Dominanza di cose. (Pasolini: ipotesi di raffigurazione).* Con un’intervista a cura di Maria Rizzarelli

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 Sabrina Ragucci, Roma. Via Tagliere e dintorni, 2021 © Sabrina Ragucci

Tu sei un appunto preparatorio, un ritornello, un profilo economico, un piano di rientro, un’esperienza di pagamento, un cliente gold, un cliente small business, uno small business, una copia conforme all’originale, un errore già previsto e incoraggiato, una ferita superficiale, un incidente di percorso, un percorso di crescita, una finestra di mercato, una singola immagine, un’origine, una destinazione, uno di noi, uno come tanti, uno analogico, uno già digitale, una tecnica primitiva, una storia, la nostra storia semplice, noi. Tu sei solo, un’immagine di repertorio, una sequenza pur essendo solo, qualcosa a cui è facile credere, un’opportunità, un obiettivo sfidante, un ciclo di realizzazione, una liquidazione a prezzo di realizzo, una nuova collezione, il futuro più grande del tuo passato, il must della prossima estate, un piano di rientro, un episodio di sofferenza, una componente variabile, un riflesso filmato, una firma in calce, un autografo, un pezzo di carta che può definirsi denaro, il nostro DNA, qualcosa di più del tuo raggio d’azione. Tu sei un tasso d’interesse, la propensione al consumo, l’ultima novità, un percorso teorico, un manifesto programmatico, un processo mentale, uno stato di incoscienza, uno stato indotto, il bisogno che precede il denaro, il desiderio che precede il bisogno, la riproduzione infedele di ciò che non accadrà mai. Tu sei il trapassato futuro, una musica diffusa, un muro sonoro, una forma d’esteriorità, un titolo, uno slogan, un ciclo, la geopolitica dell’andare a bere qualcosa, lo spreco di un’energia latente, la nozione di resto, una pulsione di vita, un segno, una pulsione di morte, un prodotto, il passaggio tra fisicità e astrazione, l’equivalenza che diventa sistema, la mano che resiste all’automazione, la riproduzione dell’egemonia altrui. Tu sei un puro consumo di tempo, l’allenamento alla noia, un lavoro nel tempo libero, l’origine, una piccola cosa, il punto in cui la cosa è, l’immagine prefigurata che accadrà ogni volta uguale a se stessa, un target di mercato, l’ingresso al lusso come categoria merceologica, una necessità biologica, un sabotaggio, un attentato, una catastrofe naturale, una ragazzata. Tu sei la distruzione, l’ordine delle cose, un lutto primitivo, una festa, un rito, un ballo propiziatorio, l’alibi di chi guarda, l’esecuzione di un cerimoniale, l’appropriazione privata della distruzione pubblica, l’individuo condannato a essere solo in uno sciame, l’agire comunicativo, il lavoro indistinguibile dal non lavoro, la strategia per crescere. Tu sei un debito, una colpa, un evento, l’immagine che sopraffà l’evento, l’immagine che è evento in quanto immagine, la distruzione, la visione unificante, la libertà di un prodotto in commercio, l’economia della disattenzione, il segno di una dimenticanza. Tu sei pronto per essere sostituito, la materia prima, il punto di non ritorno, il fuoco di un’idea, la rivoluzione di un colore. (Giorgio Falco)

 

 Sabrina Ragucci, Roma. Via Tagliere e dintorni, 2021 © Sabrina Ragucci Sabrina Ragucci, Roma. Via Tagliere e dintorni, 2021 © Sabrina Ragucci

 

