4.9. Casa-Palazzo: rimodulazione simbolica degli spazi tra persistenze e orizzonti metamorfici

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  • [Smarginature] «Ho ucciso l'angelo del focolare». Lo spazio domestico e la libertà ritrovata →
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Tra casa e ‘palazzo’ del governo si dipana una rete di relazioni che attinge al carattere polifunzionale degli edifici nelle loro pratiche d’uso, agli assetti socio-economici e ai regimi simbolici socio-culturali, nella loro mutua interazione. Il contributo intende riflettere sulla messa in scena delle spazialità in questione nella rappresentazione di donne ai vertici del governo della res pubblica proposta dall’attuale serialità televisiva e in narrazioni ambientate nel presente. In particolare ci si soffermerà su due prodotti, la serie danese Borgen e la spagnola Privacy (Intimidad), entrambe attualmente disponibili in Italia su Netflix. Nella loro dislocazione in un Nord e un Sud dell’Europa sono parse infatti offrire una interessante, e talora inattesa, prospettiva di osservazione.

A web of relationships unravels between home and government ‘palace’ that draws on the multifunctional character of buildings in their practices of use, socio-economic arrangements, and socio-cultural symbolic regimes in their mutual interaction. The paper intends to reflect on the enactment of the spatialities involved in the portrayal of women at the top of the Res Publica proposed by current television seriality and in narratives set in the present time. In particular we will focus on two productions, the Danish TV series Borgen and the Spanish Privacy (Intimidad), both currently available in Italy on Netflix. In their dislocation in Northern and Southern Europe they indeed seemed to offer an interesting, and sometimes unexpected, perspective of observation.

Tra casa e ‘palazzo’ del governo si dipana una rete di relazioni che attinge al carattere polifunzionale degli edifici nelle loro pratiche d’uso, agli assetti socio-economici e ai regimi simbolici socio-culturali, nella loro mutua interazione. Come ricorda Carlo Tosco nel suo Il castello, la casa, la chiesa (2003), l’architettura è infatti un fenomeno complesso non certamente riducibile al mero aspetto costruttivo. I due riferimenti architettonici configurano dunque campi dinamici di interazioni, più o meno polarizzate, di cui l’edificio costituisce solo una delle componenti. Singolarmente e nella reciproca tensione, risultano particolarmente sensibili in un’ottica di genere, indagata del resto da una consolidata tradizione di studi. Il contributo intende riflettere sulla messa in scena delle spazialità in questione nella rappresentazione di donne ai vertici del governo della res pubblica proposta dall’attuale serialità televisiva e in narrazioni ambientate nel presente. In particolare ci si soffermerà su due prodotti, la serie danese Borgen - Il potere (Borgen, 2010-2022; S. 4, Ep. 38)* e la spagnola Privacy (Intimidad, 2022; S. 1, Ep. 8), entrambe attualmente disponibili in Italia su Netflix. Nella loro dislocazione in un Nord e un Sud dell’Europa sono parse infatti offrire una interessante, e talora inattesa, prospettiva di osservazione.

 

1. Donne (seriali) al Palazzo del governo

La serialità televisiva è un osservatorio privilegiato per monitoraggi di genere e luogo di promozione di politiche di gender balance, più o meno compiutamente realizzate. Negli ultimi decenni una significativa gamma di proposte è stata incentrata sull’ascesa di donne a ruoli apicali nelle istituzioni pubbliche di governo (Moïsi 2017). Vi si annoverano narrazioni con esplicita matrice biografica ora a valenza documentaristica (tra tutte, il biopic in cinque episodi Thatcher: A Very British Revolution, 2019) ora liberamente ispirate al fascino imperituro di grandi regine e personalità. Di carattere invece finzionale (inteso qui nell’accezione di non direttamente attribuibile a un referente individuale dichiarato), Borgen - Il potere (Borgen, 2010-2022; S. 4, Ep. 38)* e Privacy (Intimidad, 2022; S. 1, Ep. 8) si alimentano di tendenze sociali e cronache contestuali.

Chiamati in causa quasi per inerzia nei political drama – tanto più nella loro declinazione di genere –, ‘casa’ e ‘palazzo’ sono componenti dominanti nell’economia narrativa e rappresentazionale di entrambe. Nel caso della serie danese, il titolo originale è il rinvio architettonico: «borgen» (castello) è infatti appellativo diffuso per indicare il Christiansborg Slot (Christiansborg Palace) dove hanno sede le maggiori istituzioni del Paese; nei dialoghi la formula abbreviata, tradotta in italiano con «Palazzo», restituisce sia la sua accezione logistica sia quella di luogo del potere.

