Sono trascorsi quasi venti anni da quando Roberto Zappalà, dopo aver visto un mio video, mi chiedeva di girarne uno per Mediterraneo:(le antiche sponde del futuro). Il video per motivi tecnici e produttivi non poté essere realizzato e i suoi possibili contenuti si trasformarono in parole e azioni. Un’impossibilità è stata alla base di una collaborazione che nel corso degli anni si è trasformata in amicizia, e quindi, riportando tutto a un rapporto di lavoro, quanto di più lontano possibile da un sistema o metodo codificato.
Questo non-sistema è ormai diventato naturale al punto che individuarne le costanti, gli snodi indispensabili è quasi impossibile: come riconoscere dei punti di sutura ormai perfettamente rimarginati.
Per chiarire, prima di tutto a me stesso, questo (non)metodo di collaborazione cercherò comunque di riconoscere delle ripetizioni, dei percorsi obbligati, per tracciarne una mappa, consapevole però che si tratta di una mappa mutevole, mai definitiva.
Tutto fra noi nasce dal conversare, dalla parola parlata nelle condizioni e nei luoghi più disparati: ufficio di Roberto, tavola più o meno imbandita, spiaggia, auto, telefono, (soprattutto di notte; Roberto è spesso in tournée all’estero, e si sa, i fusi orari...), passeggiate. Questa parete di parole si trasforma in tempi diversi, a seconda della singola creazione che detta le sue regole oscure ma ferree, in una quantità di appunti (e anche di disegni di Roberto) altrettanto esagerata, appunti caotici e quasi incomprensibili a distanza di intervalli lunghi. Vero e proprio materiale grafico non figurativo.
Poi tutto questo si razionalizza attraverso l’operazione forse più importante di tutto il processo creativo: la riduzione ai minimi termini. Tagliare, sfoltire, eliminare, distillare, centrifugare, assorbire, cancellare, strappare pagine. Quello che resta è il vero punto di partenza. Quello che c’è stato prima viene abbandonato e scompare, ma solo in apparenza. È un rimosso sempre pronto ad affluire quando serve.
Da questo primo momento mobile la navigazione ha spesso delle rotte quasi obbligate che è possibile allineare, in maniera forse troppo netta, in tre grosse macrostrutture che si susseguono in quest’ordine: la ricerca, il dizionario, la relazione.
La ‘ricerca’ consiste essenzialmente nella creazione di un archivio dal quale poter attingere idee, parole, riferimenti visivi e iconografici dal mondo del cinema, del video, e dalla storia dell’arte e della fotografia. Può essere fatta anche sul campo, per esempio assistendo, da non catanese, a tutte le fasi della processione di S. Agata per A semu tutti devoti tutti?
L’archivio è il serbatoio dal quale si pesca per un ‘dizionario’ di parole-chiave spesso costituito da coppie di opposizioni e da una sinfonia di citazioni letterarie, filosofiche, cinematografiche...
Il passo ulteriore, ‘la relazione’, è quello che si consegna ai danzatori il primo giorno di prova dove sono presenti le linee guida dello spettacolo e quasi sempre il dizionario di parole.
Queste tre tappe, così razionalizzate solo a posteriori, in ogni caso scaturiscono da fondamentali scambi di e-mail e da continui aggiustamenti, calibrazioni, sistemazioni.
Rileggendo questa descrizione sembra tutto molto meno ‘casuale’ di quanto in realtà sia, a volte capita di lasciare in sospeso del materiale che poi si impone solo dopo, anche a prove già iniziate.
Alla base di tutto c’è il dialogo, un dialogo che a volte si affatica e s’incarta, e può succedere che quello che si lascia rimane solo perché non si è trovato di meglio. Questa non vuole essere una giustificazione a posteriori di eventuali carenze o insoddisfazioni, per niente, anzi rivendica una consapevolezza, che è quella di Brodskij sulla lingua superiore al poeta, e mi serve per concludere ricordando un’altra collaborazione, caratterizzata dall’amicizia e dalla lunga durata che la contraddistinse. Una collaborazione leggendaria nella storia del cinema, ovvero quella tra Billy Wilder e lo sceneggiatore I.A.L. Diamond. A proposito di accontentarsi perché non si è trovato di meglio, Wilder ricorda quando lui e Diamond chiusero una sessione di sceneggiatura assolutamente convinti che quel «Nessuno è perfetto» del finale di A qualcuno piace caldo, forse la replica più famosa e riuscita di tutta la storia del cinema, sarebbe stata sicuramente cambiata l’indomani.