Sto lavorando alla storia della mia vita. Basta foto, ombre di ciò che è accaduto. Io non ricordo nulla. Del resto, cosa posso sapere della mia vita? Solo che a un certo punto siamo tutti morti. Il fratello partigiano, prima del padre impazzito, e infine anche la madre. Avrei voluto carpire la mia stessa superficie, quando ero ancora disposto a essere guardato, prima che scoprissi le virtù del non esserci. Io non ci sono, non ci sono dal 2 novembre 1975. Soffro della mia molteplicità. Io non sono nulla, esisto solo come eco di parole ricorrenti, ma quello non sono io. Cristo. Sempre fanciullo. Muoio. Corpo. Occhi celesti. Color dell’alba. Concatenazione di albe immortali. D’innocenze. Drappo. Ribrezzo. Supplizio. Sereno poeta, fratello ferito. Per tre anni sono partito da Ponte Mammolo per andare a Ciampino, dovevo prendere un autobus fino a Portonaccio, un tram fino a Termini e la littorina. Sono stato solo, disoccupato, povero, ignoto. Non per molto, ma non avrei voluto rivivere l’esperienza. Meglio il nulla. Tuttavia, avevo chiesto di non morire. Per questo motivo sono stato costretto a una nuova morte. Sono una figura tragica (figura nel senso che non esisto). Non c’è figura più tragica della mia. Sono pura scomparsa. Nel mio essere sempre presente. Mi conosci troppo bene per conoscermi davvero. Sono una citazione dispersa, scissa dal linguaggio, sia esecutore che prigioniero della mia volontà. Sono ciò che vedi dalla finestra. Luoghi in declino. Palazzina grigio rosa. Casuale imbuto geometrico. Color rosso fragola, tu dici chiaro, io dico scuro. Cielo. Nuvole calde. Oppresso dall’angoscia. Corpo supino. Totale passività. Immobilità obbediente (l’obbedienza è sempre del corpo). Incapace di offendere. Povero aspetto infernale, di miserabile. Giriamo pagina. In Edipo re racconto la storia del mio complesso di Edipo: il bambino del prologo sono io; suo padre è mio padre, un vecchio ufficiale di fanteria, e la madre unistitutrice, è mia madre. I figli fanno esperienze nei campi appartati, nelle case abbandonate, nelle macchine. Questo accade perché i figli sono così erotici, tanto ossuti che sembra facile romperli. Comunque, oggi per me ciò che conta è la perdita verso cui tutto scorre. Posso già presagire che arriveranno le lettere di quelli che mi hanno conosciuto, di quelle che mi hanno amato, di quegli altri che diranno è mio, appartengo a loro: come hai osato parlare di te stesso senza il mio benestare di critico, di amica, di erede? Diranno, tu non capisci cosa significa essere stato te! Ti comporti da fantasma frivolo e crudele. Devo dire che covo un poco di invidia per me stesso. Sono stato giovane, bello, dispendioso, vestivo sportivo, un’estrema attenzione ai dettagli. Pronunciavo presagi nelle grotte, li hanno registrati e – dopo la mia morte – diffusi. Hanno detto: si tratta di verità anticipatorie! Anche quando erano errori o rimaneggiamenti di voci di altre grotte. Tralasciando che chi scrive del presente parla sempre del futuro. In realtà, nella grotta, io mi concentravo sul passato, dicevo frasi come: Ormai essere lontani, Friuli, vale essere sconosciuti. Pare il tempo del nostro amore un mare lucido e morto. Nella luce la tua parte è finita, non ho buio nel petto per tenere la tua ombra. (Sabrina Ragucci)

 

 Sabrina Ragucci, Roma. Via Tagliere e dintorni, 2021 © Sabrina Ragucci Sabrina Ragucci, Roma. Via Tagliere e dintorni, 2021 © Sabrina Ragucci Sabrina Ragucci, Roma. Via Tagliere e dintorni, 2021 © Sabrina Ragucci Sabrina Ragucci, Roma. Via Tagliere e dintorni, 2021 © Sabrina Ragucci

 

*Foto e testi sono stati composti per l’allestimento della mostra Pasolini: ipotesi di raffigurazione, a cura di Marco Delogu, con la collaborazione di Andrea Cortellessa e Silvia de Laude (Eurphoto Project, Roma 25 febbraio - 8 marzo 2022)

 

Intervista a Giorgio Falco e Sabrina Ragucci

a cura di Maria Rizzarelli

Una delle idee forti su cui si regge il percorso espositivo intitolato Pasolini: ipotesi di raffigurazione, allestito a La Nuvola, a Roma, per Europhoto Project da Marco Delogu insieme ad Andrea Cortellessa e Silvia De Laude, è quella di restituire alcuni snodi della ‘topografia sentimentale’ di Pasolini, attraverso le rifrazioni degli sguardi e gli attraversamenti dei luoghi compiuti da alcuni artisti contemporanei.

