Antonio Possenti sulle ali dell’ippogrifo*

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L’interpretazione dell’Orlando furioso elaborata da Antonio Possenti nelle tavole esposte alla mostra “Altrove e altri luoghi. Occasioni e suggestioni dall’Orlando furioso” non intende illustrare fedelmente il poema ariostesco. L’artista, avvicinatosi alla lettura del testo, interiorizza ed interpreta il soggetto letterario restituendo al pubblico un’originale traduzione della materia cavalleresca. Nella versione di Possenti la follia, con andamento ricorsivo e inarrestabile, suscita l’azione dei personaggi. Alcuni, emersi da un universo onirico e immaginifico, replicano le ibridazioni corporee e accrescono la schiera di omuncoli, ippogrifi e falene. L’attualizzazione del delirio amoroso di Orlando mette in scena un paladino stanco, malato, tormentato e curato, suo malgrado, con la pratica dell’elettroshock. Il continuo vagare, le azioni violente e l’impossibile guarigione, confinano il signor d’Anglante in un’inviolata malinconia che affligge, al contempo, artista e poeta. La follia che scorre sulle tavole di Possenti trasforma l’idillio amoroso di Angelica e Medoro in ossessione e la passione sfrenata in erotomania. La chiave di lettura del nuovo poema di Possenti va cercata nell’ironia declinata nelle molteplici accezioni del sarcasmo elegante ed aristocratico, della satira amara e radicale e del sorriso beffardo e canzonatorio.

The interpretation of Orlando Furioso elaborated by Antonio Possenti for the exhibition “Altrove e altri luoghi. Occasioni e suggestioni dall’Orlando furioso” is not intended to faithfully illustrate Ariosto’s poem. The artist, approaching the reading of the text, internalizes and interprets the literary subject originally rendering the chivalric matter. In Possenti’s work, the madness, recursively and relentlessly evolving, moves the action of the characters. Some of them, emerged from a dreamlike and visionary universe, replicate the bodily hybridizations and increase the multitude of homunculi, hippogriffs and moths. The present-time setting of Orlando’s love delirium depicts a weary, sick and tormented knight, unfortunately treated with the practice of electroshock. The continuous wandering, the violent actions and the impossible healing, confine Anglante’s count in an inviolate melancholy that afflicts both the artist and the poet. The madness flowing through Possenti’s paintings, turns the idyll of love between Angelica and Medoro into obsession and their unbridled passion in erotomania. The key to Possenti’s new poem must be sought in the irony articulated according to the multiple facets of the elegant and aristocratic sarcasm, of the bitter and radical satire and of the mocking and jeering smile.

 

 

1. Possenti e Ariosto

Interprete singolare, e mai fedele illustratore dei testi letterari che ha avvicinato, Antonio Possenti ha accettato molte commissioni come si accolgono le sfide, e quella con l’Orlando furioso non è stata l’unica, feconda, provocazione gradita al maestro. La sua familiarità con la letteratura ha radici antiche: nel catalogo dell’artista si contano molte imprese che lo hanno visto dialogare con gli scrittori di ogni tempo. Ad esempio nel 1979 si confrontava con Enrico Pea e, nel 2005, con la serie Gli animali nella poesia di Giovanni Pascoli rendeva omaggio al poeta conterraneo. La raccolta di poesie di Federigo Tozzi, Bestie, ha suggerito a Possenti l’omonima serie del 2006 e, nel 2007, sono stati Giosuè Carducci e Dino Campana a suscitare, rispettivamente, la realizzazione di Tenero Gigante e Nel sogno abitato. Nel 2010, allestendo Con i libri, l’artista ha presentato un’antologia delle letture e del suo modo di fare «letteratura con le immagini»,[1] spaziando da Omero a Rimbaud, da Borges a Kafka, da Leopardi a Tobino, fino alla rielaborazione in chiave iconografica dei racconti di Edgar Allan Poe.[2]

Confrontandosi con venticinque racconti fantastici di Poe, Possenti non mette in atto i meccanismi propri dell’illustratore, e ogni immagine, sfruttando la memoria dell’osservatore /lettore, serba una propria autonomia e coerenza narrativa che sottrae l’opera pittorica all’immediata dipendenza dal testo. L’artista si pone a confronto con le opere letterarie, le traduce, non le illustra, compiendo «una operazione unitaria di trasferimento dal verbale al visivo».[3] Questa operazione di trasferimento, e di personale interpretazione deformante, è presente anche nelle tavole ariostesche che, più di altre, inscenano canovacci germinati da un serrato confronto tra l’artista e il poeta: nel rispetto della reciproca autonomia, Possenti esplora le categorie del surreale, del fantastico e dell’onirico e traduce il poema in immagini. Queste ultime, dunque, affiorano dalla materia dei sogni, o degli incubi; lo spazio del racconto è stabilito dall’intreccio cosmico delle linee, e il tempo della narrazione è modulato dall’alternanza continua e perpetua delle onde oceaniche increspate sulle carte nautiche. Con mirabile capacità di invenzione e sperimentazione tecnica, Possenti ha realizzato le sue opere senza mai allontanarsi dall’ispirazione umana e letteraria; e, partendo dalla stesura di un colore, ha ideato le forme attraverso un’attesa gestazione che, procedendo dall’indefinito, compone figure memori di molte esperienze poetiche e artistiche. Il gesto, vagando in punta di penna, approda fluido al supporto e traccia linee perennemente arcuate entro un disegno libero e ininterrotto, curvilineo e affollato. I tratti che si contorcono e si intrecciano tessono matasse inestricabili dalle cui trame emerge l’universo ironico, beffardo, malinconico e incessantemente ambiguo nel quale si muovono bizzarri personaggi che – siano essi reali, letterari, animali o vegetali – cedono tutti alla deformante evoluzione caricaturale. La trasformazione della materia poetica, ornitologica o botanica, in materia iconica, fa parte del processo creativo e conoscitivo dell’artista che, non volendo fotografare il reale, né illustrare i testi, traduce la realtà e le parole con figure spurie, subdole e veritiere che mantengono l’originario afflato lirico e serbano una spiccata ricorsività tematica. Le creature di Antonio Possenti non appartengono al reale, esse aderiscono al surreale; l’universo poetico dell’artista partecipa alla categoria del fantastico e del favoloso: per comprendere la personalità e l’operare del maestro lucchese è necessario interpellare l’immaginifico. Impossibile prevedere lo sviluppo del molteplice cosmo della sua poetica, esso prende avvio da un nucleo primigenio e accresce tramite interpolazioni non programmate. Le pause e i ritorni si susseguono all’interno di scenografie che gradualmente risolvono la cornice e compongono il racconto figurativo attraverso un linguaggio nuovo e personale, la cui grammatica regola la morfologia delle forme e ne costruisce la sintassi. La vivacità dei colori ammanta immagini grottesche, l’abito radioso veste personaggi malinconici e le figure che affiorano sono perennemente ossimoriche e atemporali, in bilico tra il mostruoso e il fiabesco, tra la cupezza e l’ilarità, tra il piacere ludico e il dolore cosciente. Ognuno di questi aspetti è ravvisabile nei dipinti e nei disegni ispirati all’Orlando furioso la cui chiave interpretativa è velatamente autobiografica.