Diversamente da altre, precedenti e coeve, opere, le protagoniste di entrambe le serie in esame appaiono solidamente legittimate nel ruolo di leader. La danese Birgitte Nyborg (Sidse Babett Knudsen) è Segretaria del partito moderato. In quanto tale viene designata alla funzione di Primo ministro quando un esito del tutto imprevisto delle elezioni crea le condizioni della sua nomina. Il fatto – esplicitato come senza precedenti nella narrazione – che tale incarico sia assegnato a una donna diviene l’asse su cui verte l’intera prima stagione. Altrettanto solidamente legittimata è, nella serie spagnola, Malena Zubiri (Itziar Ituño, conosciuta per La casa di carta) nella sua corsa alla massima carica di governo nella scala urbana, quella di sindaco di Bilbao, almeno fino a quando uno scandalo non rimette tutto in discussione. Se sullo sfondo della prima, Nyborg, aleggia la figura di Helle Thorning-Schmidt (‘prima’ Primo Ministro donna tra il 2011 e il 2015), la seconda, Zubiri, rinvia a un più generale processo di affermazione in ambito istituzionale di cui Ada Colau Ballano, sindaca di Barcellona nel 2015, è rappresentativa.

 

2. Tra casa e Palazzo

Il processo di rivendicazione del diritto di accesso delle donne alla spazialità pubblica e al loro effettivo insediamento nell’esercizio del governo è nucleo tematico sia di Borgen che di Privacy, in questa seconda marcatamente evidenziato dal gender gap nella composizione del direttivo del partito, ridotta a Zubiri stessa e alla sua mentore, Miren (Emma Suárez).

Diversamente da altre tradizioni geopolitiche – tra tutte, la White House americana e la Casa Blu coreana, i cui edifici progettualmente prevedono aree istituzionali e residenziali –, il Palazzo frequentato da Nyborg e Zubiri nello svolgimento delle funzioni istituzionali è distinto dal luogo della loro residenza. Utile ricordare come, anche laddove le due funzioni siano progettualmente disgiunte, non infrequentemente il Palazzo ‘viva’ contestualmente una topologia istituzionale e una domestica, che talora trova enfatizzazione nella messa in scena audiovisiva: il Palazzo si fa ‘casa’ nell’accoglienza, dai modi conviviali, di delegazioni ufficiali oppure nell’offrire un, più o meno occasionale, ristoro ai suoi occupanti [fig. 1]. Il ‘palazzo’ come ‘casa’ è inoltre metafora che sorregge le discorsività della nazione.

Sull’asse che connette la casa al Palazzo, non può mancare un, seppur breve, riferimento al tracciato delineato da Giorgio Agamben in Che cos’è un dispositivo. Da questo riprendiamo il rapporto di scala tra oikos e altre istituzioni, inscritto nell’ordine della «gestione, management» in cui l’oikos/casa è compresa come unità minima – e di base – , nonché il rinvio alla valenza di «prassi» dell’oikonomia aristotelica, «attività pratica», piuttosto che «paradigma epistemico» (Agamben 2006, p. 10). Nella cornice data, la valenza di ‘famiglia’, assunta talora dal termine ‘casa’, riflette la natura concreta della figura retorica, andando a indicare non una sfera affettiva bensì una delle competenze gestionali. Agamben si sofferma successivamente sulla ricomparsa del termine nella teologia cristiana per evidenziare un nodo decisivo anche al di fuori della dottrina in questione, ovvero la necessità di riconnettere la sedimentazione della valenza meccanico-operativa, e delegata, dell’oikonomia, alla manifestazione incarnata di un disegno superiore. L’articolato percorso delineato da Agamben ci ricorda la sfaccettata distinzione tra ‘governo’ e ‘amministrazione’. La figura della ‘domina’ quale ‘signora della casa’ – dotata di attributi di responsabilità e decisionalità nella sua funzione di efficiente amministratrice (delegata), tanto dei beni quanto del tessuto relazionale – non è infatti infrequente in contesti decisamente patriarcali e passibile di essere trasferita sulla scala ‘maggiore’ del Palazzo.

