere ‘apertamente’ il suo sentimento [fig. 5]: gli incontri tra i due avvengono tutti nel paesaggio che assume i connotati di un vero e proprio ‘paesaggio del desiderio’. Emblematica è la scena della donna nell’acqua, con gli stacchi sui primi piani delle gambe scoperte e il volto desiderante di Giovanni [fig. 6].

Non solo nella casa dei suoceri, ma negli interni in generale, l’amore non trova spazio: che sia l’interno della chiesa dove si reca Giovanni («Don Peppino ascolta e dice: volere bene non è peccato, ma il matrimonio è un sacramento e solo Dio lo può spezzare»), o lo studio dell’avvocato («l’avvocato dà ragione a Giovanni ma dice tante parole e il significato è che la legge italiana non può fare niente per questi casi: se volete potete andare a vivere insieme e fare una casa vostra senza matrimonio», racconta sempre la voce fuori campo di Carmela). Ed è infatti all’interno della casa che la donna torna a piangere sconfortata quando, alla fine della festa del grano, Giovanni le dice che per loro non c’è niente da fare. Le doghe del letto, dove si sveglia il mattino, si ricongiungono alle grate del balcone della scena iniziale. La casa resta una prigione, l’amore, qui evocato dalla musica dei musicisti che continuano a suonare per strada, rimane sempre ‘fuori’, come nell’inquadratura finale.

La presenza dei molti primi piani anche nella sequenza finale ci conferma che in questo corto il paesaggio accoglie la storia dei due innamorati ma poi la narrazione si concentra sui personaggi. Qui Gallo non chiude sul paesaggio, come nel precedente Matrimonio segreto che terminava con le figure dei due innamorati solo sullo sfondo; attraverso un montaggio dal ritmo serrato, il finale concede spazio alle figure umane, irrimediabilmente coinvolte in un’impossibile ‘storia d’amore’.

 

3. Dichiarazione d’amore

 

 

L’amore povero,

dice un proverbio calabrese,

è un amore breve.

 

 

Dichiarazione d’amore è un corto strutturato in due parti che ci aiuta a mettere definitivamente a fuoco la dialettica fin qui portata alla luce: in Matrimonio segreto abbiamo assistito, infatti, a un entrare e uscire da spazi chiusi (la bottega, la casa paterna, la casa che rimane sullo sfondo nel finale) mentre in Una storia d’amore prevale un’alternanza molto marcata di scene in luoghi aperti e scene girate in interni (della casa, della chiesa, dello studio dell’avvocato); in Dichiarazione d’amore invece tutta la prima parte del corto è ambientata ‘dentro’ una casa, e tutta la seconda all’esterno, a contatto col paesaggio. Per di più, la netta cesura tra le due sezioni è sottolineata anche da un brusco cambiamento della musica.

La prima inquadratura ci mostra sulla destra un casolare di campagna, tutt’intorno il verde della campagna circostante. Un ragazzo, accompagnato da un uomo e una donna, entra in casa. Qui, davanti al camino, tre personaggi vengono accolti da un altro uomo e un’altra donna. Le due donne hanno un copricapo bianco in testa, i tre uomini un cappello nero. Si siedono gli uni di fronte agli altri, ancora una volta anche qui vicino a un camino, e iniziano a parlare [fig. 7], ma quello che si dicono ci viene raccontato dal commento parlato:

Questo è un fidanzamento. I genitori della ragazza hanno fatto la loro offerta: diecimila lire in contanti, il corredo, tante pentole, il letto e il comò. E ora spetta ai parenti del giovane replicare: si vantano le virtù del promesso sposo e si rincara il prezzo […]. Le trattative sono lunghe e minuziose […]. Il giovanotto è impacciato, non solo per i discorsi che ascolta ma anche perché fra poco, se i genitori raggiungono l’accordo, dovrà incontrare la ragazza e conquistarla. E come? C’è un modo: dimostrare che è forte come una quercia, agile come un lupo, possente come un mulo. […] C’è un modo che il giovanotto conosce ed è un modo antico e chiaro di esprimere l’amore.