Colto e curioso, Possenti ha avvicinato Ariosto con assoluta libertà e, interpretando il poema, ha attraversato in volo le vicissitudini delle donne e dei cavalieri senza prestar fede a ogni loro azione: in tal guisa ha selezionato e tradotto la poesia senza parafrasarla in prosa, conservando intatta la natura onirica che il disegno condivide con il poema. Di fronte alla serie di tavole esposte nella mostra Altrove e altri luoghi. Occasioni e suggestioni dall’Orlando furioso, organizzata nell’ambito delle celebrazioni per il quinto centenario dell’editio princeps del poema ariostesco, chi osserva è chiamato, pertanto, a partecipare alla rappresentazione scenica di un universo intimo. La duplice identificazione autoriale e personale, di Possenti con Ariosto e di Antonio con Orlando, disegna un vorticoso intreccio di rimandi al vissuto personale e alla produzione artistica che assimila l’opera dipinta alla trama poetica e ripete, anaforicamente, il tema della malinconica follia di Orlando: episodio scelto dall’autore e replicato, con incessante e compulsiva costanza, sulle carte di lavoro.

Il poema interpretato da Possenti dà voce ai mondi privati dei singoli personaggi riuniti dalla sorte in un unico cosmo caotico e rocambolesco, all’interno del quale, come sottolinea Luigi Ficacci, trovano una risposta il «chi, cosa, dove e quando», interrogativi impossibili da porre al testo poetico.[4] La capacità suggestiva del colore e del disegno istruisce l’occhio dell’osservatore verso l’individuazione del soggetto poetico e, ineludibilmente, onirico. Intrappolate sulla carta, e materializzate nelle forme biomorfe e zoomorfe, le allucinate visioni evocate dal corpo verbale del Furioso tessono un nuovo ordito figurativo nell’economia del quale giocano un ruolo fondamentale la follia malinconica e cruda del singolo paladino, l’insania universale della guerra, la sensualità dissacrante e beffarda, l’ironia nell’idillio di amore e, infine, il ritrovato senno che spazza via il bestiario fantastico – o lo ricaccia nella testa del paladino – lasciando il campo alle malinconie di Orlando, di Ariosto e di Possenti stesso. Nell’opera del maestro lucchese, infatti, vi è sempre una lettura autobiografica del soggetto dipinto, e non sarà casuale la scelta di mutuare Orlando con due badanti dall’Autoritratto con due badanti.[5]

Antonio Possenti, Autoritratto con due badanti, 2012, collezione privata

In questa carta di lavoro Possenti disegna Orlando come sé stesso, ma il disegno a matita non viene elaborato ulteriormente: il ritratto-autoritratto, che avvicina l’artista al personaggio, indugia nell’alveo della produzione intima e rimane matita su carta, sprofondando nell’abisso di un’inviolata solitudine.

Antonio Possenti, Orlando e due badanti, 2016, collezione privata

Un piccolo rettangolo di foglio che, insieme a molti altri, restituisce la furia creativa innescata dal confronto conAriosto: entrato in contatto con la follia di Orlando,[6] il maestro effonde la sua veemente inventiva ai segni a matita e alle macchie di colore dalle quali emerge una poetica pregna di fantasmi letterari, osservati attraverso la lente deformante dell’artista. Il badante è un personaggio nuovo che, come nella vita, compare nelle opere tarde e, con il passare degli anni, tende a moltiplicarsi. Sulle carte di lavoro Possenti declina ogni aspetto della follia di Orlando raccontando, senza commiserazione (né autocommiserazione), l’aspro destino del paladino malato, talvolta infermo su una sedia a rotelle, la cui cura è demandata a uno, due, quattro, otto o più badanti. Questi demoni custodi, dal sembiante di coniglio,[7] aumentano in numero e dimensioni finché il loro moltiplicarsi materializza l’incubo e l’uomo (personaggio e artista), spaventato, fugge inseguito da ottantotto badanti.

Antonio Possenti, Orlando e ottantotto badanti, 2016, collezione privata

E quando la fuga non lenisce la pena dei tormenti amorosi, Orlando si getta dalla torre con le braccia spalancate, finalmente privo della camicia di forza.

, Antonio Possenti, Follia di Orlando, 2016, collezione privata

La rappresentazione di un Orlando stanco, tormentato e perseguitato, mal cela la costante ispirazione autobiografica dell’artista che, senza concedere alcuno spazio ai sentimenti di compassione che l’età senile per sua natura suscita, affronta l’ultima sua stagione con immutato amaro sarcasmo. Nelle carte di lavoro la lente deformante accresce e diminuisce le proporzioni dei corpi raccontando la quotidianità di un cavaliere paralizzato, la cui esile struttura si annoda, nuda, nei panni di contenzione, mentre un indomito badante-coniglio sovrasta, perseguita e tortura il protagonista, ormai divenuto malinconica comparsa. Le mani premute sulle tempie, lo sguardo sbarrato e l’ossessionante pensiero della donna che presiede nuda la sommità del capo, costituiscono un preludio all’incessante deformazione che percorre ogni singola carta e, all’improvviso, sembra sorprendere lo stesso artefice. In una delle carte intitolate «follia di Orlando» l’artista aggiunge la didascalia «sembra Schiele», e l’eterno divenire dell’operare di Possenti conduce il maestro stesso in un altrove mnemonico, in un universo che non attendeva e che, probabilmente, non stava cercando. La chiosa vergata sotto il disegno appena realizzato ha il sapore di un commento a sé stesso e al proprio operare. La consapevolezza della memoria artistica emerge all’improvviso e, come un’agnizione, sorprende in fieri l’artefice che si accorge di aver condotto la penna nelle stratificazioni figurative che arricchiscono la sua fantasia creativa.

Antonio Possenti, Follia di Orlando. Sembra Schiele, 2016, collezione privata

Le rotondità femminili aumentate a dismisura gravano, come un enorme fardello, prima sulle gracili spalle del paladino e poi sul solo capo scisso dal resto del corpo. Il gioco deformante si compie nell’alternanza di accrescimenti e diminuzioni che alimentano la follia e affamano l’ordine. Il tema della testa divelta ricorre con ritmo formulare nelle carte disegnate: il capo del paladino viene espulso dal tronco con la violenza di un’esplosione, precipita giù dal collo mentre ad attenderlo ci sono le fauci spalancate di un cane rabbioso, e infine è sostenuto ed esposto dallo stesso paladino decapitato dall’eccesso d’amore. Il furore matto scaglia Orlando contro un melo i cui frutti sono, come spesso accade nelle opere di Possenti, tagliati a metà.