Sempre sul versante della ‘casa’, è utile almeno menzionare la dimensione polisemica ancora fortemente attiva nella sua percezione corrente: vi possiamo distinguere la struttura abitativa, nel suo rispondere ai bisogni materiali (house), la componente affettiva, riversata sui residenti-famiglia, e lo statuto identitario nel suo riverberare sentimenti di appartenenza (home). Al suo interno si registra il subdolo slittamento tra il regime del domestico e quello del privato, quest’ultimo tendenzialmente fagocitato, per quanto attiene alle donne, nel primo. Di converso, anche al di fuori del recinto della casa possono configurarsi spazialità che ne riflettono le connotazioni. In ‘domestici’ si commutano infatti quegli edifici i cui muri – materiali o sociali – delimitano e schermano ciò che vi accade all’interno; la coesistenza di questa natura del domestico al di fuori del perimetro della casa è significativa del campo di risonanza della valenza politica del privato reclamata dai movimenti femministi. In questa direttrice, la rivendicazione del diritto di accesso a luoghi della sfera pubblica non è da intendersi come tassello aggiuntivo che amplia il raggio di movimento concesso, magari senza necessariamente commutare il segno della spazialità conquistata in considerazione di quella polifunzionalità e coesistenza sopra richiamata; insegue piuttosto un’azione atta a sovvertire l’intrinseca connivenza, nell’ottica patriarcale, delle qualificazioni di pubblico e privato.

 

3. Tra persistenze e orizzonti metamorfici

Le interferenze tra incarico istituzionale e vita domestica/famigliare quale tratti distintivi del political drama al femminile si riversano sulla centralità assegnata alle spazialità della casa e del Palazzo, in quanto edifici e campi di relazioni; Borgen e Privacy non fanno eccezione. La separazione materiale tra Palazzo e abitazione è al riguardo elemento di enfatizzazione; diversi, tuttavia, appaiono gli approcci narrativi e rappresentazionali messi in gioco e le implicazioni nella configurazione delle rispettive protagoniste.

Il prodotto danese [fig. 2] – di cui prendiamo in esame solo la prima stagione – prende avvio da uno slancio ascendente ovvero l’inattesa vittoria elettorale che vede Birgitte Nyborg imporsi nella miscela vincente (e attesa) di genuinità, perseveranza ed estraneità ai codici della professione. Vi rientrano tanto un look inadeguato – dalla consapevole trascuratezza del dresscode, al sovrappeso indotto dallo stress della campagna elettorale [fig. 3] – quanto decisioni strategicamente inopportune e progettualità di governo improntate a una pax sociale-solidale che solo l’essere outsider della protagonista rende plausibile [fig. 4]. Emblematica è l’apparizione al confronto elettorale televisivo che chiude il primo episodio, in cui la candidata denuncia la finzione della comunicazione politica fatta di domande programmate e dichiarazioni preimpostate, lanciandosi in un accorato appello finale difforme – lo dichiara – dalle linee stilate dal responsabile della comunicazione di partito.

La traiettoria narrativa delle stagioni successive sarà improntata al precario equilibrio tra un addomesticamento al Palazzo professionalmente necessario (visivamente restituito dal cambiamento di abbigliamento e della modellazione di un corpo consono) e il mantenimento dello spirito originario insidiato dalla posizione ottenuta nelle sale del ‘potere’. Se i singoli episodi registrano al riguardo curve altalenanti, la linea tracciata dalla messa in scena della spazialità domestica si fa sismografo che registra un progressivo, e fatale, venir meno dell’efficienza gestionale di Nyborg sulla casa, edificio e tessuto relazionale, e il parallelo ritrarsi dell’appoggio solidale e partecipato del marito [fig. 5]. Là dove il Palazzo tollera incursioni della famiglia – per quanto sempre sotto la stretta vigilanza dei maestri di cerimonia di turno, pronti ad approfittarne a vantaggio del Palazzo stesso –, la presenza del ‘palazzo’ negli interni domestici è elemento disgregante. Sintomaticamente, l’intervista televisiva svolta nel salotto di casa, a beneficio degli elettori e delle elettrici per rassicurarli sulla tenuta ‘famigliare’ della Prima Ministra, sancisce al contempo il punto di non ritorno della relazione di Nyborg con il partner e l’inversione dello slancio iniziale che aveva visto la candidata imporsi ‘strappando’ le maglie del sistema. Didascalicamente, la scena è disposta a specchio con un’altra intervista a un navigato politico, collocata all’altezza dell’insediamento di Nyborg a Palazzo, dove la famiglia è chiamata in causa in modo funzionale e pretestuoso. La prima stagione prospetta dunque la persistenza di geografie topologiche acquisite che, nel mutato equilibrio introdotto dall’approdo della protagonista a una posizione apicale, confermano il loro potenziale deflagrante e ingabbiano Nyborg in un costante dibattersi. In questa cornice il trattamento stesso della protagonista resta sospeso tra una personalità dotata di carattere, e di solida esperienza, e la neofita bisognosa di un mentore, incarnato principalmente dal fidato compagno di partito e poi dal marito, docente universitario. In questa rete, le figure femminili interne al Palazzo ruotano attorno a Nyborg, ora come componenti da gestire ora come forze potenzialmente contrapposte, da disinnescare. L’approdo sacrificale che incombe sulla casa di Nyborg, e che impone alla personaggia una scelta di campo, sancisce l’inconciliabilità irriducibile di spazialità pubblica e domestica, in cui la seconda è destinata a implodere.

