Federica Piana, Vite di carta e pellicola. La produzione autobiografica delle attrici italiane

di

     
Categorie



Il campo di indagine delineato dalle scritture delle attrici si è arricchito negli ultimi anni degli apporti provenienti sia da analisi ad ampio raggio, sia da approfondimenti dedicati a specifici casi di studio. Si inserisce pienamente nel terreno critico tracciato da tali scritture, ovvero dalle ‘divagrafie’, il volume di Federica Piana Vite di carta e pellicola. La produzione autobiografica delle attrici italiane, edito nel 2023 per ETS e accolto nella collana del Forum FAScinA (Forum Annuale delle Studiose di Cinema e Audiovisivi) diretta da Lucia Cardone e Mariagrazia Fanchi.

A partire da un nutrito corpus di riferimento, costituito da testi autobiografici scritti da diverse attrici italiane, il lavoro dell’autrice mira innanzitutto a fornire una adeguata cornice teorica. L’individuazione delle chiavi di lettura attraverso le quali procedere poi a un esame delle singole produzioni si giova, infatti, nelle prime sezioni del volume, di un excursus di carattere metodologico che, da una parte, recupera alcuni snodi fondamentali di un dibattito afferente a una consolidata tradizione di studi come quella relativa al genere dell’autobiografia; dall’altra, mette a fuoco le peculiarità emerse da acquisizioni critiche recenti e più strettamente legate all’orizzonte divagrafico. La parabola disegnata dai primi capitoli della trattazione si mostra atta a precisare, quindi, una serie di presupposti fondamentali che attraversano i testi delle attrici. Aspetti cruciali delle scritture autobiografiche quali l’edificazione soggettiva del proprio io attuata mediante una rielaborazione memoriale del proprio vissuto, la complessa dialettica tra realtà e finzione che si invera in seno allo statuto paradossale dell’autobiografia – un genere letterario sospeso, com’è noto, tra un polo storico-documentario e il versante della fictio romanzesca – il ricorso agli espedienti della narrazione, figurano anche tra i fondamenti delle divagrafie e creano una base teorica attraverso la quale procedere a una più chiara comprensione delle occorrenze formali e tematiche tipiche delle produzioni delle dive.

Insieme alle argomentazioni critiche relative alla scrittura autobiografica, imprescindibile, per un esame circostanziato delle divagrafie, appare l’apertura interdisciplinare e un’integrazione con prospettive afferenti al linguaggio cinematografico e agli stardom studies in particolare; un’integrazione che tenga conto della natura proteiforme, costitutivamente intermediale dei testi delle attrici. Si tratta di oggetti di studio all’interno dei quali la riflessione proposta dalle autrici sul proprio itinerario esistenziale si intreccia e spesso procede di pari passo con un bilancio sulla carriera attoriale, come anche con una rilettura dell’immagine divistica veicolata da altri testi mediali – si pensi, solo per citare due esempi, al profilo pubblico delle attrici restituito dai ruoli interpretati per il cinema o dalla stampa coeva – sviluppata dal proprio punto di vista. Sono elementi, questi, che Piana mette bene in evidenza anche sulla scorta di un necessario passaggio intermedio, relativo all’esplicita adozione di un’ottica gender:

Nell’ambito delle autobiografie femminili […] il sense-making narrativo che caratterizza questo tipo di scritture si carica di ulteriori significati. Se infatti per le donne, «le assenti» dalla Storia e dalla cultura ufficiale, l’autobiografia appare come un’opportuna via di accesso alla parola scritta, la possibilità di dirsi e di prendersi cura di un io rimasto sempre inespresso (perché raccontato dalla parola altrui) allora è in questo senso che entra in gioco il bisogno di riappropriarsi di sé. Lo scrivere di sé altro non è che un tentativo di riacquistare la voce, di trovare un proprio modo per auto-rappresentarsi, che si distacchi da un simbolico edificato da altri (pp. 33-34).

A partire da tali riferimenti teorici, il volume si addentra poi nell’analisi di diverse diramazioni delle scritture del sé delle star, distinguendo – ma senza mai giungere a categorizzazioni eccessivamente rigide – tra autobiografie ‘canoniche’, nelle quali è possibile far rientrare i testi Scandalosamente perbene (1996) di Silvana Pampanini e Da me (1993) di Catherine Spaak, e autobiografie ‘relazionali’, dove il confronto con altre figure – siano esse appartenenti alla sfera sentimentale o familiare – diviene un fattore strutturale; è il caso, ad esempio, dei volumi Io Antonella, amata da Franco (2018) di Antonella Lualdi e La casa di Ninetta (2009) di Lina Sastri. L’indagine prosegue soffermandosi anche sulla dimensione collettiva e testimoniale del memoir, sull’autobiografia narrativizzata, più esplicitamente contaminata con gli artifici della fiction, sulle autobiografie collaborative scritte a quattro mani, prendendo in esame i casi, rispettivamente, di Paola Pitagora, Ambra Angiolini e Franca Valeri e Luciana Littizzetto. È attraverso l’affondo su testi esemplificativi che emergono, inoltre, in forme di scrittura mosse non di rado da ragioni autopromozionali, temi ricorrenti come quello del corpo, della sessualità e dell’erotismo, della maternità, della cura di sé.

Lungi dal voler esaurire il discorso sul campo di studio preso in esame, il lavoro di Piana si chiude, infine, con uno sguardo rivolto a ulteriori sentieri d’indagine, relativi ad esempio alla «natura propriamente editoriale di tali testi (ricadute economiche per editori e autrici, successo e ristampe, modalità curatoriali e così via) e, di conseguenza, a una ricerca sull’audience che possa mettere in luce le esperienze di lettrici e lettori» (p. 148). Con l’obiettivo di valorizzare «l’enorme potenziale insito in testi di questo tipo, sia per chi si occupa di cinema che di letteratura» (ibidem), il volume tiene fede alle premesse metodologiche ed elabora con coerenza le implicazioni di una prospettiva situata al crocevia tra parola letteraria e decima musa.