 Antonio Possenti, Follia di Orlando, 2016, collezione privata

In altre carte osserviamo le bizzarre danze di un eroe in fuga dall’antropomorfismo e, al contempo, facile preda di un enorme uccello marino che, come un mastro puparo, trattiene col becco e con la zampa il pupo armato. La follia innesca un continuo divenire e la trasformazione è condizione eterna e ineludibile dell’umanità che, sfuggendo alle convenzioni, scivola verso l’alterità e, tentando di comprendere la realtà, la capovolge. Lo sfogo creativo dei disegni – prodotti in coda alla serie ormai conclusa – indica, a ritroso, il percorso seguito dall’artista che, leggendo, ha interiorizzato il poema.[8]

 Antonio Possenti, Follia di Orlando, 2016 collezione privata

 

2. Il continuo vagare

La follia, declinata in più direzioni, vaga in ogni tavola, ma è l’insania di Orlando a rappresentare il principio e fine ultimo di tutta la serie; affrontata con originalità, è attualizzata in termini che potremmo definire medici. Il signor d’Anglante, giunto al luogo ove si è consumata la passione di Angelica e Medoro, viene percosso dalle pene d’amore, tanto che il suo capo è come divelto dal collo. Nell’immaginario di Possenti la testa del paladino esce dall’elmo come da un guscio o da un’ampolla dalla quale esala tutto il suo senno. La mente, pervasa dalla follia, comincia a fluttuare lontano dalla ragione, e in un’altra tavola incontriamo Orlando steso a terra, la faccia rubiconda e il corpo legato con un groviglio di corde, o cinghie di contenzione, che alienano le esigenze del corpo ma non contengono il piacere dell’immaginazione. La follia di Orlando è una follia immaginativa e fanciullesca, e il valoroso paladino finisce su una spiaggia a far volare aquiloni. Ma l’indomito furore impedisce ogni discernimento e l’ira, tolte le pastoie, conduce Orlando nudo e inarrestabile a trascinare la cavalla, a sradicare una mandragora che urla il suo dolore e ad esporre le iniziali di coloro che hanno innescato la follia. Con un gigantesco corpo affaticato, il paladino solca il mare di Gibilterra, o forse lo attraversa soltanto sulle carte nautiche, e il percorso che compie è il viaggio mentale di un esploratore sedentario. All’interno di un laboratorio/ambulatorio «3 entomologhi» (come indica la scritta apposta dall’artista), memori dei Cinque entomologhi di Maggiano,[9] fanno volare mostruosi insetti, mentre un personaggio con il camice clinico li cattura e li tortura.

Antonio Possenti, Follia di Orlando. Tre entomologhi, 2016, Comune di Castelnuovo di Garfagnana

Vagando alla ricerca di cibo, «senza il pane discerner da le ghiande / dal digiuno e da l’impeto cacciato»,[10] uno stanco e malato paladino sorregge un enorme Monnino; lo stesso animale, nelle carte di lavoro, azzanna la testa di Orlando. Impossibile non pensare al Monnino ideato da Possenti e presente, ad esempio, nelle tavole liberamente ispirate ai giochi descritti nel poema eroicomico di Lorenzo Lippi, Malmantile racquistato.[11] Del resto gli animali, reali e chimerici, ricorrono in ogni opera e derivano tutti dall’affollato zoo custodito nel serraglio fantastico della sua immaginazione.[12]

 Antonio Possenti, Follia di Orlando, 2016, Comune di Castelnuovo di Garfagnana e collezione privata

Orlando avanza a fatica sradicando i funghi e gli ortaggi che incontra sul suo cammino: la bocca semiaperta per soccorrere il fiato corto, gli occhi stanchi e cerchiati, il capo calvo e la lentezza dei gesti, volgono il racconto verso la narrazione autobiografica di un uomo, e di un artista, che negli ultimi anni ha condotto a fatica un corpo provato con imperitura vitalità e assoluta eleganza cavalleresca. E senza interrompere il perpetuo vagare della mente sulle carte nautiche che supportano i disegni, Possenti ha continuato a viaggiare, immerso nella geografia vicina di un viaggiatore pigro:

 

Sono io il viaggiatore
più pigro,
inconcludente,
intransigente,
imprevidente,
falsario.
Viaggiatore famoso
del binario morto,
del porto sommerso.
Appena partito
rimpiango
la maledetta ora esatta
della valigia disfatta
sul letto,
il prezzo pagato
per il biglietto.
Un viaggio sicuro,
il viaggio senza fretta
è leggero,
rapido,
felice nella notte:
a quella stazione
aspetta
il mio bambino paziente.
Sorride di lontano:
leva a saluto
la piccola mano
dalla atroce ferita:
si ferma il treno,
l’attesa è finita.
Apr. 1981[13]

 

Così scriveva di sé Possenti e similmente aveva dichiarato Ariosto – non senza autoironia – nella terza satira dedicata al cugino Annibale Malaguzzi:

 

E più mi piace di posar le poltre
membra, che di vantarle che alli Sciti
sien state, agli Indi, alli Etiopi, et oltre.
 
Degli uomini son varii li appetiti:
a chi piace la chierca, a chi la spada,
a chi la patria, a chi li strani liti.
 
Chi vuole andare a torno, a torno vada:
vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna;
a me piace abitar la mia contrada.
Visto ho Toscana, Lombardia, Romagna,
quel monte che divide e quel che serra
Italia, e un mare e l’altro che la bagna.
 
Questo mi basta; il resto de la terra,
senza mai pagar l’oste, andrò cercando
con Ptolomeo, sia il mondo in pace o in guerra;
e tutto il mar, senza far voti quando
lampeggi il ciel, sicuro in su le carte
verrò, più che sui legni, volteggiando.[14]

 

L’unità di pensiero di Possenti e Ariosto accorcia le distanze tra la poetica dell’artista e la lirica del poeta, entrambe affini alla concezione dell’otium classico.[15]

Ma tornando alla follia di Orlando e alla cura che il paladino deve subire per guarire dall’insania, incontriamo una cassettiera sulla luna all’interno della quale vi sono «le cose dimenticate» e sopra la quale posano tre scimmiette, o per meglio dire, tre monnini: l’uno non vede, l’altro non parla e l’ultimo non sente. La parodia beffarda e dissacrante di Possenti ha trasformato le tre Parche che presiedono l’allegoria ariostesca, e determinano la nascita, la durata e la fine dell’esistenza umana, in tre scimmiette.

Antonio Possenti, Sulla luna: le cose dimenticate, 2016, Comune di Castelnuovo di Garfagnana

Da quell’universo stralunato torna il senno perduto e rientra nella testa di Orlando attraverso un casco da elettroshock. Sul tavolo del paladino sottoposto alla cura insiste una mescolanza di carte sulle quali Orlando stesso rielabora non precisati calcoli: computo della corrente che deve attraversare il cervello perché la moderna scienza medica possa fare il suo corso? O metafora della mente razionale che deve ritrovare la regola matematica dell’equilibrio psichico senza più cedere agli svolazzi onirici?