La costellazione tematica che costituisce l’architettura di fondo della mostra (di cui dà conto il catalogo curato dagli stessi e pubblicato da Punctum) si irradia dalle esposizioni e autorappresentazioni di Jacopo Benassi, ai sopralluoghi di Sabrina Ragucci, Elisabetta Benassi e Giovanna Silva, ai controcampi di Pino Musi, messi in dialogo con la rappresentazione delle periferie esplorate e raccontate da Pasolini stesso e ritratte nelle foto degli anni Cinquanta provenienti dall’archivio di Plinio de Mattiis.[1] È questo senz’altro un modo intelligente di fare i conti con la figura o meglio con la «raffigurazione» di Pasolini, in occasione del centenario della nascita, cercando cioè una via alternativa all’agiografia, come alla banalizzante parafrasi delle sue analisi e delle sue affermazioni. La strada di una ‘ipotetica’ ricerca delle tracce lasciate negli spazi urbani abitati o attraversati da Pasolini, descritti e ritratti nelle sue pagine, nei suoi film, riconoscendo il senso di uno sguardo che quei luoghi ha scoperto e ricreato con la sua penna e la sua macchina da presa. Gli artisti coinvolti sono stati invitati, però, a «tradurre» in nuove immagini la «rilettura» di quei luoghi, offrendo in tal modo «ipotesi alternative di una loro figurazione possibile».[2]

 Sabrina Ragucci, Viterbo. Chia e dintorni, 2021 © Sabrina Ragucci  Sabrina Ragucci, Viterbo. Torre Chia (proprietà Pasolini), 2021 © Sabrina Ragucci Sabrina Ragucci, Viterbo. Torre Chia (proprietà Pasolini), 2021 © Sabrina Ragucci

Sopralluoghi è la sezione nella quale hanno preso forma le foto e i testi di Sabrina Ragucci e Giorgio Falco, che sono qui riprodotti e che ringraziamo per la loro generosa condivisione. Si tratta di parole e immagini che cercano un dialogo ‘a tu per tu’ con il fantasma pasoliniano, nella perentoria ed empatica riproposizione di spazi liminali, di soglie e confini di fronte ai quali lo sguardo si arresta, pur sporgendosi oltre, senza volere annullare alcuna distanza, semmai accettandone l’ineluttabilità. Le coordinate entro cui si muovono Ragucci e Falco, in questa esplorazione dei sensi che si sprigionano ancora dai luoghi pasoliniani (anche nel senso retorico di locii), sono dunque, da un lato, la messa in quadro degli interstizi che separano i soggetti che guardano dalle dimore e dai paesaggi abitati dal poeta, in una riproposizione della postura visiva tante volte evocata da Pasolini nelle sue flânerie; dall’altro, la consegna alla Dominanza di cose residuali, messe a fuoco dall’obiettivo della fotografa e dalla scrittura di entrambi, immagini che emergono dagli sfondi deteriorati, offerti agli occhi del visitatore/osservatore/lettore, con una scelta poetica che ricorda il Montale di Ossi di seppia.

 Sabrina Ragucci, Viterbo. Chia e dintorni, 2021 © Sabrina Ragucci Sabrina Ragucci, Viterbo. Chia e dintorni, 2021 © Sabrina Ragucci Sabrina Ragucci, Viterbo. Chia e dintorni, 2021 © Sabrina Ragucci

Una pietra in mezzo alla spiaggia, un contenitore di plastica per petrolio «agevolato per riscaldamento» (come si legge nell’immagine) confitto nella sabbia, le chele di un crostaceo nella mano che le ha raccolte alludono forse a quel qualcosa di arido e secco che resta dopo una mareggiata e che la poesia prova a restituire. Le fotografie riproducono infatti per lo più oggetti-metafore che, come le ombre e le risonanze di idee e parole evocate nei due testi, paiono rimaste sulle superfici che le raffigurano ormai lontani dal «tetro entusiasmo» dell’immaginario che li ha partoriti. Eppure nella tensione di quel gesto di interrogazione e di offerta sembrano riprodurre la scia di una rinnovata e «disperata vitalità».