1. #Mappe per luoghi inesplorati * Appunti, riflessioni, scarti in ordine sparso
Per Progetto Caino e Abele (sul sale in scena per Corpo a corpo)
La storia del sale è la storia del mondo.
Fondamentale per la sopravvivenza umana, senza sodio, che noi non produciamo. Non riusciremmo a trasportare nel corpo le sostanze nutritive e l’ossigeno e non sarebbero possibili gli impulsi nervosi e i movimenti muscolari, cuore compreso.
Fondamentale anche per conservare il cibo, la ricerca del sale è sempre stata vitale e la civiltà è cresciuta intorno alla sua produzione, trasporto e commercio, legando in maniera indissolubile il sale al potere.
Se quello di Caino e Abele è il primo conflitto dell’umanità, niente meglio del sale può simboleggiarlo ed evocarlo; infatti, conflitti e guerre per il controllo del sale punteggiano l’intera storia della civiltà umana e già dal 1875 ricerche sociologiche hanno stabilito un nesso molto stretto tra sale e tirannia.
Se nello scontro tra Caino e Abele è trasfigurato simbolicamente lo scontro tra nomadi e stanziali, anche in questo caso il sale può essere una metafora che bene vi si accorda; infatti, i nomadi assicuravano il sale alle popolazioni sedentarie con tutte le conseguenze del caso, guerre da una parte e accordi commerciali dall’altra. Guerre e accordi che ci riportano da una parte a Corpo a corpo e dall’altra a Come le ali.
Violenza/non violenza altra dicotomia che la storia di Caino e Abele ci presenta. Ci porta a Gandhi che non a caso in India costruisce la lotta non violenta per l’indipendenza intorno al rifiuto della tassa sul sale.
E per tornare alla bibbia, nel libro dei numeri il patto con Dio è definito «patto di sale». Patto che Abele rispetta e Caino infrange.
E anche in relazione alla lotta e al ring il sale assume degli aspetti sacri e simbolici come nel sumo, dove prima di ogni incontro, i lottatori raccolgono da un apposito contenitore una manciata di sale e la lanciano sul dohyo (la zona di combattimento). Tale gesto è propiziatorio e ben augurante, finalizzato a proteggere i sumitori da sfortunati scontri, ferite, infortuni e cadute.
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CORPO A CORPO
Indaga la violenza che i corpi subiscono ed esprimono sin dall’inizio della vita.
Il corpo a corpo di Caino e Abele è la prima lotta che sfocia nel primo lutto. È anche il primo delitto, il primo fratricidio e anche il primo martirio.
La prima conseguenza della rottura del rapporto fra gli uomini con Dio. Una rottura così tragica e definitiva da condurre al delitto.
Corpo a corpo è il dionisiaco: l'impulso alla vita, alla volontà di potenza presente nell'uomo che porta a un'esplosione di emozioni incontrollate e quindi alla morte.
Corpo a corpo è l’odio. «Il soggetto prova dunque per il suo modello un sentimento lacerante formato dall'unione di due opposti che sono la venerazione la più sottomessa ed il rancore più intenso. È il sentimento che chiamiamo odio. Solo l’essere che ci impedisce di soddisfare un desiderio, che lui stesso ci ha suggerito, è realmente oggetto di odio. Quello che odia si odia inizialmente lui stesso a causa dell'ammirazione segreta che cela il suo odio. Per nascondere agli altri, e nascondere a sé stesso, quest'ammirazione infinita, non vuole vedere altro che un ostacolo nel suo mediatore». (R. Girard)
Il ‘corpo a corpo’ è anche, nel senso letterale e figurato, tra diverse espressioni artistiche: il leader classico e la musica elettronica.
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COME LE ALI
Come le ali è la SIMBIOSI.
Esplora un mondo legato all’intesa, al legame, all’intima unità che dovrebbe esistere non solo tra gli uomini, ma anche tra gli ‘organismi animali e vegetali’.
Un’esplorazione utopica della convivenza ottimale.
Simbiosi è l’utopia in atto nel presente della danza.