Antonio Possenti, Orlando riacquista il senno, 2016, Comune di Castelnuovo di Garfagnana

Quando Orlando riacquista il senno è un uomo curvo, innocuo, che regge il suo corpo stanco grazie a due stampelle, ma la comunità dei sani non lo ha ancora riabilitato e lo trattiene con molte corde. La rappresentazione di Orlando malato psichiatrico, curato con l’atroce pratica elettroconvulsivante è assolutamente originale e, forse, unica. La capacità di Possenti di lasciarsi conquistare dalla letteratura, di penetrarne appieno l’essenza fino a farla propria, raggiunge esiti innovativi: l’Orlando contemporaneo è malato e vaga solitario, compiendo atti violenti e autolesivi. Allontanatosi intenzionalmente dal consorzio umano, è ricondotto alla normalità comportamentale attraverso un percorso riabilitativo coerente con il protocollo della moderna medicina.

Tra le righe della trattatistica medica cinque-secentesca, e in particolare tra le descrizioni di quella particolare forma di malinconia detta licantropia, possiamo rinvenire molti sintomi ed esiti della follia dell’Orlando cinquecentesco, colpito, quindi, da una patologia medica acclarata. Massimo Ciavolella ponendo a confronto le azioni del licantropo descritte dal medico greco Marcellus Sidetes nel poema Lycanthropia con i gesti squilibrati di Orlando, riscontra una molteplice similarità di manifestazioni sintomatologiche. Coloro che erano affetti da licantropia erano pazzi furiosi, e le cause della malattia erano state individuate nei «comportamenti irrazionali, incluso l’amore eccessivo» e «l’erotomania»,[16] con le conseguenti ripercussioni fisiologiche. Fin dai tempi di Platone, scrive ancora Ciavolella,

per determinare la sintomatologia della follia, i medici si basavano su due criteri principali: il senso del reale del malato e il suo comportamento. Fu soprattutto il comportamento dei folli che i medici studiarono, per rilevarne due caratteristiche dominanti: il loro incessante vagare e la loro propensione alla violenza.[17]

L’interpretazione medica della follia amorosa di Orlando, descritta nelle ottave ariostesche, avvicina l’esegesi operata da Possenti alla scelta poetica di Ariosto. Se nel 1516 Orlando è affetto da una variante della malinconia, detta licantropia, nel 2016 il paladino contemporaneo è colpito da una particolare e oscura forma di afflizione, ed il suo «incessante vagare e la propensione alla violenza»[18] sono i segnali evidenti del travolgente disordine mentale, innescato da una sperequazione nella quantità di amore avvertito e nella capacità percettiva del reale. Se già ai tempi di Ariosto la soluzione medica al problema clinico era l’alienante confinamento – rimedio eluso dallo scrittore con la più poetica somministrazione del «liquor suttile e molle»[19] – i tempi di Possenti sono stati funestati dall’atroce pratica della camicia di forza e dell’elettroshock, capace di isolare il paziente al di là dell’isolamento fisico.[20]

La circolarità della malattia è evidente: da una particolare forma di malinconia scaturita da un eccesso di amore, si passa a una singolare malinconia segnata da una «cupezza e una dismisura […] che obbligano, forse, a rimettere in questione la definizione di quella ‘ragione’ cui è stato restituito» Orlando.[21] Entrato in particolare sintonia con Ariosto, Possenti percorre le ottave attraverso una lettura obliqua, e non ascensionale, del poema entro la quale Orlando incuba, manifesta e contiene a stento la follia iraconda, senza mai riuscire a liberarsene:

 

qual duro freno o qual ferrigno nodo,
qual, s’esser può, catena di diamante
farà che l’ira servi ordine e modo,
che non trascorra oltre al prescritto inante,
quando persona che con saldo chiodo
t’abbia già fissa Amor nel cor costante,
tu vegga o per violenzia o per inganno
patire o disonore o mortal danno?
 
E s’a crudel, s’ad inumano effetto
quell’impeto talor l’animo svia,
merita escusa, perché allor del petto
non ha ragione imperio né balía.[22]

 

La «cupezza a dismisura»,[23] d’altronde, aleggia nello sguardo svuotato di Orlando che ‘riacquista il senno’, negli immutabili occhi di Ludovico Ariosto afflitto dal confino garfagnino ed è la stessa malinconia che, lavata da lacrime secche, sgorga dall’Autoritratto con due badanti.

 

3. Cortei onirici

A chi chiedeva a Possenti quale fosse il suo procedere creativo, l’artista rispondeva che ogni sua creazione progrediva da un colore e raggiungeva lo status di forma passando attraverso le linee, preferibilmente curve e circolari. Nel 1998, ad Antonio Rizzi che domandava come nascesse la sua pittura e quale fosse la genesi di un dipinto, il maestro diceva che:

c’è una specie di canovaccio: sì, diciamo pure un canovaccio letterario. Parto da quello, ma in modo vago. Poi l’immagine, volta a volta che tento di definirla, si trasforma. Non so mai dove finirà. Succede come nella Commedia dell’arte: molte cose sono determinate dal caso, cioè non sono razionalmente volute. Basta una macchia di colore nata senza volerlo per far virare la pittura, per condurla su terreni che non riesco a controllare. Allora volto il quadro: cioè tento di vedere la pittura di per sé, al di fuori della storia che le si è infilata sotto.[24]

Anche le immagini ispirate al Furioso non sembrano sottrarsi a questo ductus pittorico che appare smanioso e lento, meditato e immediato, condotto da colori che formano disegni, e viceversa, mantenendo un andamento costantemente circolare e mai lineare.

L’affascinante ippogrifo, agile e veloce, si alza in volo sollevando le forme ellittiche che ne definiscono il profilo; creatura fantastica e reale a un tempo:

 

non è finto il destrier, ma naturale,
ch’una giumenta generò d’un grifo:
simile al padre avea la piuma e l’ale,
li piedi anterïori, il capo e il grifo;
in tutte l’altre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo;
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto di là dagli aghiacciati mari.[25]

 

Di questi animali rari, dice Ariosto, se ne trovano pochi esemplari e Possenti ne chiama a raccolta un turbinio, tutti in un’unica tavola, quasi a volerne sventare l’estinzione. Molti sono cavalcati, alcuni percorrono il cielo senza comando, altri hanno disarcionato il cavaliere, uno di loro sembra derivare da un origami e un altro, infine, procede al passo, forse montato dallo stesso Possenti. La velocità del «quadrupede augello»[26] è rappresentata attraverso il turbinio di molti ‘strani augelli’[27] con i becchi rapaci spalancati, il cui volteggiare appare randomico come il volo delle falene e la cui meta non tutti i cavalieri riescono ad intuire.