 Sabrina Ragucci, Roma. Ostia, 2021 © Sabrina Ragucci Sabrina Ragucci, Roma. Ostia, 2021 © Sabrina Ragucci Sabrina Ragucci, Roma. Ostia, 2021 © Sabrina Ragucci

La struttura iconotestuale, ipoteticamente ricostruita grazie al dono dei testi e delle foto da parte dei due autori, è fondata dunque su un dialogo profondo con l’opera di Pasolini. I percorsi compiuti da Ragucci e Falco, che l’accompagna con la sua voce, il suo sguardo e il suo corpo (ritratto di spalle nell’ultimo scatto), propongono una personale «ipotesi di raffigurazione» del poeta e del senso dei suoi luoghi: dalla seconda casa romana, in Via Tagliere n. 3, nei pressi di Rebibbia, dove si trasferisce (come ricorda Silvia De Laude)[3] quando ottiene l’insegnamento nella scuola di Ciampino, alla spiaggia di Ostia, dove è stato ucciso, passando per la campagna attorno alla Torre di Chia, vicino Viterbo, dove sognava forse di invecchiare.

Le case, le cose sono figure di un omaggio in forma di una conversazione impossibile, sommessa fra le immagini e le parole di Pasolini, che emerge a volte dalle tracce lasciate sulla materialità delle superfici, come la lapide in cui sono scolpiti alcuni versi del componimento Ciants di un muàrt (Canto di un morto, compreso ne La nuova gioventù), nei quali il poeta parla appunto dei colori della campagna e della luce del viterbese, nominando quel «rosa» e quel «verde» che definiscono la scelta cromatica dell’intero racconto fotografico:

 

 
I. Il sole indora Chia con le sue querce rosa e gli Appennini
sanno di sabbia calda. Io sono un morto di qui, che torna,
oggi Cinque Marzo 1974, in un giorno di festa.
[…]
V. Contadini di Chia! Centinaia di anni o un momento fa, io ero in voi. Ma oggi che la terra è abbandonata dal tempo, voi non siete in me. Qualcuno sente un calore nel suo corpo, una forza nel ginocchio… Chi è? I giovani sono lontani, e voi non parlate.
VI. Quelli che vanno a Viterbo o negli Appennini dov’è sempre Estate, i vecchi mi assomigliano: ma quelli che voltano le spalle, Dio!, e vanno verso un altro luogo…
VII. Dio, lasciano la casa agli uccelli, lasciano il campo ai vermi, lasciano seccare la vasca del letame, lasciano i tetti alla tempesta, lasciano l’acciottolato all’erba, e vanno via e la dov’erano, non resta neanche il loro silenzio.
[…]
IX. Il sole taglia la vallata piena di querce di un rosa di paradiso; i due piccoli fiumi si riuniscono in fondo mormorano come spiriti beati. Anche il verde del vischio qua e là è un verde di paradiso.[4]

 

Altri versi, quelli del Conzéit (Congedo) del La meglio gioventù («Ormai essere lontani, Friuli, vale come essere sconosciuti. Pare il tempo del nostro amore un mare lucido e morto. Nella luce la tua parte è finita, non ho buoi nel petto per tenere la tua ombra»),[5] emergono all’unisono dal testo di Ragucci come dalla foto del suo quaderno, nel quale si intravedono fra le sfumature verdi e rosa di una luce che domina tutta la sequenza. Il miraggio di una leggerezza ancora possibile, suggerito dall’ultima foto che ritrae di spalle Falco che cammina sulla spiaggia, risuona forse allora come l’explicit del componimento che chiude La nuova gioventù, come Saluto e augurio a chi non ha potuto (voluto?) scegliere per sempre «la vita, la gioventù».[6]

 

 

Approfittando della loro disponibilità abbiamo chiesto loro alcuni ragguagli su questa esperienza di approssimazione alla figura di Pasolini e sulle linee che hanno seguito per questa Ipotesi di raffigurazione.

 

1. «Per tenere la tua ombra». Chi era, chi è stato e chi è Pasolini oggi?

Maria Rizzarelli: Nei testi composti per la mostra Pasolini: ipotesi di una raffigurazione si intuisce per entrambi una prossimità e un dialogo profondo con il personaggio e l’opera dello scrittore. Pur da prospettive diverse e da un posizionamento della voce opposto, entrambi sembrate voler (o dover) fare i conti con un’immagine prigioniera della trama dei troppi discorsi generati dalla sua assenza. Avete voglia di raccontarci qualcosa del vostro rapporto con Pasolini? Quando lo avete letto la prima volta? Attraverso quali testi o film lo avete incontrato? Quanto ha contato o può contare ancora per la vostra formazione artistica?