Simbiosi è l’incontro di due corpi danzanti, quasi un nuovo organismo biologico. Simbiosi come simbolo di legame e di fusione, non più attriti e violenze fratricide, ma parità e condivisione e cosa c’è di più forte e più immediato per evidenziare queste prospettive se non la metafora dell’unisono, del simultaneo, del sincronico che si crea nella danza?
Simbiosi è l’Apollineo, la ‘ratio’ umana che porta equilibrio nell'uomo, che lo spinge a produrre forme armoniose, rassicuranti e razionali.
‘dizionario’ per Caino e Abele
CORPO A CORPO
Conflitto / Odio / rancore / Lotta / Gelosia / incomprensione / invidia / rifiuto / attacco / violenza
COME LE ALI
Amore / accettazione / Fratellanza / amicizia / non violenza / empatia / simbiosi
Considerazioni di carattere generale.
Secondo alcuni il racconto di Caino e Abele è considerato una rappresentazione narrativa del contrasto tra la vita dei nomadi e quella degli stanziali. (pastori contro contadini)
Riportando alla danza potrebbe essere interessante un contrasto tra una tendenza al movimento di Abele (nomade) e quella all’immobilità di Caino (stanziale).
Abele Centrifugo e Caino centripeto?
Corpo a corpo centrifugo (tentativo di “fuga” di Abele da Caino e conseguente risposta di Caino nel riportarlo Abele a sé, al “centro”)
Simbiosi centripeto (tendenza all’unione sia di Caino che di Abele))
Testi (solo in parte utilizzati)
CORPO A CORPO
CAINO ABELE
Io sono il cattivo Io sono il buono
Io sono l’assassino Io sono la vittima
Io sono il fratricida io sono il giusto
Io sono l’ingrato io sono il virtuoso
Io sono l’invidioso io sono l’amato
Io sono il maschio io sono la femminuccia
Io sono il l’agricoltore io sono il pastore
Io sono lo stanziale io sono il nomade ……
Io sono la radice io sono il respiro
Io sono il ribelle io sono l’ubbidiente
Io sono il negletto io sono il preferito
Io sono il male io sono il bene
io non sentivo niente io sentivo la sua voce
Io tendo all’immobilità, sto fermo io tendo al movimento, mi muovo
Il mio nome è diventato un aggettivo il mio nome no
nessuno si chiama più come me ancora qualcuno si chiama come me
Io vado verso il centro io fuggo dal centro
Il cattivo è sempre più interessante solo nelle storie, nella realtà e al contrario
COME LE ALI
Noi siamo una storia
Noi siamo fratelli
Noi siamo una coppia
Noi siamo due figli
io sono il rinoceronte io sono l’uccello guardiano siamo mutuali (#)
io sono lo squalo io sono la remora siamo commensali (#)
io sono il crostaceo io sono la balena siamo inquilini (#)
io sono l’onda io sono la particella siamo la luce
Non siamo utopia. Siamo la radice di un futuro possibile
(#) terminologia riguardante i vari tipi di simbiosi presenti nel mondo animale
Caino e Abele
Nomi quasi completamente scomparsi, nomi che due genitori quasi con orrore prenderebbero in considerazione per i propri figli
Uno perché troppo cattivo e malvagio, l’altro perché troppo debole e buono.
Come se, per uno strano paradosso, facessero paura entrambi.
E se, ovviamente, siamo Caino e Abele al contempo e a giorni alterni,
Abele oggi non muore ucciso da Caino
Muore senza che il suo assassino risponda a dio o agli uomini
Muore per odio
Muore per indifferenza
Muore per egoismo
Muore per l’assenza di amore per il prossimo
Non è buonismo per anime pie ma quanto di più arduo e raro possa esistere
Perché, come dice Simone Weil:
«L’amore per il prossimo, essendo costituito di attenzione creatrice, è analogo al genio».
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per Naufragio con spettatore e Odisseo il naufragio dell’accoglienza
Il CORPO ETICO è quello che il dittico sul naufragio metterà in scena; è, tra gli altri, quello che nella Sicilia di oggi ci mette a confronto con il migrante che sbarca sulle coste, è quello che mette in gioco l’etica dell’accoglienza.