Antonio Possenti, Ippogrifi, 2016, Comune di Castelnuovo di Garfagnana

Facilmente l’osservatore si sente dominato da un’opera tanto caotica quanto conclusa – pur se in un tempo e in uno spazio indeterminati – al cospetto della quale si è costretti a indagare e percorrere le immagini come se fossero mappe, a partecipare, ineludibilmente, al gioco di citazioni e rimandi interni ed esterni. Se gli ippogrifi svolazzano in un caos ininterrotto e diabolico compiendo un volo alchemico, i rampanti cavalli che trascinano il carro di Elia solcano il cielo nell’indomita ascensione verso la luna, levandosi con un volo angelico. L’Evangelista e il cavaliere inglese, incaricato di recuperare il senno di Orlando, si scambiano gli sguardi, forse conversano, e sono le uniche due figure che non hanno subito deformazioni, esse sembrano derivate dall’immaginario classico cavalleresco. Altra occasione per raffigurare una folla onirica è data dall’«iniqua frotta»[28] che ostacola la fuga di Ruggiero: macchie di colore circoscrivono la «strana torma»[29] comandata da un appesantito capitano che avanza lentamente cavalcando una testuggine e, tanto è ebbro, che alcuni «i panni scuotea per fargli vento».[30] Appropriandosi del poema, Possenti traduce questo episodio inserendo un servitore che agita una piuma per muovere l’aria intorno al suo padrone e, tra i molti animali elencati da Ariosto, è ben identificabile lo struzzo che avanza a gran passo in secondo piano. L’esercito di mostri ariosteschi approda alle carte di Possenti dopo aver attraversato l’universo delle drôleries e dei grilli gotici che affollano i fine riga, i margini, le cornici dei manoscritti, degli incunaboli e delle successive edizioni a stampa cinquecentesche. I mostri procedono in schiera e sono costruiti per eccesso o per difetto di forme: i volti accresciuti e le ibridazioni fisiche diminuite, sollecitano la memoria rinviando agli stetocefali, agli sciapodi, agli omuncoli e agli anencefali memori di Bosch.[31] All’interno dell’ordinato brulicare mostruoso, appare un volto rubicondo innestato come un frutto sulle fugaci linee di un corpo che, a sua volta, sostiene un primate. E la memoria torna nuovamente al Monnino.

Dotato di sottile ironia, l’artista non lascia correre il suggerimento dato dal poeta quando quest’ultimo indugia sulle ibridazioni della grottesca sfilata, tra le cui fila «chi femina è, chi maschio, e chi amendue».[32] La doppiezza dei sessi è rappresentata con beffarda naturalezza ed ironica gestualità nella figura dal volto donnesco solcato da lunghi e sottili baffi, con i seni gonfi ed un membro virile che sfugge alle vesti.

 

4. Passioni e malinconie

Un artista fantastico, dunque, che accoglie il particolare scabroso e il gesto irriverente senza cedere mai alla sgarbatezza, dosando sapientemente la veste ironica: la pittura di Possenti, così come i suoi modi, sono stati sempre meditati e, se possibile, aristocratici.[33]

La tavola dedicata ad Angelica e Medoro rappresenta l’idillio e l’ossessione per il nobile sentimento amoroso: la scritta che Orlando trova incisa sulla corteccia dell’albero, epifania del tradimento e detonatore della follia, viene trasferita sul braccio destro di Angelica che, a suggello dell’amore nutrito per Medoro, si è tatuata le iniziali dei loro nomi iscrivendole in un cuore. E così come Possenti, preso dal furore creativo, ha schizzato innumerevoli fogli dei suoi taccuini, così gli amanti, colti dalla frenesia amorosa, hanno vergato pagine e pagine con i loro nomi e non hanno risparmiato, per volontà o distrazione, un ignaro e fuggitivo gatto, unico testimone del manifesto sentimento nutrito dalla desideratissima fanciulla che

 

[…] a Medor la prima rosa
coglier lasciò, non ancor tocca inante:
né persona fu mai sí aventurosa,
ch’in quel giardin potesse por le piante.[34]

 

I due amanti, che non riescono a contenere l’entusiasmo della passione amorosa e scrivono in «mille luoghi»[35] i loro nomi, rappresentano per Possenti una gradita occasione per rileggere l’episodio in chiave ironica: il ridicolo tatuaggio di Angelica dissacra l’idillio poetico, e il gatto spaurito che fugge, portando con sé la prova del consumato amore, oltre ad aggiungere una nota di elegante sarcasmo, rimanda al terrore che seminerà Orlando una volta impazzito. Il felino suggerisce, inoltre, una citazione colta: difficile, infatti, pensare che Possenti inserendo il confuso animale non abbia avuto memoria dello straniante gatto che Lorenzo Lotto mette in fuga al fianco della sbigottita Vergine annunciata di Recanati. E, se così fosse, l’ironia della rappresentazione troverebbe ampio compimento nel rimando all’eccentrico maestro marchigiano.

Antonio Possenti, Angelica e Medoro, 2016, Comune di Castelnuovo di Garfagnana

L’amore custodito in un appartato locus amoenus di cieli stellati fa da contrappunto alla lussuria che muove il satiro all’inseguimento della «donzella nuda».[36] Con gli stessi colori freddi l’artista descrive il rovescio della medaglia delle passioni amorose: private del sentimento, esse volgono al puro istinto e alla cruda e ferina concupiscenza.[37]

L’equivocità delle passioni sensuali è tema ricorrente nei dipinti dedicati ad Alcina. Le ambigue capacità suasorie e seduttive della maga sono rappresentate all’interno di un proscenio teatrale ove la fallace bellezza della donna incanta gli amanti, conducendoli nella stregata dimora per forza di sortilegio. Le reali sembianze della malvagia adescatrice sono espresse nel ritratto a figura intera che sovrasta il teatrino e accomuna la maga ai burattinai dell’universo di Possenti.[38] Tutto intorno le metamorfiche ibridazioni degli amanti-omuncoli rispettano la legge della cornice e raccontano l’esito dell’inquietante sorriso e dell’ipnotico sguardo rivolto verso lo spettatore/osservatore destinato, anch’egli, a subire il sortilegio dell’incantatrice burattinaia e a scoprire l’inganno di colei che, poco sopra, digrigna usurati denti e spalanca stanchissimi occhi.