 Sabrina Ragucci, Roma. Ostia, 2021 © Sabrina Ragucci

Sabrina Ragucci e Giorgio Falco: Sì, siamo distanti per molti aspetti dall’opera di Pasolini ma è comunque un autore imprescindibile. Questo capita con molti altri autori italiani, siamo molto distanti anche da Celati e Ghirri, per esempio. Difficile dire chi sia oggi Pasolini. Un desiderio di emulazione svuotata di contesto, per attori con necessità di applausi sicuri? Non abbiamo predisposizione al riconoscimento del mito, all’enfasi che ne deriva. Piuttosto, abbiamo il sospetto, considerando il suo ultimo desiderio (forse più un sogno che una realtà) di vivere a Torre Chia, che nemmeno Pasolini volesse essere Pasolini per sempre. O forse sì? Prima di aver letto e visto le sue opere, abbiamo ascoltato la notizia della sua morte e visto le immagini.

Quando è diventato Pasolini per sempre avevamo sei e sette anni, sebbene possa sembrare strano ricordiamo le cronache di quei giorni, il trauma collettivo seguente, che ha generato la necessità di mantenere in vita proprio quel corpo martoriato. Oramai la consueta domanda chissà cosa direbbe Pasolini? potrebbe rinnovarsi nella versione in negativo: chissà cosa non direbbe Pasolini? Negli anni Ottanta abbiamo letto Lettere luterane, i romanzi, le poesie, e soprattutto visto i film. In particolare, per una questione geografica, ci hanno interessato lo sporadico attraversamento di Milano e hinterland in Teorema o abbiamo riflettuto su alcuni elementi della sua scrittura di adattamento al cinema - prima del successo - la sceneggiatura che gli era stata commissionata (e non pagata) quasi un decennio prima: La nebbiosa. Insomma, in Teorema, i bordi del Pasolini milanese: San Donato Milanese e San Giuliano Milanese, hinterland sudest; era il 1968 ed esisteva ancora spazio tra quei luoghi e la città; le sortite a Sant’Angelo Lodigiano, e poi nel pavese, a una cinquantina di chilometri da Milano. Una scelta azzeccata, accentuata dall’uso del colore, che sottolineava la laconicità dei personaggi e li immetteva, nei tragitti automobilistici, in un’atmosfera rarefatta. Ecco forse per noi hanno contato gli attraversamenti, gli spazi che i suoi personaggi compivano da soli, da un punto a un altro, in una sequenza.

 

2. Una ricerca nei «luoghi in declino». Pasolini ‘prossimo vostro’

MR: Una delle costanti della vostra poetica è la ricerca di storie che si sprigionano dalle tracce lasciate nello spazio, dalle memorie sedimentate nelle strade, negli edifici, iscritte nelle topografie di territori calpestati, oltraggiati o semplicemente sfigurati dalla presenza umana. In particolare, mi pare, che la frizione fra presente e passato, evocata dai colori e dagli altri stimoli sensoriali dei luoghi della contemporaneità sia un elemento che potrebbe in qualche modo essere letto come una risonanza della ‘topografia sentimentale’ di Pasolini, del suo attaccamento a certi paesaggi. Quali sono state le linee guida della vostra ricerca pasoliniana condotta in occasione del progetto della mostra? Come avete lavorato per comporre questo itinerario sulle sue tracce?

