«I borghesi son tutti dei porci, più sono grassi più sono lerci». Ugo Tognazzi attore-funzione in Porcile di Pasolini

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Se agli attori non professionisti e alle figure ricorrenti del cinema di Pasolini è stata dedicata una certa attenzione critica, ancora poco indagato è il ruolo di divi e attori professionisti nella sua opera. Interrogandosi sul professionismo attoriale in Pasolini, il contributo propone un focus sulla recitazione di Ugo Tognazzi nel film Porcile (1969).

If a certain critical attention has been paid to non-professional actors and recurring figures in Pasolini’s cinema, the role of professional stars and actors in his work is still little investigated. By questioning acting professionalism in Pasolini’s cinema, the article focuses on Ugo Tognazzi’s acting in the film Porcile (1969).

 

L’opera cinematografica di Pier Paolo Pasolini si serve, fin dai suoi esordi, di una modalità peculiare di scelta e messa in scena delle figure attoriali, usufruendo di una singolare mescolanza tra comparse, non professionisti, amici e intellettuali vicini al regista-scrittore, e attori celebri dello star system italiano e internazionale. Se ai corpi della borgata, agli attori non professionisti e alle figure ricorrenti del suo cinema è stata dedicata una certa attenzione critica, ancora poco indagato è il ruolo di divi e attori professionisti nella sua opera, soprattutto dalla fine degli anni Sessanta in poi (cfr. Rigola 2012-2013). Forse i casi più emblematici riguardano Anna Magnani, Orson Welles e Totò, ma tutto il cinema pasoliniano offre un vero e proprio campionario di attori trasversali utilizzati in ruoli differenti, in veste di protagonisti, comprimari, o come semplici meteore all’interno dei film (da Adriana Asti a Femi Benussi, da Alida Valli a Silvana Mangano, passando per Massimo Girotti, Caterina Boratto, Paolo Bonacelli, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia). Interrogare l’incidenza del professionismo attoriale in Pasolini significa a nostro avviso fare i conti con l’assenza di attorialità, o meglio con la subordinazione degli attori allo spirito pasoliniano che fa da sfondo alle pellicole. Nell’attrito tra l’ideologia dell’autore e la performance depotenziata degli attori professionisti risiede probabilmente un nodo euristico ancora tutto da esplorare.

Un film determinante in questo contesto è certamente Porcile (1969), che presenta – negli episodi che lo compongono – protagonisti estremamente diversi tra loro: nell’episodio desertico ambientato sull’Etna compare Pierre Clémenti, volto corrosivo del Sessantotto autoriale (cfr. Scandola 2022), che si porta dietro i ruoli interpretati negli anni immediatamente precedenti nei film di Costa-Gavras, Buñuel, Bertolucci, ma anche Caprioli (Scusi, facciamo l’amore?, 1968), in contemporanea con I cannibali di Cavani (1969). Nell’episodio contemporaneo compaiono diversi attori che costituiscono un vero e proprio cast funzionale al racconto delle vicende: Jean-Pierre Léaud, nel ruolo di Julian, rampollo borghese disinteressato al suo lignaggio che coltiva una segreta passione zoofila per i maiali. Accanto a uno dei volti più rappresentativi della Nouvelle Vague compare l’icona godardiana di questi anni, Anne Wiazemsky, nel ruolo di Ida (anche co-protagonista del coevo Il seme dell’uomo di Marco Ferreri). Vengono scelti inoltre Alberto Lionello (nel ruolo di Klotz, padre di Julian) e Ugo Tognazzi (Herdhitze), che recitano insieme al non attore Marco Ferreri. Come si vede un cast non casuale, che testimonia di rimandi e legami tra film, atmosfere, ruoli, e che fotografa un periodo particolarmente significativo del cinema italiano ed europeo e dei suoi protagonisti.

Porcile è ritenuto uno dei film più complessi di Pasolini, ma anche uno dei più lucidi e profondi. Il film si costruisce sulle antitesi e sulle contrapposizioni, a partire dalle ambientazioni e dalle storie narrate negli episodi: opposizioni tra il deserto e la città; le terre aride e il palazzo; il mito arcaico e l’industrializzazione; il mondo primitivo e quello capitalistico; il silenzio e la verbosità; i campi lunghi, l’ariosità delle inquadrature e il cinema da camera, ecc. Se vogliamo l’antitesi primaria riguarda la contrapposizione tra il cinema (il primo episodio era stato inizialmente pensato per un film) e il teatro (il secondo episodio doveva essere un dramma teatrale). Collocandosi nel pieno del cinema etno-antropologico del suo autore (a ridosso della lavorazione di Medea, 1969, e Appunti per un’Orestiade africana, 1970) e a poca distanza dai progetti della ‘Trilogia della vita’, Porcile riconduce l’interesse pasoliniano verso una critica alla società borghese e le derive capitalistiche della classe media, mettendo già in scena elementi sadomasochistici che appariranno più tragici in Salò (1975). È però la metafora del divorare carne umana, e quindi dell’ingordigia del potere unita all’aberrazione fisica e sessuale, a fare di Porcile un apologo politico contro ogni vessazione, dove l’autenticità risulta l’unico antidoto contro le origini corrotte del potere costituito.

