I Confess di Alfred Hitchcock come testo performante in Le confessionnal di Robert Lepage

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L’articolo riguarda l’esordio cinematografico del regista franco-canadese Robert Lepage e si focalizza sulla forma particolare in cui è strutturato. Le confessionnal (1995), questo il titolo, si svolge su due piani temporali, uno dei quali rievoca il periodo in cui Hitchcock stava girando I Confess (1953) a Québec City. A questa rievocazione si affianca, interagendovi, la narrazione di eventi semi-biografici relativi alla famiglia del protagonista del film, Pierre Lamontaigne, che torna nella città nel 1989, in occasione della morte del padre. Quella del padre è una figura che il film rielabora anche in chiave cinematografica e autoriflessiva, sia nel doppio che copre il ruolo del regista di I Confess sia nel film di Hitchcock che diventa testo di rilettura attraverso l’innesto con la storia privata. Nel risultato l’articolo riscontra una nuova tipologia di adattamento cinematografico.

The essay is about Robert Lepage’s cinematographic debut  in a peculiar film, called The Confessional (1995) where he shows the dramatic interplay between two different sets of time. The former is in the year when Hitchcock was shooting I Confess in Québec City. Lepage uses the same chronological frame to tell the story of a family trouble that somehow dovetails the Hitchcock film, while the present time is represented by Pierre’s coming back to the city on occasion of his father’s death. The father figure is tackled also in selfreflexive ways in the film as Hitchcock’s double stands as a model for Lepage as director and also as Hitchcock’s movie becomes itself a text to be rewritten through the agency of the family’s plot. In the essay I tried to outline in The Confessional a diiferent kind of film adaptation. 

 

Siamo entrati, insieme agli altri spettatori finzionalmente reali, in una sala cinematografica, dove sta per iniziare la proiezione di un film di Hitchcock. Scorrono i titoli d’inizio e scopriamo che si tratta di I confess di Alfred Hitchcock, presentato in prima assoluta al pubblico della città dove è stato girato, Québec City, nel 1953. La macchina da presa ci presenta, più da vicino, tre personaggi, di cui due saranno poi al centro delle vicende narrate, intessute su due diversi piani temporali, che s’intersecano continuamente nel corso del film; non dobbiamo aspettare per capirlo, ne troviamo subito traccia audiovisiva nella scena che sto descrivendo. Dopo aver ripreso l’ingresso nel cinema della folla, visibilmente eccitata per la mondanità dell’occasione, insieme a Hitchcock, la macchina da presa entra in sala quando stanno scorrendo i titoli d’inizio del film e scende tra le file del pubblico fino a inquadrare più da vicino due donne, su indicazione della voce fuori campo che le presenta come zia e madre, quest’ultima incinta. Siamo chiamati, così, a testimonianza di questo battesimo cinematografico che tanta influenza ha nella ricomposizione dei ricordi di Pierre Lamontagne, protagonista del film, e altrettanta sulla prima scrittura cinematografica del regista, Robert Lepage, in una chiave reciprocamente autobiografica.

Per il suo esordio nel cinema, Robert Lepage, all’epoca – siamo nel 1995 – già affermato autore e regista di teatro nel panorama quebecchese, con produzioni soprattutto in lingua francese, sceglie Hitchcock come nume tutelare. Le confessionnal, questo il titolo dell’opera prima, si apre con un omaggio citazionistico al film di Hitchcock, che, tanto per la sua posizione quanto per l’elaboratezza della cornice che l’ospita, fa presumere un rapporto più complesso e approfondito fra i due testi.

Il contributo dell’articolo che scrivo è dimostrare come il film di Hitchcock diventi per Lepage materiale performativo, scomposto nelle sue parti citabili, ma anche ricreato nel processo costitutivo che ha scandito la sua produzione, cui Lepage applica i procedimenti tipici della performance nel privilegio che quest'ultima accorda al fare e all’azione, alla ricerca di una «celebration of form and process over content and product».[1]

Il cinema è diventato componente usuale delle performance teatrali, tanto da essere considerato, insieme ad altri materiali, come i monitor televisivi, la danza, l’architettura etc., parte integrante della tessitura multimediale che caratterizza e accomuna l'espressività performativa del Novecento.[2] Prima di sperimentare il mezzo cinematografico, Lepage aveva già una nutrita esperienza teatrale, che includeva l’utilizzo d’immagini proiettate e dialoganti con lo spazio della performance (fin dallo spettacolo Needles and Opium, 1991).[3] Il film Le confessionnal, distribuito nel 1995, nasce, infatti, su commissione, per la potenzialità internazionale insita nel lavoro di Lepage e sollecitata a livello istituzionale dalla commissione culturale canadese degli affari esteri.[4]