Antonio Possenti, La maga Alcina, 2016, Comune di Castelnuovo di Garfagnana

La lasciva fata dal «mobil ingegno» che suole «amare e disamare a un punto»[39] conduce la sua pesca con irriverente seduzione e ammiccante disincanto ed il sortilegio è letto attraverso la lente beffarda dell’artista che coglie appieno la doppiezza della maga e traduce le ottave ariostesche in verso eroicomico; trasformando, forse, l’ossessione seduttiva in erotomania. La suadente maga ha catturato anche l’artista che non può esimersi dal tradurre, sul supporto delle immancabili carte nautiche, l’isola balena: l’enorme cetaceo emerge dalle profondità dei fondali del golfo di Napoli e, proprio al di sotto dell’imbronciato muso, compare l’indicazione cartografica «Bocca grande».[40]

Il tema della magia è affrontato con pungente ironia e il già grottesco Brunello, nella rielaborazione di Possenti, diventa un personaggio circense che, al di sotto dell’elegante cilindro, mostra un volto rubicondo e affollato di peluria sul quale si spalanca uno stolido sguardo circondato da occhi rigonfi. La piazza circoscritta da edifici dall’andamento curvilineo che tanto ricorda Piazza Anfiteatro a Lucca, sede dello studio dell’artista, accoglie il piccolo uomo la cui statura «non è sei palmi»[41] e la cui postura richiama quella dei giullari di corte destinati a deliziare un’accolita di astanti desiderosi di mirabilia. Il nano ariostesco mostra l’anello magico e, stupendosi del suo stesso racconto, sembra narrarne gli straordinari poteri. Questi ultimi si palesano nella tavola dedicata ai Poteri dell’anello che è divisa a metà: nella parte superiore l’irradiarsi della magia colpisce le prede con ineffabile negromanzia e, al di sotto, una nuda eroina (Angelica?) cela la sua avvenenza alla vista dei cavalieri stringendo il monile tra i denti. Le tinte forti, la giustapposizione dei colori e, talvolta, la violenza cromatica, caratterizzano la maggior parte dei dipinti dedicati al Furioso; la tavolozza si placa nei disegni ideati per illustrare la vita in Garfagnana e la solitudine di Ariosto che, trovandosi a governare quei luoghi visitati da ladri di muli e attaccabrighe, si sente come un uccello in gabbia, al quale la prigionia ha tolto il canto.[42] Queste tavole, così come Bradamante alla rocca di Tristano, sono percorse da un’atmosfera di attesa e, anche laddove l’azione si sta compiendo, essa appare congelata in un tempo eterno e destinata a ripetersi all’infinito: le risse, il furto di un animale, l’avvicendarsi dei briganti (ognuno apostrofato da un sinistro epiteto) e le orecchie sempre ingombre di suoni dei villani, sono eventi che si ripetono senza soluzione di continuità. A questa terra ingovernabile Ariosto si sente estraneo, la sua poesia resta muta e il calamaio si svuota senza che il poeta possa intingervi la penna. Le carte del taccuino che hanno dato luogo allo sfogo artistico del pittore, traccia all’amore di Angelica e Medoro e spazio ai calcoli medici, rimangono carta bianca sul tavolo del poeta malinconico, ammutolito dall’esilio garfagnino. Nell’economia della serie pittorica, queste tavole, produzione estrema dell’artista, rappresentano un paratesto biografico e autobiografico ad un tempo che accomuna il pittore, il poeta e il personaggio, nella condivisione di un unico universo di inviolata solitudine e malinconia.

Antonio Possenti, Malinconia di Ludovico Ariosto, 2016, Comune di Castelnuovo di Garfagnana

Un’ultima osservazione ci permette di accostare l’opera del pittore all’opera del poeta. Tornando ad considerare la tavolozza di Possenti notiamo che i colori e i tratti di Marfisa si discostano dalle cromie e dalle forme dominanti l’intera serie. Possenti, infatti, ha inserito la tavola raffigurante Renoppia, eroina della Secchia rapita, rinominando la protagonista rappresentata. La singolare veste di donna guerriera e seduttrice a un tempo ha permesso a Possenti di accostare le due eroine e di risemantizzare il disegno ideato per raffigurare la

virago tassoniana (erede della Clorinda tassiana, e di molte altre amazzoni) che nel I canto della Secchia irrompe sulla scena carica di ambiguità: tradizionalmente bella, ma sorda, terrorizza gli uomini che fa innamorare di sé («e parea co’ virili atti e sembianti / rapir i cori e spaventar gli amanti» I, 16). Sulla tela di Possenti l’ambigua natura sessuale di Renoppia è illustrata nella forma di una graduale metamorfosi. Nella stessa immagine femminile convivono infatti, come in una rapidissima sequenza di fotogrammi, le diverse fasi che conducono dalla donna-donna […] alla donna-uomo, armata di tutto punto e in atto di sbranare, come un Polifemo, un piccolo uomo.[43]

Il riuso del disegno richiama, forse casualmente, un fenomeno ben noto e diffuso nelle edizioni dei poemi cinquecenteschi e suscita il gioco dei rimandi incrociati tra immagini e parole. Questo ‘intruso’, dunque, forse fortuito, rende il poema dipinto da Possenti ancor più affine all’opera letteraria e completa il quadro di una personalità artistica poliedrica e colta, ironica ed autoironica.

Antonio Possenti, Marfisa, 2016, Comune di Castelnuovo di Garfagnana

D’altronde la categoria del comico appartiene ad Ariosto ed è propria di Possenti che, attraverso questo filtro, ha letto la realtà e ridisegnato la letteratura. Rielaborando la materia poetica, l’artista procede per accostamenti imprevedibili, seguendo i quali possiamo individuare un filo rosso che attraversa le tavole ariostesche e rovescia parodicamente molte situazioni narrative: si pensi, ad esempio, ai succitati Angelica e Medoro o all’invenzione del Guardaroba di Bradamante che somma ferree armature e ammiccanti merletti in un’unica Wunderkammer di meraviglie femminili, controcanto all’ordinata galleria di oggetti riposti nelle campiture di colore che custodivano il già esplorato Guardaroba di D’Annunzio.[44] L’ironia di Possenti si trasforma spesso in farsa, il genere comico è sostituito dall’eroicomico e la magia, l’amore e, con esso, l’universo femminile, sono riletti in chiave parodistica. Alla rappresentazione della follia sottende una lettura satirica che ha come bersaglio la scienza medica moderna e come soggetto il dramma umano del folle e del malato.

L’artista interpreta l’Orlando furioso, primo classico moderno, attualizzando la follia di Orlando in termini patologici contemporanei: il paladino, colto da malattia, vaga lontano dalla comunità dei sani finché la sua mente, isolata e condizionata all’interno del casco elettrico, vede ridotto il suo potenziale immaginativo e insondata la sua solitudine. La riduzione immaginativa, però, non apporta guarigione se, al condizionamento coatto della genialità convulsa, segue la malinconia che comprime l’immaginifico universo dell’eroe furibondo nelle pieghe della mente. Ricondotta a ‘normalità’ dalla terapia elettroconvulsivante, quest’ultima, non riesce più a ponderare l’entità del dolore o della gioia e le passioni, che hanno mosso complicate trame, divengono lontani ricordi che ronzano in testa come falene tracciando nell’aria disegni colmi di inquietudine.

