Goffredo Fofi, Per Pasolini

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Nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini non si contano le commemorazioni, i convegni, le iniziative editoriali, le retrospettive e gli omaggi d’ogni sorta che hanno voluto così celebrare una delle personalità più importanti e discusse del nostro Novecento, con il rischio di scivolare con troppa facilità nell’odiosa retorica della glorificazione post-mortem. In questo contesto, l’antologia dei testi ‘pasoliniani’ di Goffredo Fofi, edita da La Nave di Teseo[1] con il titolo Per Pasolini (2022), si distingue per il coraggio e l’onestà intellettuale. Non tenta di salire sul carro trionfante degli estimatori postumi, Fofi, ma con lucidità venata di malinconia rivendica le proprie posizioni, che nel corso dei quindici anni in cui si è dispiegata l’attività cinematografica pasoliniana hanno portato i due non poche volte allo scontro: emblematico l’episodio di Piazza del Popolo, che Fofi rievoca con rimorso, in cui senza alcuna remora disse a Pasolini di non stimarlo in quanto diventato, quest’ultimo, «un mercante nel tempio» (p. 49). Un rapporto mai conciliante, perennemente dialettico; due percorsi che in quegli anni tremendi e fibrillanti di attività culturale e intellettuale si sono a più riprese incrociati, intrecciati.

Preceduta da una nota introduttiva di Alberto Anile, e da una accorata introduzione, intitolata ‘Per Pasolini’, scritta dallo stesso Fofi, la raccolta di testi, tra saggi, articoli e recensioni copre sessant’anni di storia individuale e nazionale: da quella prima recensione de Il Vangelo secondo Matteo del 1964 fino ai giorni nostri. Il volume si presenta così nella forma anomala di un diario intimo e personale, in cui il confronto/scontro con Pasolini diventa per il saggista umbro occasione per un’analisi critica a posteriori, di sé in primis, e dell’Italia post-pasoliniana poi. Soggiacente alle riflessioni più recenti è la convinzione che quel che di meglio Pasolini abbia avuto – e abbia ancora oggi – da offrire alla nostra cultura possa venir colto solo da un approccio dialettico, appunto, con lo scrittore e con la sua opera, e non da un’esaltazione sterilmente accondiscendente e appiattente, quale sembra dilagare oggi, catalizzata da un milieu culturale uniformato alla detestata cultura piccolo borghese, capace di appropriarsi, infine, anche dell’araldo anti-borghese per eccellenza:

Ho sempre avuto delle riserve sulle posizioni di Pasolini, spesso con qualche scontro diretto su problemi non di superficie. Forse per questo resto un “amico di Pasolini”: perché le sue idee erano giustamente provocatrici, e costringevano me come tanti a ragionare su questioni di fondo, fuori dalle idee correnti dell’epoca (p. 100).

Nella prima parte del volume sono raccolti gli interventi di critica in cui Fofi si confrontava, negli anni Sessanta e Settanta, con i film del regista, prediligendo di netto il primo Pasolini e la parentesi fiabesca rappresentata dal trittico di film con protagonisti Totò e Ninetto Davoli (il lungometraggio Uccellacci e uccellini, del 1966; e i due mediometraggi La terra vista dalla Luna, del 1967, e Che cosa sono le nuvole?, del 1968), che valgono poi al regista l’inserimento (postumo) in un ideale pantheon dei cineasti italiani, al fianco dei soli Rossellini e Fellini. Non mancano le rivalutazioni, ad esempio per Il Vangelo, che Fofi ebbe all’epoca motivo di stroncare su criteri più ideologici che cinematografici, come oggi egli stesso ammette: «lo amai molto ma lo criticai anche ingiustamente sui “Quaderni” per il suo fondo terzomondista, dicendo in sostanza che la rivoluzione noi dovevamo farla in Italia, soprattutto con gli operai di fabbrica, pur apprezzando e amando le altre» (p. 31). Critiche che provocarono persino una stizzita lettera di Pasolini indirizzata a Piergiorgio Bellocchio, direttore di quei Quaderni Piacentini interpreti di un modo di fare critica politica che sempre si sarebbe mal accordato con il pensiero e i metodi pasoliniani. Lettera, anch’essa pubblicata nel volume, in cui quello di Fofi è tacciato di essere «un giudizio che non è un giudizio, ma è una constatazione che diventa tale attraverso il moralismo tipico dei vostri “Quaderni” e che del resto è molto tradizionale, molto tipico della piccola borghesia italiana» (pp. 69-70). Ma per lo più Fofi rimane nei decenni fermo sulle proprie posizioni, soprattutto nella repulsione nei confronti del cinema dell’ultimo Pasolini: quello di ispirazione mitologica e letteraria, da Edipo Re, 1967, alla ‘Trilogia della vita’, ritenuto pretenzioso e poco ispirato, fino ad arrivare alla laconica recensione de I racconti di Canterbury (1972): meno di mezza paginetta per sentenziare che non valesse nemmeno la pena «architettare [...] un qualsiasi discorso critico e interpretativo» (p. 93) su di esso.

Nella seconda parte del volume sono raccolti invece i testi probabilmente più interessanti: quelli in cui, dopo la morte di Pasolini, Fofi ripensa retrospettivamente al proprio rapporto con lo scrittore, apprezzandolo soprattutto nelle sue vesti di intellettuale e critico sociale, più che in quelle di artista. Il Pasolini degli interventi, oggi raccolti in larga parte da Garzanti nelle antologie Scritti Corsari (1975) e Lettere Luterane (1976), in cui veniva tracciata e registrata con apocalittica lucidità la «fine di un mondo, la fine del mondo» (p. 133), come scrive Fofi: una transizione epocale e culturale che gli italiani non sono forse stati in grado né di cogliere, né di affrontare. È proprio su questi temi che l’autore giunge all’amara ammissione che, su molte cose, Pasolini «aveva e ha ragione» (p. 149).

Non mancano a impreziosire la lettura ricordi più intimi, inediti, con Pasolini e con le amicizie in comune, Elsa Morante e Sergio Citti su tutte; le rievocazioni di un’epoca ormai dimenticata, di modi di fare critica e arte, politica e polemica ormai inattuali e inattuabili. ‘Per’ Pasolini. Perché, in mezzo a tanto trambusto che sembra disinnescare la carica rivoluzionaria, fino a consegnarci un Pasolini ormai addomesticato e reso innocuo, Fofi rivendica la necessità del non essere sempre d’accordo, specie là dove la cultura ufficiale tenti di inghiottire anche, e proprio, i pensieri più scomodi e provocatori. Rivendica le proprie posizioni contrastanti con quelle di Pasolini, nella convinzione e nella consapevolezza che è dal dialogo, dallo scontro che nasce la vera cultura. Pasolini, o lo si ama o lo si odia. Il problema nasce quando il confine tra le due posizioni è netto.

 


1 Il volume inaugura una nuova collana cinematografica, Onde di Cinema, ideata in collaborazione con la Cineteca Nazionale.