Nel cinema Lepage porta una prospettiva d’impiego di materiali eterogenei, acquisita nel corso degli anni di lavoro registico con il Théâtre Repère (con cui collabora dal 1983 al 1990) e con la compagnia da lui fondata degli Ex Machina, che conferma la porosità dei confini tra arti e media differenti, fondando il suo debutto su una base autobiografica nella quale filtra tanto il problema dell’identità canadese quanto il processo di identificazione del suo cinema. Per fare questo sceglie un evento cinematografico precedente, I confess di Hitchcock, che ha segnato un momento importante nella storia anche sociale del Québec, come primo contatto con la contemporaneità statunitense di un mondo alquanto chiuso e tradizionalista, soprattutto in quanto cattolico, e ne fa uno dei due poli temporali del film, il cui titolo riecheggia, per l’appunto, quello hitchcockiano.

Passato personale e passato nazionale[5] s’intersecano in modo dichiaratamente transitivo fin dalla premessa metatestuale del film, dove il nome e la figura di Hitchcock stanno anche per la ricerca di un padre cinematografico che possa suggellare la performance registica di Lepage. Quando ho messo in corsivo la parola “evento” nel paragrafo precedente ne intendevo evocare la portata semantica che sconfina dai limiti citazionistici per ricreare, reinventandola, la dinamica del processo di preparazione del film. Il film di Hitchcock, nell’accezione espansa che ho specificato, diventa uno spazio d’interazione con i personaggi della performance biografica di Lepage, con la zia paterna di Pierre che porta la figlia a fare l’audizione per il ruolo della bambina testimone oculare nel film, e il padre, tassista come quello di Lepage (alla cui memoria è appunto dedicato il film), che accompagna Hitchcock all’hotel dopo la proiezione, e commenta con lui la terza vittoria consecutiva del premier conservatore Maurice Duplessis alle elezioni politiche. Finirà, come vedremo, col proporgli il soggetto per un film futuro, nel quale si svela l’arcano delle relazioni passate.

 

1. Corpo a corpo/Testo contro testo

La ricostruzione della prima di I Confess non si vede solo all’inizio del film di Lepage. Nei pressi della fine, ma non con essa coincidente, torneremo nel cinema dove lo stanno proiettando, giusto in tempo per vedere Hitchcock che abbandona la sala durante i titoli di coda e scende di fretta la scalinata per guadagnare l’uscita: a renderlo furente il riscontro dei tagli subiti dalla censura, che la segretaria, corsagli dietro, si affretta ad attribuire alla grettezza del posto e all’interferenza della Chiesa cattolica. In realtà, la maggiore censura venne dal distributore Jack Warner, della Warner Bros., e, soprattutto, dal PCA (Production Code Administration) nella specifica persona di Martin Quigley, cui si deve una delle prime stesure del codice.[6] Il PCA sconsigliò tassativamente la scelta iniziale di Hitchcock di avere come protagonista un prete con un figlio illegittimo e di farlo morire di pena capitale per un omicidio non commesso, il cui vero responsabile è tutelato dal segreto confessionale. Ma questo riferimento alle disavventure produttive del film di Hitchcock, per quanto non del tutto veritiero, assume un significato diverso e fondante della rilettura di Lepage se proviamo a guardarla come intervento dal vivo sul corpo cinematografico di I Confess.

Scrivo “dal vivo” perché rende conto, meglio di altre, di questa impressione che ci portiamo dentro durante la visione del film di Lepage, del come se le vicende esposte fossero il risultato di innesti e incisioni sulla pellicola eseguiti durante la performance in sala di I Confess o quasi allargandone il bordo perforato mentre scorre nel proiettore per accogliere visioni collaterali. Operando in questo modo, tra diversi piani temporali che riaprono gli spazi compiuti e definiti del film di Hitchcock, Le confessionnal chiama in causa una serie di pratiche cinematografiche e non, che definiscono per statuto il nesso derivativo tra un film e la sua successiva riscrittura come testo. Ma prima di prenderle in considerazione, è opportuno prendere visione di quali siano e come s’inseriscano le altre occorrenze direttamente citazionistiche del film di Hitchcock.