Antonio Possenti, Follia di Orlando, 2016, collezione privata

Orlando sembra incarnare il protagonista di quel racconto autobiografico non vissuto ma dipinto da Possenti, assiduo lettore di Freud, nel 1980. In quell’occasione Pier Carlo Santini osservava che procedendo per assemblaggi e aggiunte di «parti ed elementi discrepanti»,

l’artista traccia una propria storia, che è una delle più veridicamente autobiografiche che io conosca, anche quando sia da escludere ogni riferimento a vicende realmente vissute. Tale veridicità concerne infatti il modo di sentire, di intendere e di soffrire la propria e l’altrui esistenza, che viene rispecchiato o evocato nelle sue storie. L’amaro, il grottesco, l’istintuale, il macabro, l’orripilante sono richiami abituali, di fronte ai quali si potrebbe dire con Freud che “sarebbe certo molto interessante indagare analiticamente come è giunto a quella pittura”.[45]
 

La serie dedicata al Furioso incarna molti, se non tutti, gli elementi presenti nell’operare di Possenti. Sicuramente condivide con le «occasioni» freudiane non soltanto una parte del titolo ma anche, e soprattutto, «il modo di sentire, di intendere e di soffrire» l’esistenza tormentata del paladino Orlando. L’incontro con Ariosto rappresenta una sintesi originale e organica della Weltanschauung del maestro, essendo l’ultima opera realizzata, diviene de facto il testamento artistico e poetico di Antonio Possenti uomo e pittore.

*The research leading to these results has received funding from the European Research Council under the European Community’s Seventh Framework Programme (FP7/2007-2013) /ERC Grant agreement n. 295620: ERC Advanced Grant 2011, “Looking at Words Througt Images: Some Case Studies for a Visual History of Italian Literature”.


1 Antonio Possenti. Con Edgar Allan Poe. Su venticinque racconti fantastici, catalogo della mostra (Lucca, Galleria Usher 27 novembre 2010 - 06 gennaio 2011), Firenze, Usher, 2010, p. 15.

2 Antonio Possenti. Omaggio a Enrico Pea, catalogo della mostra (Campi Bisenzio, Galleria L’Ariete aprile 1979), Firenze, La Tipolito, 1979. Nello stesso anno, a distanza di pochi mesi, Possenti si pose a confronto con Esopo, A. Possenti, Esopossenti. Favole. 30 favole di Esopo tradotte e illustrate da Antonio Possenti, catalogo della mostra (Torino, Galleria d’Arte Davico 25 ottobre - 18 novembre 1979), Lucca, Eurograf, 1979; A. Possenti, Lo zoo dell’anima. Gli animali nella poesia di Giovanni Pascoli, catalogo della mostra (Barga, Fondazione Ricci 07 settembre - 09 marzo 2005), Barga, Fondazione Ricci, 2005; Antonio Possenti, Federigo Tozzi. Bestie. Sessantanove dipinti per sessantanove racconti, catalogo della mostra (Siena, Magazzini del Sale 19 marzo - 7 aprile 2006), Università degli Studi di Siena, 2006; A. Possenti, Tenero gigante. Cronache carducciane, catalogo della mostra permanente (Santa Maria a Monte, Museo di Casa Carducci), Pontedera, Tagete Edizione, 2007; Con i libri, catalogo della mostra (Viareggio, Musei Civici di Villa Paolina 9 agosto 2010 - 15 settembre 2010), Carrara, Caleidoscopio Edizioni, 2010.

3 O. Calabrese, Poe illustratore di Possenti, pp. 14-15.

4 L. Ficacci, ‘Possenti: Follie di Orlando’, in M.C. Cabani, L. Ficacci (a cura di), Antonio Possenti. Altrove e altri luoghi. Occasioni e suggestioni dall’Orlando furioso, catalogo della mostra (Castelnuovo di Garfagnana, Fortezza di Mont’Alfonso 16 luglio - 31 agosto 2016 / Lucca, Palazzo Ducale 21 dicembre 2016 - 5 febbraio 2017), Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2016, p. 7. La mostra è stata riproposta a Pisa, Antonio Possenti. Altrove e altri luoghi. Occasioni e suggestioni dall’Orlando furioso, catalogo della mostra (Pisa, Museo della Grafica - Palazzo Lanfranchi 21 dicembre 2018 - 27 gennaio 2019), testi di L. Ficacci, L. Bolzoni, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2018.

5 Antonio Possenti. Di corsa, catalogo della mostra (Pisa, Museo della Grafica - Palazzo Lanfranchi 19 maggio - 3 giugno 2012), Pisa, ETS, 2012, Autoritratto con due badanti. Il parallelismo Possenti-Orlando rappresenta un trasferimento visivo, e traslato (dal poeta al pittore), della simmetria Ariosto-Orlando.

6 Sulla rappresentazione della follia di Orlando si veda F. Bondi, ‘«In furore e matto». Rappresentazione della follia nelle immagini del Furioso’, in L. Bolzoni (a cura di), L’Orlando furioso nello specchio delle immagini, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, 2014, pp. 69-108.

7 Cfr. M. Rocchi, Sì, no forse. A colloquio con Antonio Possenti, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2004, p. 34. Tra gli animali catalogati nel suo singolare bestiario, Possenti definiva il coniglio – e ovviamente la scimmia – uno degli animali più facilmente antropomorfizzabili, senza dimenticare il topo del ciclo Musmutazione (A. Possenti, Musmutazione, tecnica mista su cartone, 1984).

8 L’analisi dell’intero corpus di disegni dedicati all’Orlando furioso sono oggetto di uno studio in preparazione.

9 A. Possenti, Cinque entomologhi di Maggiano, olio su cartone telato, 1990, collezione privata.

10 L. Ariosto, Orlando Furioso, XXIV, 12, vv. 5-6. Tutte le citazioni sono tratte da L. Ariosto, Orlando furioso, 2 voll., a cura di L. Caretti, presentazione di I. Calvino, Torino, Einaudi, 1992.

11 M.C. Cabani (a cura di), I giochi del Malmantile racquistato. XXVII tavole di Antonio Possenti, Pisa, ETS, 2011, p. 71.

12 A. Possenti, Appunti per uno zoo, Milano, Mondadori, 1999. Nelle tavole dedicate al Furioso incontriamo numerosi richiami alla precedente produzione di Possenti. A titolo esemplificativo elenchiamo l’albero sradicato dal furibondo Orlando (M.C. Cabani, L. Ficacci, Antonio Possenti. Altrove e altri luoghi, p. 18) e Una mandragora (A. Possenti, Appunti per uno zoo, p. 30); la tartaruga cavalcata dal capitano dei Nemici di Ruggiero e le Tartarughe di Darwin (ivi, p. 32); Gli struzzi (ivi, p. 54), lontani cugini del bipede che presta il dorso ad un soldato della «strana torma» e, infine, la Malinconia di Ludovico Ariosto, anticipata da La malinconia del topo (ivi, p. 38).

13 A. Possenti, ‘Per un viaggio’, in N. Micieli, Possenti, Pontedera (PI), Bandecchi e Vivaldi, 1989, p. 26.

14 L. Ariosto, Satire, III, 49-66. Le citazioni sono tratte da L. Ariosto, Satire, a cura di A. D’Orto, Fondazione Bembo, Guanda, 2002.