Naufragio e Odisseo
Creazioni sull’emigrazione/immigrazione e sul rapporto che noi bianchi/occidentali abbiamo nei confronti del popolo migrante.
riflessioni generali
Il tema del naufragio è per noi importante (è utile dal nostro punto di vista perché mette insieme ‘pensieri’ che è possibile ‘tradurre’ in situazioni sceniche) per il fatto che gli sono collegati concetti quali viaggio, fame/sete, morte/salvezza, assenza di spazio ecc., e riferimenti a Ulisse in quanto naufrago e unico sopravvissuto nell’isola di Alcinoo, (e poi anche nel definitivo naufragio secondo la concezione dantesca).
Un filosofo tedesco, Hans Blumenberg, ha scritto Naufragio con spettatore partendo da alcuni versi del poeta latino Lucrezio considerati come una metafora dell’esistenza.
Bello, quando sul mare si scontrano i venti
e la cupa vastità delle acque si turba
guardare da terra il naufragio lontano:
non ti rallegra lo spettacolo dell’altrui rovina,
ma la distanza da una simile sorte.
Da una parte i nomadi, gli avventurosi (nel nostro caso i migranti per necessità) e dall’altra chi sta a riva a guardare i naufraghi (l’indifferenza). Cioè l’atteggiamento dell’uomo di fronte alla vita e alla storia basato sulle contrapposizioni: Contemplazione/azione; Estraneità/coinvolgimento; Empatia/egoismo.
Nell’ambito più inerente allo spettacolo altre contrapposizioni sono importanti:
Assenza di spazio nell’imbarcazione / mare infinito e vuoto; Spingere / essere spinti; Sudare per il caldo / avere freddo; Pregare / imprecare; Gridare / sussurrare; Soffocare / respirare; Continuo movimento (della barca nel mare) / immobilismo (dentro la barca); Soffrire la sete / essere tentati di bere l’acqua del mare; Avere pudore / essere obbligati a fare davanti ad altri anche i gesti più privati; Amare/odiare; Avere un etica personale / contraddirla e negarla per necessità; Morire / essere salvati.
Per suggestioni e stimoli e aspetto iconografico vedere il Géricault de La zattera della medusa.
Anche accoglienza, come naufragio, ci rimanda a concetti ‘utili’ quali: razzismo, indifferenza, sfruttamento, incontro, minaccia, separazione, ospitalità, altro, straniero, ecc.; e ci rimanda a Ulisse che si confronta in prima persona con l’accoglienza in tutto il suo viaggio. Molto interessante una riflessione sulla differenza dell’accoglienza nella civiltà greca antica e oggi, la riporta Ryszard Kapuscinski ne L’altro, quando afferma che in quella civiltà: «gli dei potevano assumere forma umana e comportarsi come uomini. A quei tempi non si sapeva mai se il viandante fosse un uomo o un dio celato sotto sembianze umane. Questa incertezza, questa intrigante ambivalenza è una delle fonti della cultura dell’ospitalità che impone di accogliere con benevolenza il nuovo arrivato».
Kapuscinski cita il poeta polacco Norwid che si interroga sulle ragioni dell’ospitalità ricevuta da Ulisse nel suo viaggio di ritorno: «alla vista di un mendicante e di un vagabondo ci si chiede subito se per caso non si tratti di un dio. Non si accoglie l’ospite chiedendogli chi sia: prima se ne onora la divinità e solo dopo si passa alle domande umane. In ciò consiste appunto l’ospitalità (l’accoglienza)non per niente annoverata tra le pratiche e le virtù religiose. Tra i greci di omero non esisteva l’ultimo degli uomini: egli è sempre primo vale a dire divino».
Non bisogna avere paura dell’altro, di quello che una volta era chiamato barbaro, perché: «La paura dei barbari è ciò che rischia di renderci barbari. E il male che ci faremo sarà maggiore di quello che temevamo di subire» (Tristan Todorov).
Perche Ulisse?
Odisseo/Ulisse era un migrante? Un migrante di oggi è il nuovo Ulisse? Con tutte le ovvie differenze, Ulisse è stato di sicuro, nel suo interminabile nostos o viaggio di ritorno, uno straniero che si è confrontato, (a volte in maniera drammatica vedi Polifemo, altre volte con esiti positivi, vedi l’episodio di Nausicaa) con l’etica dell’accoglienza. Perché Ulisse/Odisseo era l’altro come lo sono oggi i migranti.
E l’incontro/scontro con l’altro è la vera sfida del XXI secolo; l’altro, come dice Kapuscinski, è «lo specchio nel quale ci guardiamo, o nel quale veniamo guardati: uno specchio che ci smaschera e ci denuda e del quale facciamo volentieri a meno», e anche perché «tutti noi, abitanti del nostro pianeta, siamo altri rispetto ad altri».