 Sabrina Ragucci, Roma. Ostia, 2021 © Sabrina Ragucci

SR e GF: Non siamo mai stati interessati alla fotografia come mera indagine del luogo. Al limite ci interessano, per dirla in termini fotografici, ‘i negativi artificiali’; invece di scegliere un mondo come apparenza esteriore, procediamo per assemblaggio di frammenti. Il percorso si svolge in una sorta di ricostruzione, fatta di scelte personali, ma abbastanza metodica. Processo in cui lo scatto è solo una piccola parte. Si cercano parole, oggetti, immagini, si distrugge e ricostruisce un luogo. Ci si illude di condividere – non per forza in sintonia – un piccolo tratto con un fantasma. Ci si mette nella condizione impari di uno scambio, ma non si trova una soluzione. Solo così riusciamo ad andare avanti. Per esempio, abbiamo riflettuto per qualche tempo sui tragitti dell’uomo Pasolini («dal ’51 al ’53 ho insegnato a Ciampino. Abitavo allora a Ponte Mammolo, sulla Tiburtina: per andare a Ciampino dovevo prendere un autobus fino al Portonaccio, un tram fino a Termini, e qui la littorina. Così per la terza volta fui abbonato alle Ferrovie dello Stato. Era un periodo tremendo della mia vita. Giunto a Roma dalla lontana campagna friulana disoccupato per molti anni; ignorato da tutti; divorato dal terrore interno di non essere come la vita voleva; […] incapace di scrivere se non ripetendomi in un mondo che era cambiato. Non vorrei mai rinascere per non rivivere quei due o tre anni…»), ripercorrendo i suoi spostamenti – dalla seconda all’ultima casa – non si può non sentire riecheggiare la voce di Moravia, in una trasmissione Rai (post mortem PPP): se non si capisce che Pasolini era stato povero e non voleva più esserlo, non si capisce Pasolini. Dalla prima casa all’ultima. Dal treno all’automobile. Quello è il punto in cui (per noi) è emersa una geometria. La geometria della sua intimità, piena di tensione. Certo, tutto è nato da una richiesta di Marco Delogu e Andrea Cortellessa. Loro ci hanno dato un nome e un cognome: Pier Paolo Pasolini, un puzzle da risolvere in breve tempo. Le committenze hanno una data di scadenza, così le fotografie sono state fatte solo alla fine di questi wordscapes: drammi in movimento dove religione, politica, letteratura, biografia, persino folklore, collidono e si fondono.

 

 Sabrina Ragucci, Quaderno Archivio Ragucci, 2021 © Sabrina Ragucci

 

3. «La rivoluzione di un colore». Un omaggio in forma di rosa

MR: La struttura iconotestuale del vostro omaggio pasoliniano sembra restituire, attraverso precise scelte tonali e cromatiche, nelle variazioni della luce e del registro verbale, nella grana di voci e di sguardi distinti ma complementari, un’ipotesi di raffigurazione molto coerente. In che modo avete composto questa trama verbovisiva?

 

SR e GF: Il colore dominante di un lavoro è un tema aperto, forse nasce dalla radice filmico-pittorica-letteraria di Sabrina. Dalla pagina del suo quaderno (21 ottobre 2021) troviamo: c’è un affresco “L’uomo che urla” nella chiesa di S. Croce a Casarsa. Un vero atto etico, l’inizio. Fino a Petrolio. Luoghi in declino. Palazzina rosa, sempre in ombra. Macerie. Luce rosa, casuale imbuto geometrico. Colore rosso fragola scuro. Cielo, nuvole calde. Oppresso dall’angoscia. Corpo supino. Totale passività. Immobilità obbediente del suo corpo. Incapace di offendere. Destinato a essere imbelle. Essere punito. PPP non scrive essere, ma venire: Venire punito e pelle bianca. Cognizione del capire. Sogno visionario. Povero aspetto infernale, di miserabile. Buono. Obbediente (ancora obbediente). E poi scrive anche: Si limita a essere. Contro il padre ha lottato. (Da qualche parte la ripetizione di Rosa). Rosa.

 Sabrina Ragucci, Roma. Ostia, 2021 © Sabrina Ragucci

 


1 Alcune foto dell’Archivio Garrera sono state scelte invece «per contestualizzare il “corpo di Pasolini” nella sua Roma o a Sabaudia» (M. Delogu, ‘Al Biondo Tevere’, in M. Delogu, A. Cortellessa, S. De Laude (a cura di), Pasolini. Ipotesi di raffigurazione, Roma, Punctum, 2022, p. 8).

2 A. Cortellessa, ‘Ipotesi’, ivi, p. 21.

3 S. De Laude, ‘Controcampi’, ivi, p. 61.

4 P.P. Pasolini, ‘Ciants di un muàrt’, in La nuova gioventù [1975], ora in Id., Tutte le poesie, a cura e con un testo di W. Siti, Milano, Mondadori, 2003, II, pp. 453-457.

5 P.P. Pasolini, ‘Conzèit’, in La meglio gioventù [1954], ora in Id., Tutte le poesie, I, p. 101.

6 P.P. Pasolini, ‘Saluto e augurio’, in La nuova gioventù [1975], ora in Id., Tutte le poesie, II, p. 518.