  Gli spettatori convenuti per la prima cinematografica nel film Le confessionnal di Robert Lepage, 1995

Già nella scena della prima cinematografica, la citazione del film, per molto versi iniziatica, è commista alla ricreazione di un evento che la ospita, evento nel quale compaiono elementi della storia del film di Lepage. Del film proiettato, come ho scritto sopra, vediamo subito il titolo, che emerge dal fondo della sala quando la macchina da presa si solleva sulle teste degli spettatori per riprenderlo. Le immagini, a pieno schermo, includono l’apparizione della silhouette di Hitchcock che firma il suo testo attraversando lo spazio notturno della città, riconoscibilmente iconico anche se meno ironico del solito. La citazione continua fino alla vista del cadavere nell’interno dell’abitazione, rivelato da un movimento ascendente della macchina da presa simile a quello iniziale dentro la sala del cinema, e prosegue fino a quando la figura dell’omicida in fuga comincia a liberarsi della tunica da preste che indossa. Di conseguenza, entriamo nel film di Hitchcock prima ancora che in quello di Lepage, il cui ‘vero’ inizio è poco più in là, quando Pierre rientra nella vecchia casa e ci presenta gli altri personaggi ritratti nelle fotografie appese alle pareti della sala da pranzo. Il doppio inizio stabilisce fin da subito la doppiezza del film e il suo scorrere su piani paralleli che solo la collaborazione nonché sovrapposizione fra memoria di famiglia e memoria cinematografica può rendere intellegibili.

La seconda occorrenza è di segno diverso e ci pone davanti a una diversa tipologia d’interposizione. Inizialmente è solo l’audio del film di Hitchcock che si sente come sfondo di cui non riusciamo a individuare l’origine emittente, un tipo di acusma,[7] che s’intuisce cinematografico o comunque mediatico, mentre la macchina da presa esegue un sinuoso passaggio temporale dalla stanza da bagno al corridoio della casa dove Pierre è tornato ad abitare dopo il suo ritorno da un viaggio in Cina. Il passaggio è temporale nel senso che i due ambienti, sebbene limitrofi, ospitano situazioni distanti nel tempo: nel bagno ci sono i giovani genitori di Pierre, cui apparteneva la casa, che giocano dentro la vasca da bagno dopo una piccola schermaglia familiare e scoprono dal mutamento del colore dell’acqua che la moglie sta avendo un aborto involontario; nel corridoio, invece, Pierre sta riponendo in un ripostiglio gli strumenti di lavoro che usa per ripulire e riammodernare la casa nel 1989, a trentasette anni di distanza dalla scena che si è appena svolta nel bagno. Dopo qualche istante, alle immagini di Pierre che pulisce, si sostituiscono quelle del film di Hitchcock che danno forma visiva al dialogo concitato, finora solo ascoltato. Si tratta della sequenza finale, quando l’Ispettore chiede al poliziotto dove si è nascosto Otto Keller, il sagrestano, nonché vero assassino del film, dopo aver ucciso la moglie, e il poliziotto risponde che è fuggito dentro l’Hotel Chateaux Frontenac, indicandone la direzione. A questo punto, l’immagine torna a riprendere Pierre, che guarda in macchina come se stesse seguendo il film su uno schermo. Il controcampo successivo smentisce, in parte, le aspettative, perché oggetto dello sguardo di Pierre non è il film ma l’Hotel nominato nel film, che lui sembra vedere dalla finestra di casa e nel quale andrà a lavorare come barista. L’inquadratura dell’edificio, tuttavia, conserva traccia del primigenio imprinting cinematografico nel taglio inclinato della ripresa che è lo stesso nel quale appare sullo sfondo dei titoli di testa di I Confess.