Una spazialità porosa contrassegna invece Privacy [fig. 6]. Decisamente una insider, Malena Zubiri è presentata come politica navigata, pragmatica e dalla solida esperienza, caratterizzazioni che non subiscono oscillazioni nell’arco dello sviluppo narrativo; la sua postura rimane invariata anche nell’ambito domestico che pure, coerentemente agli ingredienti tipici del political drama al femminile, costituisce una delle spazialità dominanti del racconto. In virtù dell’angolazione narrativa adottata, e della sua declinazione in sceneggiatura, a venire meno in Privacy è invece la dicotomia rappresentazionale che vedeva in Borgen la progressiva alterazione dello spazio domestico. Se Borgen tratta questioni di genere, in Privacy è il genere filmico a essere rimodellato da istanze sensibili in un’ottica di genere, contaminando la struttura del political drama. Come il titolo italiano suggerisce, il motore drammatico è quello della violazione della privacy in una delle sue forme più aggressive, rese tali dalla rapidità di circolazione permessa dalle attuali tecnologie di comunicazione: il revenge porn o, meglio, il fenomeno della pornografia non consensuale, consistente «nella diffusione di immagini pornografiche o sessualmente esplicite» a scopi lesivi. Introdotto nel primo episodio, travolge la corsa elettorale di Zubiri a sindaca di Bilbao divenendo il perno dell’intreccio su cui si avvinghia l’armamentario del political drama: intrighi, bassezze, derive. Extra-ordinaria è la messa in scena dell’evento: oltre che virale nel web, le immagini del rapporto sessuale extraconiugale sono diffuse e moltiplicate dalla pluralità di schermi che punteggiano il quotidiano e il paesaggio metropolitano, imponendosi allo sguardo [fig. 7]. La spettacolarità di tale messa in scena non è aliena da implicazioni discutibili; l’enfasi sul carattere poroso della spazialità, che permette il movimento pervasivo delle immagini, e della loro violenza, evidenzia anche un orizzonte passibile di ri-orientamenti e sviluppi. La connotazione dell’irraggiamento è rafforzata dalla scelta di innestare la vicenda di Zubiri su un tessuto variegato di altre esperienze di donne, tra cui la figlia, investite dal medesimo fenomeno con modalità meno plateali ma non meno incisive, ibridando il political drama con un dramma sociale di respiro corale, a sua volta attraversato da una multiforme tensione tra pubblico e privato.

L’impianto scenografico, di sapiente orchestrazione visiva e registica, esalta le qualità architettoniche della città tanto negli esterni, dal fascino ora monumentale ora futuristico, quanto negli interni di edifici istituzionali e residenze, conferendo ai luoghi dell’ambientazione una personalità a sé stante, non unicamente vincolata alle tensioni delle personagge. Pur dominanti, casa e Palazzo risultano dunque tessere di un panorama più esteso che, da un lato, possiamo ricondurre alla sfera urbana – che Zubiri si predispone a governare – dall’altro alle vite private di un insieme di donne, di fatto protagoniste al di là della rilevanza performativa e narrativa assegnata alla figura di Zubiri. Se gli interni domestici permangono significativi per questo privato ‘al femminile’, tuttavia non lo esautorano.

