Gian Carlo Ferretti, Pasolini personaggio. Un grande autore tra scandalo, persecuzione e successo

di

     

Nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini la nutrita serie di pubblicazioni, di iniziative accademiche, di eventi artistici – tra mostre, spettacoli teatrali, reading – organizzati in Italia e non solo, ha confermato la vitalità della fortuna critica di un autore che, dal secondo Novecento in cui si colloca, evidentemente continua a intercettare il nostro orizzonte d’attesa. Ma la figura di Pasolini, in realtà, la sua indipendenza da ogni forma di potere precostituito, il suo esistere così fatalmente caratterizzato da un corpo in equilibrio tra arte e vita, procedono persino oltre la mera ricezione dell’opera di uno scrittore e si legano a doppio filo all’attrazione esercitata da una personalità affascinante, ‘eccedente’. Difficile conciliare l’analisi rigorosa di una produzione letteraria e, in progressione diacronica, dei contesti culturali nei quali essa si situa con i concetti imponderabili che ruotano intorno al carisma e alle esperienze personali di un autore. Eppure, il libro di Gian Carlo Ferretti Pasolini personaggio. Un grande autore tra scandalo, persecuzione e successo (Interlinea, 2022) riesce a unire le due istanze, giovandosi dello sguardo di un critico letterario – nonché studioso di lungo corso di Pasolini – che ha attraversato la seconda metà del Novecento e che, prima della sua scomparsa, avvenuta di recente, ha forse voluto fare un’ultima volta i conti con il poeta.

Sviluppando quanto affermato in alcuni lavori precedenti, tra i quali ‘Il “personaggio” Pasolini tra persecuzione e successo’ (Belfagor, L, 6, 1995, pp. 675-692), Ferretti indaga gli aspetti che hanno contribuito alla nascita e alla definizione dell’immagine pubblica del poeta-regista, in un bilanciato intreccio, ordinato cronologicamente, tra il ricordo di vicende relative alla biografia dello scrittore, l’analisi dei testi e le reazioni – spesso, com’è noto, moralistiche e pretestuose – del mondo editoriale, del milieu letterario, delle istituzioni e della stampa. Nel ripercorrere l’arco temporale in cui si dispiega l’attività di Pasolini, dagli anni Quaranta alla metà degli anni Settanta, nella prima delle tre parti che compongono il volume, ‘Le opere, i casi’, lo studioso elabora una puntuale messa a fuoco delle opere letterarie e cinematografiche del poeta attraverso la prospettiva dello ‘scandalo’ da esse provocato. Si pensi, solo per citare qualche esempio, al rifiuto da parte di Mondadori di pubblicare la raccolta poetica L’usignolo della chiesa cattolica, poi edito da Garzanti nel 1958 – una decisione sulla quale «può aver pesato anche la religiosità viscerale al limite del sacrilego di molti versi» (p. 22) – o al sequestro del film La ricotta (1963) per ‘vilipendio della religione di Stato’; oppure ancora al postumo Petrolio (pubblicato per la prima volta nel 1992, diciassette anni dopo la morte dello scrittore) e al presunto capitolo scomparso del testo, che è stato al centro di un caso letterario tanto eclatante quanto indebito.

In tale cornice interpretativa, la monografia non trascura le produzioni pasoliniane che hanno comportato anche una precisa presa di posizione – emblematico rimane, nel dibattito sul Sessantotto, il componimento Il PCI ai giovani!! – e che hanno accresciuto, per la loro risonanza, la notorietà dell’autore e il suo profilo, dunque, di personaggio pubblico. Si tratta di una chiave di lettura che viene ulteriormente e proficuamente verificata nella seconda parte del volume, ‘I comportamenti, le strategie’, dove in maniera più chiara affiora il rovescio della medaglia, ossia la postura intellettuale di Pasolini e la costruzione di un’immagine condivisa a partire dai suoi stessi interventi. L’incessante muoversi dello scrittore fra «umiltà e divismo, ostracismi e agiatezze, scandalo sofferto ed esibito, coraggio intellettuale e gusto della provocazione» (p. 60) viene quindi letto alla luce di un peculiare modo di esporsi – non privo, dal punto di vista di Ferretti, di un certo egotismo, a riprova di un’analisi che non cede a facili encomi – testimoniato da varie fonti, dalle lettere alle interviste, dai risvolti di copertina alle rubriche. Tra queste, i ‘Dialoghi’ e ‘Caos’, curate negli anni Sessanta rispettivamente per la rivista Vie Nuove e per il settimanale Tempo, si configurano come eloquente preludio alla stagione corsara, oggetto di ampia trattazione nella terza e ultima parte del testo, ‘Il corsaro, la morte’. Negli anni Settanta l’affermazione personale, l’esposizione mediatica, il giornalismo militante di Pasolini ne hanno oramai consacrato la statura di personaggio, rendendo ancora più palese quel «sincronismo persecuzione-sfida-scandalo-successo» (p. 149) posto da Ferretti alla base del suo discorso. Le pagine conclusive, dunque, nelle quali si discute anche di metafore di impronta pasoliniana ormai entrate a far parte di un immaginario comune (‘io so’, il processo al Palazzo, la scomparsa delle lucciole), non disattendono l’impostazione generale di Pasolini personaggio; un’impostazione che risulta tale da ricondurre termini quali ‘scandalo’, ‘eccesso’, ‘narcisismo’, largamente abusati in riferimento al corpus letterario e alla biografia del poeta-regista, all’interno di una organica contestualizzazione critica, funzionale anche alla comprensione dell’intricato percorso transmediale e della popolarità – pure osservata nella monografia – a cui è andata incontro la figura di Pasolini dopo la sua morte, tra fumetti, musica e produzioni afferenti alla street art, tra le quali spicca il murale di Ernest Pignon-Ernest, efficacemente riprodotto in copertina.

Ha il carattere di un consuntivo, infine, il paragrafo di chiusura del testo, intitolato non a caso ‘Post scriptum’. «Rileggendo questa monografia», spiega in quelle righe Ferretti, «mi rendo conto di essermi allontanato da alcune mie posizioni piuttosto critiche di anni e decenni passati, verso le posizioni più regressive di Pasolini». Ciò accade probabilmente per due motivi, aggiunge l’autore: «in un lavoro tutto centrato sul personaggio, posso aver ceduto almeno in parte al suo fascino»; un fascino a cui sembrano fare eco, visivamente, le sedici immagini in bianco e nero poste alla fine del volume e comprendenti fotografie di Pasolini, riproduzioni di copertine dei suoi libri e della locandina di Salò o le 120 giornate di Sodoma. «Inoltre», prosegue Ferretti illustrando la seconda ragione della sua affermazione, «dentro di me rimane forse qualcosa di istintivamente legato alla nostalgia per un mondo scomparso, che Pasolini idoleggia e riafferma». Accompagnato dal «sospetto che tutto questo riguardi in qualche modo l’anagrafe» (p. 160), si esprime così, con lucida ironia, il congedo da un ‘grande autore’, come anche dalla vita, da parte di un grande critico.