In questo quadro i corpi degli attori, soprattutto nell’episodio contemporaneo ambientato nel 1967 a Godesberg (allora città indipendente nel distretto di Bonn), acquistano un significato simbolico preciso. Ferreri incarna forse la linea più esplicita perseguita da Pasolini: il regista porta con sé le linee del suo cinema grottesco, corrosivo e anti-borghese fortemente vocato allo straniamento e all’apologo (cfr. Parigi 2022), qui espressi attraverso espressioni, monologhi, gesti (basti pensare al monologo dell’‘attore’ Ferreri sulle atrocità compiute dai nazisti durante la guerra, inframmezzato dalla visione di un suonatore d’arpa). Alberto Lionello e Ugo Tognazzi sono invece il tramite più diretto al comico e al racconto allegorico (forse anche alla commedia all’italiana: il trucco di Lionello parodizza Hitler, mentre Tognazzi in una battuta del film dice di essersi fatto una plastica facciale «all’italiana»). L’attore cremonese interpreta Herdhitze, rivale in affari e avversario politico di Klotz, ex nazista che ha cambiato fisionomia grazie a una plastica facciale per non essere perseguito, e che ricatta quest’ultimo perché a conoscenza dell’insana passione zoofila del figlio. La figura di Herdhitze viene annunciata nel lungo dialogo tra Klotz (Lionello) e Hans (Ferreri), come se se ne aspettasse l’arrivo e venisse preannunciato il suo ingresso agli spettatori. Il primo fotogramma in cui compare il personaggio [fig. 1] mostra Tognazzi in un primo piano frontale mentre si accinge a entrare nella vicenda; questo momento istituisce anche l’ingresso di un trio attoriale particolarmente evocativo, perché raccoglie tre punti di riferimento del panorama recitativo (e registico) contemporaneo, cinematografico ma anche teatrale. Lionello, in questi anni, è impegnato come protagonista in alcune commedie (come Togli le gambe dal parabrezza, Massimo Franciosa, 1969) e nello spettacolo Joe Egg di Nichols, messo in scena da Mario Missiroli (che in Porcile doppia il personaggio interpretato da Ferreri). Tognazzi, dopo aver realizzato il suo secondo film da regista (Sissignore, 1968) sta lavorando al Satyricon di Polidoro (1969) e al Commissario Pepe di Scola (1969), ma si accinge anche ad interpretare il celebre ruolo di Alessio nel film Splendori e miserie di Madame Royale di Caprioli (1970).

Tognazzi ha dichiarato in varie occasioni che fu molto sorpreso e felice di ricevere l’invito di Pasolini, intellettuale che ammirava e stimava; ha anche ammesso, però, di non avere ‘recitato’ per Pasolini, ma di essersi prestato alle richieste dell’autore senza intervenire più di tanto, attenendosi a un testo per lui in buona parte incomprensibile. Sotto questo profilo è utile, a nostro avviso, avanzare la nozione di attore-funzione: Tognazzi (ma non solo) porta solo in parte il suo talento d’attore, mettendosi al servizio di un’operazione concettuale dove la figura attoriale diviene simbolica, allegorica e ‘funzionale’ al meccanismo significante del film. L’attore è una funzione e una componente dell’immagine, o un «corpo-vettore» (ibidem), che catalizza la forza espressiva della recitazione senza snaturarne la provenienza e la matrice originaria. Se si osserva in filigrana, infatti, il ruolo di Tognazzi, si rivelano agli occhi dello spettatore alcuni indizi, o sintomi stilistici, tipicamente tognazziani, che probabilmente sono anche serviti per rendere meglio consona la performance dell’attore rispetto alla volontà pasoliniana. Si nota l’inconfondibile tocco recitativo di Tognazzi nell’uso della voce (la risata, le pause tra una battuta e l’altra, il tono marcato alternato a sussurri) e nella postura, soprattutto nei momenti in cui monologa ascoltato da Lionello e Ferreri. L’inclinazione delle spalle, l’andatura, i micromovimenti facciali e lo sguardo luciferino [figg. 2-3] riconducono a elementi ricorrenti della performance dell’attore cremonese, che fa leva anche in questo ruolo sull’alternanza tra una modalità in levare e sommessa e un registro enfatico e sopra le righe (cfr. Rigola 2018). Vi sono anche momenti, nel film, che sembrano ricordare il ruolo di Tognazzi come testimonial di prodotti alimentari, per esempio in Carosello, come nei frammenti in cui viene immortalato mentre sorseggia un boccale di birra [fig. 4], negli anni in cui presta il volto alla sponsorizzazione di diversi marchi di birra.