All’interno della messa in scena architettonica, i poli del pubblico e del privato, apparentemente distinti e riconoscibili, fanno mostra di una reversibilità, individuando un campo nevralgico di intervento in cui la mutazione di segno (da privato a pubblico e viceversa; da inaccessibile ad accessibile) costituisce non l’approdo, bensì un’azione strategica finalizzata a un processo metamorfico. In tale senso deve essere intesa la linea narrativa ambientata nella fabbrica dove si snoda la tragica vicenda di una delle co-protagoniste, morta suicida all’inizio del primo episodio: alla sua voce over fantasmatica è assegnato il compito di accompagnare liricamente la traiettoria di Zubiri. Conforme a un privato-domestico è infatti l’ambiente lavorativo il cui interno, schermato, è luogo di persistenza di una violenza patriarcale resiliente a un cambiamento annunciato ma svuotato in pura retorica. La mobilitazione, che riversa sulle strade ciò che era tenuto intra moenia, è al riguardo un esempio di commutazione strategica, sul modello delle azioni storicamente messe in atto dai movimenti femministi.

Al versante metamorfico guarda invece la sequenza che chiude narrativamente il primo episodio, contestualmente determinando l’orizzonte di quelli successivi. Snodo è, come in Borgen, il discorso che la protagonista tiene in un momento cruciale dell’intreccio. In Privacy, tuttavia, ci troviamo nel cuore del Palazzo, nelle stanze del Municipio, dove il substrato della violenza patriarcale, dissimulata, è pronto a rialzare la testa non appena la superficie si increspi; più esattamente siamo nel ‘salotto’ del Palazzo, la sala deputata agli annunci ufficiali e alla stampa. Al centro dell’attenzione, Zubiri è chiamata a recitare la parte assegnatale: esplicitare la rinuncia alla candidatura nel nome di un decoro pubblico, che si fa stigma. Di nuovo, siamo in procinto di assistere a un coup de théâtre. Diversamente da Nyborg, Zubiri tuttavia non rivendica la sua estraneità, non dichiara uno strappo: lo agisce discorsivamente. La sua arte oratoria si insinua con perizia nella tradizione da cui proviene: nel suo avvio la struttura argomentativa iniziale appare conforme ai dettami ricevuti da chi l’ascolta in prima fila. Politicamente corretta, la dichiarazione avvalla le ragioni della donna quale parte lesa, sancisce il portato criminale della circolazione non consensuale di immagini private. Nel rivendicare il diritto alla privacy non mira – come da istruzioni – ad annunciare il suo ritirarsi in uno spazio ‘protetto’ bensì a rendere socialmente accettabile il suo stare nello spazio pubblico. Modificandone l’approdo Zubiri riconfigura: non solo, in quanto portatrice di diritto, conferma la propria candidatura, ma la attribuisce alla decisione, solidale, del partito stesso. Nel farlo, blinda da politica raffinata la propria mossa e al contempo rimodella il paesaggio del ‘pubblico’ e del ‘politico’. La menzogna, abilmente agita in una circostanza che ne impedisce lo smascheramento, si fa assunzione di una presa di responsabilità: alla rivendicazione della distinzione dello spazio privato dalla sfera pubblica contrappone una spazialità politica come rifondazione della ‘casa’. Una casa che predispone, per i suoi abitanti, stanze ‘tutte per sé’: lungi dall’essere una forma negoziale, la stanza per sé disegna piuttosto l’orizzonte di una spazialità riprogettabile. Per questo, scolpita nel titolo originale, Intimidad, l’intimità è il punto di torsione su cui si erge il pronunciamento della protagonista. Non è la privacy a essere rivendicata; non sono le immagini divulgate, ‘esposte’, a insidiare quanto Zubiri esige dal momento che l’intimità non è riducibile a luoghi perimetrati, schermati e autoreferenziali. L’intimità, per darsi compitamente, necessita talora di essere esibita per rivendicarsi come spazialità deputata all’elaborazione e manifestazione del sé, da riversare in uno spazio condiviso quale agente di trasformazione. Il discorso di Zubiri è, in sé, la creazione di questo spazio, che accoglie il suo agire successivo e l’orizzonte metamorfico a venire [fig. 8].

* La quarta stagione, in italiano Borgen - Potere e gloria (Borgen - Power and Glory, 2022, Ep. 8), è talora indicata come S. 1 di uno sviluppo derivato ma a sé stante.

 

Bibliografia

G. Agamben, Che cos’è un dispositivo?, Milano, Nottetempo, 2006.

D. Moïsi, La geopolitica delle serie tv, Roma, Armando Ed., 2017.

C. Tosco, Il castello, la casa, la chiesa. Architettura e società del Medioevo, Torino, Einaudi, 2003.