15 La rappresentazione dello spazio e il ruolo del sapere geografico nell’Orlando furioso sono oggetto di una messe di studi. Sull’impiego delle carte geografiche nell’edizione Valgrisi dell’Orlando furioso e sul peregrinare mentale di Ariosto sulle carte cito gli ultimi studi di S. Pezzini, ‘Mappe ed ecfrasi nell’edizione Valgrisi del 1556’, in L’Orlando furioso nello specchio delle immagini, pp. 183-189 e, per la bibliografia pregressa, mi limito agli studi di A. Doroszlaï, Ptolémée et l’hippogriffe. La géographie de l’Arioste soumise à l’épreuve des cartes, Alessandria 1998; Id., ‘Une composante inédite de l’illustration d’un texte littéraire: la carte géographique’, in Id., Le livre illustré italien au XVIe siècle. Texte-Image, Actes du Colloque (Paris 1994), éd. M. Plaisance, Paris 1999, pp. 178-205. Sulla geografia del Furioso si veda anche F. Bondi, ‘Un caso ermeneutico tra filologia e geografia (OF, XLIII, 146, 5)’, in D. Caracciolo, M. Rossi (a cura di), Le sorti d’Orlando. Illustrazioni e riscritture del Furioso, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2008, pp. 143-163.

16 M. Beer, Romanzi di cavalleria. Il Furioso italiano del primo Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1987; M. Ciavolella, ‘Amore e licantropia nell’episodio della follia d’Orlando [1982]’, in S. Parmiggiani (a cura di), L’Orlando furioso. L’arte contemporanea legge Ariosto. Incantamenti passioni e follie, catalogo della mostra (Reggio Emilia, Fondazione Palazzo Magnani 4 ottobre - 11 gennaio 2015), Milano, Silvana, 2014, p. 212

17 Ibidem.

18 Ibidem.

19 L. Ariosto, Orlando Furioso, XXXIV, 83, v. 1.

20 Testimone esemplare dell’esperienza manicomiale è l’artista e scrittore Bruno Caruso che ha disegnato la follia e denunciato la vergogna della «routine tradizionale del manicomio fondata su “isolamento, elettroshock, docce fredde, segregazioni”». G. Salmeri, ‘La corda pazza di Bruno Caruso’, in C. Napoleone (a cura di), Bruno Caruso. L’arte del disegno, catalogo della mostra (Pisa, Museo della Grafica - Palazzo Lanfranchi, 13 dicembre 2012 - 2 aprile 2013), Pisa, ETS, 2012, p. 51.

21 S. Stroppa, ‘L’ira di Orlando. Orlando furioso, XLI 95-XLII 10’, Per leggere, vol. VI, 11, 2006, p. 52.

22 L. Ariosto, Orlando Furioso, XLII, 1-2, vv. 1-4.

23 S. Stroppa, ‘L’ira di Orlando. Orlando furioso, XLI 95-XLII 10’, p. 52

24 P. Rizzi, ‘Possenti i giardini e il discorso sulla pittura’, in M. C. Cabani (a cura di), Antonio Possenti un lungo viaggio. Antologia della critica 1967-2013, Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2013, pp. 311-312.

25 L. Ariosto, Orlando Furioso, IV, 18.

26 Ivi, II, 46, v. 4.

27 Ivi, VI, 18, v. 1: «quello ippogrifo, grande e strano augello».

28 Ivi, VI, 60, v. 7.

29 Ivi, VI, 61, v. 1.

30 Ivi, VI, 63, v. 8.

31 Sull’argomento, oltre agli studi di J. BaltruŠaitis, si veda J. Clair, Hybris. La fabbrica del mostro nell’arte moderna. Omuncoli, giganti e acefali [2012], trad. it. di R. Izzo, Milano, Johan & Levi Editore, 2015.

32 L. Ariosto, Orlando Furioso, VI, 62, v. 6.

33 Già nel 1970 Dino Buzzati diceva di Possenti «da tempo non si incontrava un pittore fantastico così originale e aristocratico». D. Buzzati, ‘Antonio Possenti’, Corriere della sera, 6 dicembre, 1970, in M. C. Cabani (a cura di), Antonio Possenti un lungo viaggio. Antologia della critica 1967-2013, p. 167.

34 L. Ariosto, Orlando Furioso, XIX, 33, vv. 1-4.

35 Ivi, XIX, 36, v. 5.

36 Ivi, XXV, 60, v. 7.

37 La rappresentazione di questo episodio secondario del poema richiama l’iconografia del dipinto di Dosso Dossi, Angelica e Orlando Furioso (già Ninfa inseguita da un satiro), 1516 circa, la cui iconografia è stata ampiamente argomentata da Fausta Navaldo e Gianluca Poldi nel catalogo I voli dell’Ariosto. L’Orlando furioso e le arti, (Tivoli, Villa d’Este 15 giugno - 30 ottobre 2016), Milano, Officina Libraria, 2016, pp. 210-217.

38 Si veda, ad esempio, A. Possenti, Un burattinaio sulla spiaggia, dipinto su tavola, in M. C. Cabani (a cura di), Antonio Possenti un lungo viaggio. Antologia della critica 1967-2013, p. 110.

39 L. Ariosto, Orlando Furioso, VI, 50, vv. 1-2.

40 Il viaggio – e in particolare il viaggio marittimo – è una delle costanti nella produzione dell’artista; altrettanto si dica per l’utilizzo delle carte nautiche come supporto disegnativo. A titolo esemplificativo ricordiamo: A. Bimbi, A. Natali (a cura di), Antonio Possenti. Carte nautiche, arcipelago dell’immaginario, Firenze, Polistampa, 2016; Possenti. Carte nautiche di un viaggiatore senza meta, catalogo della mostra (Simeri, Villaggio Valtour 9-23 settembre 2006), Firenze, Masso delle Fate Edizioni, 2006.

41 L. Ariosto, Orlando Furioso, III, 72, v. 2.

42 M. C. Cabani, ‘Ariosto in Garfagnana’, in Antonio Possenti. Altrove e altri luoghi. Occasioni e suggestioni dall’Orlando furioso, p. 69.

43M. C. Cabani, ‘Fantasie eroicomiche nella pittura di Antonio Possenti’, in G. Biondi, C. Stefani (a cura di), Alessandro Tassoni. Spirito bisquadro, catalogo della mostra (Modena, Museo Civico d’Arte 12 dicembre 2015 - 13 marzo 2016), pp. 177-178.

44 A. Possenti, Guardaroba di D’Annunzio, olio su tavola, 1995. L’opera è riprodotta in M. C. Cabani (a cura di), Antonio Possenti un lungo viaggio. Antologia della critica 1967-2013, p. 79.

45 P. C. Santini, ‘Freud. Occasioni e suggestioni’, in Freud. Occasioni e suggestioni. 12 litografie originali di Antonio Possenti, edizione in occasione della mostra personale di Antonio Possenti (Milano, Galleria Gian Ferrari, novembre 1980), Milano, Galleria Gian Ferrari, 1980 in M. C. Cabani (a cura di), Antonio Possenti un lungo viaggio. Antologia della critica, p. 198.

Ringrazio Maria Cristina Cabani, Francesca Fazzi e Giovanni Possenti per la cortese disponibilità.