E così, ad accordo concluso, la mamma della ragazza va a prendere la giovane donna, fino a quel momento rimasta chiusa in camera, il ragazzo prova a incrociare il suo sguardo ma lei tiene la testa bassa e scappa subito fuori. Il ragazzo la raggiunge, ed ecco che la musica cambia bruscamente di segno e inizia la seconda parte del corto, quella ambientata all’esterno, tra le verdi alte colline della Presila dove il futuro sposo inscena una dimostrazione della sua forza fisica, come ci ha raccontato la voice over, per conquistare l’amata. Si tratta di un rito di fidanzamento diffuso in Calabria che, quando Mario Gallo filma, stava già per scomparire: le famiglie contrattano il matrimonio e la dote, mentre il futuro sposo dà prova di essere un uomo forte al cospetto della futura fidanzata.

All’inizio della performance il ragazzo appare impacciato, si volta a guardare i parenti che sono usciti dal casolare per assistere ‘allo spettacolo’; prova a fare dei salti ma cade e la ragazza lo guarda delusa. Poi, quando i parenti rientrano dentro la casa e i due rimangono finalmente soli fuori, ecco che l’incontro amoroso può avvenire: il ragazzo si arrampica su un albero e si mette a testa in giù e finalmente i due si guardano, e per la prima volta vediamo spuntare un sorriso sul viso di lei. L’uomo fa qualche altra capriola sul prato, poi prende per mano la ragazza e insieme iniziano a correre, finché si accasciano sull’erba. La musica cambia nuovamente di segno, da incalzante si fa melodica per circuire i due amanti e inquadrarli da dietro, distesi, vicini, sull’erba [fig. 8]. Anche qui registriamo un significativo movimento di macchina: la camera di Gallo si alza, la musica dà un ultimo tocco incalzante, e chiude sul paesaggio.

In Dichiarazione d’amore quindi, corto che vinse anche il nastro d’argento a Cannes nel 1962, il paesaggio diventa davvero teatro del rituale amoroso con tanto di spettatori (i parenti che escono fuori per assistere alla prova). È un ambiente che ha un’importanza tale nel film che nel finale, quando l’uomo ha concluso le sue fatiche e i due si sono finalmente avvicinati, Gallo prima li inquadra vicini sul prato ma poi li abbandona per chiudere sul panorama. È il a valere, espressivamente, più dell’incontro in sé.

L’amore, ci racconta Gallo, solo nel paesaggio è libero di poter esprimere la sua forza, il suo coraggio, la sua volontà. È solo in ‘esterno’ che l’intimità del sentimento trova realizzazione e il suo necessario riconoscimento simbolico e sociale.

 

 

Bibliografia

AA. VV., Fata Morgana. Quadrimestrale di cinema e visioni, “Paesaggio”, n. 45, Pellegrini, Cosenza 2021.

R. De Gaetano, D. Dottorini, N. Tucci (a cura di), Il paesaggio degli autori. Cinema e immaginario meridiano, Pellegrini, Cosenza 2023.

M. Gallo, ‘Mario Gallo’ in G. Sole (a cura di), Trentacinque millimetri di terra: la Calabria nel cinema etnografico, Università della Calabria, Cosenza 1992, pp. 150-151.

M. Gaudiosi, ‘Labirinti turistici: il paesaggio urbano del giallo’, in AA.VV., Paesaggio, «Fata Morgana», n. 45, XV, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2021, pp. 171-182.

A. Sainati, M. Federico (a cura di), Le vie del Sud. Transiti e confini nel cinema meridiano, Edizioni ETS, Pisa 2023.

N. Tucci, ‘Il paesaggio del desiderio. La Calabria nei corti di Mario Gallo’ in R. De Gaetano, D. Dottorini, N. Tucci (a cura di), Il paesaggio degli autori. Cinema e immaginario meridiano, Cosenza 2023, pp. 103-112.