Sia il viaggio di Ulisse che molte delle tragiche odissee del tempo presente si dislocano entrambi nella stessa mappa: il Mediterraneo.
Il Mediterraneo, luogo geografico dell’Odissea, vede la Sicilia al suo centro; e sempre la Sicilia è stata tra le massime produttrici di ‘materiale umano da esportazione’ tra ’800 e ’900.
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Una domanda per incominciare: perché chi emigra lascia la propria terra?
Non c’è una risposta univoca; con sfaccettature diverse il motivo di base è vivere meglio, rispetto ai luoghi dove la sorte li ha fatti nascere e dove spesso si muore. Si muore (o muoiono i propri familiari) letteralmente di fame, di guerra, di malattie, di soprusi, di mancanza assoluta di libertà. Si va via dalla propria terra per sopravvivere o per cercare un posto dove provare a vivere meglio e con dignità. E anche per aiutare chi è rimasto a casa.
George Perec ha detto che due sono le parole che racchiudono tutto questo: l’erranza e la speranza.
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L’Odissea nasce dalla sistemazione scritta di un preesistente e infinito corpo narrativo orale di racconti; lo spettacolo potrebbe strutturarsi in maniera simile, affastellando innumerevoli ‘eventi’ sul palco, lavorando su uno sviluppo in orizzontale, cioè nella simultaneità.
Continuando con le metafore nautiche, a partire dai testi di Hans Blumemberg, puntare al mare aperto non seguendo una rotta lineare ma figure più tortuose quali curve, parabole, spirali.
Accoglienza
Accoglienza, la seconda parte del dittico non può che seguire Naufragio. Nella lingua italiana c’è una espressione che potrebbe fare da epigrafe al secondo pretesto: «Ti accolgo nelle mie braccia» una frase bellissima che in maniera al contempo lucida e appassionata lega indissolubilmente l’accoglienza e l’abbraccio. E l’abbraccio, prima che possibile metafora dell’accoglienza è un gesto preciso e inequivocabile, è un atteggiamento del corpo, è in definitiva, qualcosa che la danza può esprimere al meglio.
Quasi sempre l’abbraccio accoglie e fa partecipare più persone ad un sentimento comune; ma la sua causa è varia può essere opposta: dalla gioia, alla passione, alla felicità, al dolore. In ogni caso l’abbraccio come l’accoglienza sono posti sotto il segno della condivisione.
In un’altra cultura, in Giappone, esiste quasi una grammatica dell’inchino, nella nostra civiltà si potrebbe instaurare, e forse ne abbiamo bisogno, un’etica dell’abbraccio.
Accoglienza e abbraccio
Ti accolgo nelle mie braccia.
È un’espressione bellissima che in maniera al contempo lucida e appassionata lega indissolubilmente l’accoglienza e l’abbraccio.
Accoglienza e abbraccio sono infatti termini che spesso vengono usati uno come metafora dell’altro ed in entrambi i sensi.
Accogliere e abbracciare sono quasi uno sostituto dell’altro.
L’abbraccio è il gesto che più di ogni altro indica, fa vedere l’accoglienza
Anche la chiesa, l’ecclesia, è etimologicamente, il luogo dove si riunivano i credenti, dove cioè venivano accolti, e non a caso la massima espressione storico architettonico simbolica della cristianità è piazza san Pietro a Roma, piazza caratterizzata dal colonnato del Bernini, due immense braccia che dovevano accogliere metaforicamente (e non solo viste le dimensioni) l’intera cristianità.
Quasi sempre l’abbraccio accoglie e fa partecipare più persone ad un sentimento comune; ma la sua causa è varia: dalla gioia, alla passione, alla felicità, al dolore. In ogni caso l’abbraccio come l’accoglienza sono posti sotto il segno della condivisione. L’accoglienza è falsa se non condividiamo anche poco con chi accogliamo e anche per questo un abbraccio può essere falso se non condivide qualcosa.
L’abbraccio è un gesto che si può declinare in tanti modi.
(gioia, dolore, passione, felicità, stanchezza, ci si abbraccia anche per sostenersi a vicenda, per aiutarsi fisicamente)
L’abbraccio ci riporta alle persone che amiamo o a cui vogliamo bene, alle persone della cerchia familiare. Persone che abbracciamo perché abbiamo già accolto dentro di noi.