Sotto il profilo più allegorico il personaggio di Herdhitze, attraverso Ugo Tognazzi, è il tramite più diretto per la metafora dei borghesi-maiali, già presente in letteratura e in un’iconografia consolidata (basti pensare a George Grosz, esplicitamente citato nel film, e a opere come Eclissi di sole, 1926, e soprattutto Circe, 1927; fig. 5). Il ruolo di Tognazzi suggerisce una pista interpretativa esplicitamente politica: Herdhitze, ex criminale nazista senza scrupoli, ‘recita’ la parte del politico illuminato, l’uomo nuovo della Germania moderna, nascondendo a tutti il suo passato nonché le sue mire opportunistiche. Inoltre egli ‘mette in scena’, nel vero senso dell’espressione, il racconto dell’eros cannibalico che metaforizza il potere della classe borghese, narrando a Klotz l’indicibile segreto della zoofilia di suo figlio: verbalizzando ciò che è impossibile da immaginare, il personaggio permette al Padre (Klotz) di prendere coscienza della sua insana progenie facendo uno scambio («una storia di maiali per una storia di ebrei»), e allo spettatore di visualizzare la metafora tra i corpi corrotti e i porci con cui Julian ha rapporti sessuali. Come accade spesso nel cinema di Pasolini, l’abiezione (in questo caso l’antropofagia o la zoofilia) è l’unico elemento di verità nella corruzione generale della politica, della società borghese e della stirpe, a cui non a caso Herdhitze-Tognazzi risponde con l’insabbiamento, con il riserbo, in quel primo piano finale [fig. 6] in cui intima ai contadini il silenzio più assoluto sulle sorti di Julian, divorato dai maiali. Ed è interessante che sia Tognazzi-Herdhitze a chiudere il film, a intimare il silenzio. Con la plastica facciale che gli ricostruisce il volto questo personaggio è una sorta di prototipo del recitante: esso è l’intermediario, colui che si presta al patteggiamento, che ha il compito di raccontare anche il volto indicibile del mondo, vestendo i panni di più persone e di più ruoli. Come emerge nel testo del brano di Giorgio Gaber, I borghesi (1971), dal disco Il Signor G., che nel ritornello riattualizza l’immagine della borghesia animalesca («I borghesi son tutti dei porci / più sono grassi più sono lerci / più sono lerci e più c’hanno i milioni»), la corruzione della classe borghese è spesso messa in relazione con l’artificio della recitazione. Nel brano Gaber canta: «dopo un po’ che li guardavo / mi si trasformavano / i gesti preparati, degli attori, attori consumati / che dicono la battuta e ascoltano l’effetto / e io ero lì come una comparsa, vivevo la commedia / anzi no la farsa». Attore-funzione ma anche attore-finzione, dunque, ossia involucro simbolico che s’incarica di portare su di sé tutto il peso dell’impostura e della contraffazione.

 

 

Bibliografia

 

A. Moravia, ‘L’antropofago fa un comizio’, L’Espresso, 28 settembre 1969.

S. Parigi, ‘Marco Ferreri nella corte pasoliniana’, in C. Pontillo (a cura di), «Lampeggiare nello sguardo». Attrici e attori nel cinema di Pasolini, Arabeschi, 20, luglio-dicembre 2022 <Marco Ferreri nella corte pasoliniana - Arabeschi Rivista di studi su letteratura e visualità> [accessed 15.12.2022].

P.P. Pasolini, Porcile, Orgia, Bestia da stile, Milano, Garzanti, 1979.

G. Rigola, Una storia moderna: Ugo Tognazzi. Cinema, cultura e società italiana, Torino, Kaplan, 2018.

G. Rigola, ‘Whose Consciousness? Professional Actors in Pasolini’s Films’, La Valle dell’Eden, 27, 2012-2013, pp. 149-159.

A. Scandola, ‘Pierre Clémenti. Il ribelle dalle mani bianche’, in C. Pontillo (a cura di), «Lampeggiare nello sguardo», <Pierre Clémenti. Il ribelle dalle mani bianche - Arabeschi Rivista di studi su letteratura e visualità> [accessed 15.12.2022].