A parte l’impiego topografico del film di Hitchcock, che cerca post-modernamente nel simulacro dell’immagine cinematografica l’origine reale dell’edificio mostrato, questa seconda citazione dimostra le modalità della lotta corpo a corpo tra i due film. Svincolate dalla sala di proiezione, in una libertà completa dalle circostanze narrative dell’incipit nonché dalle proprie, e dotate di una propria vita performativa all’interno del film di Lepage, le immagini e l’audio della sequenza estendono la presenza del passato nel presente del film, in virtù della libera circolazione nella memoria visiva dei personaggi e degli spettatori. Anzi, il film di Hitchcock si profila come veicolo del ricordo su cui è costruita la sezione passata della storia, come un flashback testuale. Un ricordo che, però, non può appartenere né a Pierre né al fratello adottivo Marc, di cui Pierre è alla ricerca per annunciargli la morte del padre, perché entrambi non ancora nati (Pierre) o appena nati (Marc) nel periodo che il film rievoca. Se non fosse stata assimilabile alla pellicola girata da Hitchcock, tanto da poter fingere, come vedremo in seguito, di esserne componente effettiva quanto affettiva, quindi, la rievocazione sarebbe stata impossibile per l’accesso negato dal tempo ai personaggi del presente, i fratelli Marc e Pierre, incapaci di riportarne ricordi tranne che attraverso la mediazione delle foto, quelle che Pierre toglie dalle pareti e che Marc cerca nell’album di famiglia perduto. Anche quando Pierre cerca di rimuoverlo, il passato riemerge nell’alone delle fotografie alla parete che riaffiora anche sulla vernice fresca. Il film di Hitchcock partecipa alla ricostruzione di questo passato, anzi, la mette in moto.

Nella sequenza sopra discussa può dire, in effetti, che è proprio il testo di I Confess al quale viene demandata la funzione di rimarcare e quasi compromettere la transizione, altrimenti fluida, come in un piano-sequenza dell’Hitchcock più sperimentale, dalla scena del passato, emotivamente dirompente, a quella più prosaica e quasi iterativa del reset visuale cui Pierre sta sottoponendo l’appartamento che è stato teatro di quelle vicende. Il film stesso di Hitchcock diventa qui un elemento performante che reindirizza la forma narrativa del film di Lepage e ne esalta la componente affettiva. Il segmento ri-mediatizzato del film provoca nello spettatore l’insorgere di quel sentimento carico di potenziale azione che Deleuze riscontra nella comparsa di particolari immagini e di particolari suoni, così come nella loro combinazione, nel lessico cinematografico, quell’immagine-affetto che il teorico riscontra anche in molti esempi tratti dalla suspense hitchcockiana.[8] In Lepage, la suspense del testo inserito si carica emotivamente delle immagini appena rievocate e possiamo riconoscervi il pensiero cinematografico al lavoro, che riattualizza la portata simbolica del proprio archivio temporale per una specifica ragione stilistica.

Su un’analoga linea di affettività dell’immagine si dirama la composizione/componimento che il videomaker e regista Johan Grimonprez ha costruito a partire da uno studio sulla duplicazione dell’immagine di Hitchcock attraverso i suoi sosia sparsi nel mondo. La ricreazione poggia soprattutto sulla figura del doppio più noto e richiesto di Hitchcock, Ron Burrage, che è stato anche l’attore che interpreta Hitchcock in Le confessionnal. Nel film di Grimonprez, dal titolo esplicitamente allusivo di Double Take (2009, scritto da Tom McCarthy), le immagini e la voce di Hitchcock e dei suoi replicanti odierni si affiancano a quelle di footage del periodo storico di inizio della Guerra Fredda (spezzoni di telegiornali e spot pubblicitari), e ad alcuni spezzoni cinematografici dei film di Hitchcock, creando un cortocircuito citazionistico che pone nuovi quesiti sulla nostra contemporaneità. Tra gli spezzoni duplicati nell’opera sono inclusi due riferimenti a Le confessionnal, uno relativo al momento in cui l’assistente di Hitchcock cerca di placare le ire del maestro dopo la proiezione di I Confess, e che abbiamo già contemplato nella lettura del testo di Lepage. L’altro riferimento è preso dalla sequenza finale del film, la più complessa e articolata per montaggio, e ne ritaglia il momento del passaggio senza soluzione di continuità tra il film di Hitchcock e quello di Lepage, di cui ora osserveremo in dettaglio la struttura del montaggio e l’amara ironia che ne deriva, in modo non troppo dissimile dall’approccio irriverente e provocatorio di Grimonprez.