Non si abbraccia in maniera indiscriminata.
Ma pensando ad un altro tipo di famiglia, la famiglia mafiosa per esempio, viene da dire che come ogni cosa l’abbraccio non è innocente e puro in maniera assoluta. L’abbraccio è spesso anche un segno di rispetto dovuto a paura e sottomissione un gesto che indica delle gerarchie. Un gesto che nel mondo capovolto, anche dei gesti, della mafia, può essere preludio di qualcosa che è all’opposto dell’accoglienza, cioè il rifiuto, fino all’omicidio della persona che si abbraccia.
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Corpo e naufragio
#1 Un corpo nel naufragio
Nelle condizioni del naufragio, per motivi fisici (assenza di spazio, di acqua, ecc., ecc.) il corpo che si trova in questa condizione estrema è un corpo caratterizzato da una forte ambivalenza: è un corpo al contempo in balia di qualcosa a lui esterno (per esempio le condizioni del mare) ed anche un corpo che lotta fino allo stremo per sopravvivere. È un corpo che sopporta e agisce.
Alcune situazioni fisiche caratterizzano il corpo nel naufragio; situazioni che il corpo non può che subire, ma alle quali non può non reagire.
Sono situazioni rese da verbi quali:
Scivolare (da soli e sugli altri) / Sollevare: se stessi da terra e gli altri da sopra se stessi / Sudare / Sentire freddo/ sentire caldo / Spingere / essere spinti / Soffocare.
Questi verbi/azioni, spesso indicano azioni contrapposte ma che a volte accadono simultaneamente.
Il corpo naufragato si fa anche corpo che grida e che impreca, o anche, in maniera complementare e opposta, che prega e sussurra; è un corpo che scopre anche se stesso come avviene in tutte le condizioni limite; un corpo cioè che supera delle soglie sia fisiche di resistenza, che psicologiche (il pudore è destinato a morire).
È in definitiva un corpo estraneo a se stesso e al mondo che lo circonda ma che fino alla fine lotta e per questo non è mai sconfitto. È un corpo indomito.
Il corpo nel naufragio è abituato a «vivere gomito a gomito, il che crea una dimensione spaziale a sé: lo spazio non è tanto un vuoto quanto uno scambio. Quando si vive ammucchiati gli uni sugli altri ogni gesto si ripercuote sugli altri. Le ripercussioni sono istantanee e fisiche...».
«La contrattazione spaziale è incessante, e può essere amorevole o crudele, pacifica o aggressiva, irriflessiva o calcolata. Ma riconosce che lo scambio non è qualcosa di astratto, bensì un aggiustamento fisico» (John Berger).
#2 Un corpo naufragato
Non solo nelle condizioni estreme e drammatiche del naufragio il corpo ‘naufraga’; nel vivere quotidiano a volte si usa la metafora del naufragio del corpo: «il suo corpo è ormai naufragato», oppure, «è un naufrago», quando vediamo qualcuno il cui corpo e inequivocabilmente in condizioni tali per cui la metafora del naufragio è la migliore, la più esatta per descriverlo: per esempio davanti ad un tossicomane stremato ed in crisi d’astinenza oppure di fronte a certe malattie quali l’Alzheimer, il Parkinson o la sindrome di Tourette . In situazioni più normali ‘sei un naufrago’ si può anche usare in maniera ironica di fronte a qualcuno molto stanco e/o in condizioni di spossatezza.
Il corpo naufragato viene associato in queste situazioni ‘quotidiane’ ad un corpo spossato, estremamente stanco, quasi immobilizzato, o dall’altro lato ad un corpo senza controllo, quasi isterico, super frenetico.
Pensando al naufragio vero e proprio mi viene di associare la seconda possibilità al momento iniziale del naufragio quando esiste ancora la speranza della salvezza ed il corpo attiva tutto se stesso per salvarsi. La prima invece mi fa pensare al momento della perdita di speranza quando il naufrago non lotta più e può solo sperare in un aiuto esterno.
* i luoghi inesplorati sono gli spettacoli ancora in costruzione, gli autori realizzano le loro mappe prima di conoscere i luoghi; esplorato il luogo (spettacolo realizzato), saranno gli spettatori a costruirsi le proprie mappe.