Franco Maresco, Tre di coppie

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Con Tre di coppie, andato in scena in prima assoluta al Teatro Biondo di Palermo dal 24 al 28 febbraio 2016, Franco Maresco conferma l’attenzione verso la parabola di Franco Scaldati dopo il sentito omaggio visivo Gli uomini di questa città non li conosco. Il titolo, con un riuscito gioco onomastico, si ricollega alla breve esperienza de Il re di coppe, teatro situato al centro del capoluogo siciliano e fondato dallo stesso artista palermitano. Non si tratta di una semplice antologia scaldatiana ma, per stessa ammissione del regista, di «una serie di “variazioni” sul tema del doppio». Quelle ricomposte da Maresco e Claudia Uzzo sono tutte coppie che dialogano con un ‘tre’, il numero effettivo degli attori presenti in scena: Gino Carista, Giacomo Civiletti e Melino Imparato si scambiano costantemente ruoli e battute, incarnando alcuni dei personaggi più celebri del denso universo teatrale del ‘Sarto’.

Il buio e la notte si configurano come le coordinate privilegiate della messa in scena, che già dall’incipit dichiara il proprio omaggio all’astro lunare da sempre al centro della scrittura di Scaldati; se una grossa luna piena domina il fondale scuro, una slabbrata costellazione di volti si illumina evocando un mondo di poesia nel quale il sonno rimeggia con la morte.

© Teatro Biondo di Palermo

I visi degli attori appaiono dentro cerchi di luce, in un persistente gioco a nascondere che disegna straniate traiettorie: non ci sono corpi, in questo frammentato spazio d’ombre, ma solo bocche che parlano un dialetto palermitano carico di sonorità e di arzigogolati giochi di parole.

La prima coppia ad affacciarsi in scena è quella di Totò e Vicè (dall’omonima opera): stretti in movenze da lignei burattini, si alternano in battute dal sapore fortemente surreale, a tratti perfino di chiara regressione al mondo animale, quasi fossero uccelli (o angeli) in caduta libera sulla terra. Il tema dell’animalità, non a caso, è un altro degli elementi molto presenti all’interno dello spettacolo. Assai significativo, in tal senso, è il rapporto tra Santo e Saporito (da La notte di Agostino e il topo), coppia rappresentata attraverso il dicotomico rapporto tra ‘gatto e topo’. La problematica convivenza tra preda e cacciatore viene resa scenicamente grazie a un forte investimento performativo da parte degli attori, capaci di creare delle riuscitissime caricature: i loro corpi e i loro volti divengono efficace espressione di una comicità mai scontata, le voci si trasformano in spassosi miagolii e squittii, mentre le parole assumono quegli accenti e quei colori tipici dell’immaginario fiabesco.

© Teatro Biondo di Palermo

Dentro l’orizzonte di Scaldati, però, non c’è favola senza carne e sangue, e allora il tono vira spesso verso il fronte di una sessualità diretta e volutamente grossolana («assuppati sta minchia!»). Il richiamo a un immaginario ‘genitale’ si accompagna alla ripresa di modi aristofaneschi, degni della più altra tradizione comica: è quel che accade, ad esempio, a metà dello spettacolo, quando i performer si ritrovano in scena con degli enormi e lunghissimi falli simili a pitoni, che vengono usati come strumenti musicali, come corde, come sciarpe. Ogni lazzo affonda le radici nella sfera di un eros viscerale ma lo scenario ‘stralunato’ in cui si muovono le figure sublima questa sessualità sguaiata, proiettandola in un altrove da sogno.

La regia di Maresco ricrea la suggestione di certe gag del muto, puntando sulla goffa fisicità degli interpreti, mentre la luna piena si tramuta in schermo riflettente: grazie all’apparizione di brevi inserti video, che si specchiano nella cornice lunare, gli attori paiono ‘fluttuare’ in un orizzonte altro, distante e forse ancor più malinconico. In scena c’è spazio anche per qualche respiro beckettiano, difficile non pensare ai sottili malintesi di Vladimiro ed Estragone, e infine su tutto si insinua il battito del Pierrot Lunaire di Schönberg con quell’inconfondibile intreccio di poesia e male di vivere.

Nessuna risposta da parte del re, anche se di coppie.

 

 

Tre di coppie

di Franco Scaldati

regia Franco Maresco

scene e costumi Cesare Inzerillo e Nicola Ferruzza

con Gino Carista, Giacomo Civiletti, Melino Imparato

produzione Teatro Biondo Palermo