Sull’intreccio di raccordi che il montaggio crea tra i diversi piani di narrazione nel film, questo che andiamo a discutere incide, più che altrove, sulla combinazione delle immagini e delle scene e sugli esiti della medesima. Con un altro movimento ascendente la macchina da presa rivela, dietro un armadio di sagrestia, il fonte battesimale attorno al quale stanno il padre e la madre di Pierre con il neonato Marc, il cui pianto ritarda il ciak che Hitchcock vorrebbe dare per la scena notturna in Chiesa. Il pianto cessa, la macchina da presa dell’operatore di Hitchcock comincia a filmare, a colori, l’attore che interpreta Padre Logan dirigersi verso la navata centrale e cominciare ad attraversarla. Il successivo controcampo dal fondo della chiesa non è più la ricostruzione di Lepage, ma la scena dal film I Confess, in bianco e nero, come in bianco e nero diventano le riprese del battesimo cui ritorniamo dopo l’inserimento della citazione. Del testo filmico hitchcockiano vediamo quel poco che basta, i due volti del prete e dell’assassino in campo e controcampo che si confrontano nel silenzio della chiesa, attraversati dallo stesso stupore che proviamo per le rivelazioni sulla famiglia di Pierre. Il film di Hitchcock assorbe nella sua estetica quello di Lepage e la relazione tra i due piani, familiare e cinematografico, oscilla in favore del film e del suo re-enactment. Il colpo maggiore viene poi inferto dallo stesso Hitchcock, quando al suo cut per la scena in chiesa segue immediata l’immagine di Marc con il rasoio in mano nella vasca e il polso premuto sul petto. Se la storia della famiglia di Pierre è narrabile solo all’interno della rievocazione del making of del film di Hitchcock, fino a essere a tratti inglobata nel suo testo, spetta ironicamente a Hitchcock di imprimere un ‘taglio’ al racconto che dal suo film è germogliato.

La sequenza si fa scena, eliminando la distinzione fra riprese effettuate con uno scarto temporale fra loro e tematizzando così la nozione tecnica di scollamento fra le riprese del film e la successiva ricollocazione temporale del girato nel montaggio. All’interno della cornice normativa della sala di proiezione, in effetti, il film di Hitchcock appare letteralmente rovesciato nelle citazioni testuali che Lepage seleziona: una scena tratta dalla sequenza finale scandisce l’inizio del recupero, materiale e memoriale, della casa dei genitori di Pierre, mentre la prima scena di dialogo, circondata dai silenzi della confessione, sigla la tragica conclusione di Marc. In questa formulazione i piani diegetici del film di Lepage trovano una loro terribile convergenza nei suicidi di Marc e di Rachel, sua madre, il cui montaggio parallelo e incalzante provoca un cortocircuito spazio-temporale che fa riemergere il corpo annegato della giovane Rachele nel fiume San Lorenzo dalla stessa vasca dove Marc si taglia le vene dei polsi. L’effetto visivo riprende il tema del colore che aveva già tratto in inganno lo spettatore nel confondere, per alcuni secondi, il colore vermiglio della vernice che Pierre sta lavando dal pennello nel lavandino del bagno con quello del sangue che l’immagine appena precedente di Rachel con il rasoio in mano ci fa supporre appartenga alla donna. E già prima nel film, una ripresa dall’alto all’interno dello stesso bagno ci aveva mostrato l’acqua della vasca cambiare colore e diventare rossastra per l’aborto spontaneo della sorella di Rachele. Nella cifra stilistica di questo impiego del colore che invade la trasparenza della pellicola si legge la volontà di firmare la parte familiare del racconto di Lepage, ma anche la tensione sanguinosa che segna il duello corpo a corpo tra i due testi filmici.

  Ron Burrage nel ruolo di Hitchcock nel film Le confessionnal di Robert Lepage, 1995

L’approccio di Lepage, in effetti, si differenzia dai modi più tipici del film che racconta il suo farsi, pur condividendone l’ispirazione autoriflessiva, e non può essere definito un vero e proprio remake, anche se i legami fra la trama del film di Hitchcock e quella della vicenda narrata, come abbiamo visto, sono molteplici. A tal punto arriva il gioco di sovrapposizione e contaminazione fra i due film che Hitchcock nel testo di Lepage rimprovera la sua assistente di averlo falsamente rassicurato sull’accettazione del suo testo da parte dell’autorità ecclesiastica del Québec, mentre il film che ha appena finito di vedere in sala non è più quello che aveva girato. Di quale film si tratta, visto che la sequenza della visione in sala dura quasi quanto il film di Lepage e che le marche di distinzione tra i due film sono annullate dalla rilettura che ne viene fatta? Inoltre, il breve ma significativo scarto temporale che separa le due citazioni dall’inizio e dalla fine del film di Lepage suggerisce peritestualmente l’importanza di ciò che precede il film come prodotto concluso (quindi, oltre alle riprese, tutte le fasi della sua realizzazione) e di quanto si produce nella memoria individuale e collettiva dalla sua uscita nelle sale in poi. La messa in scena della proiezione del film di Hitchcock, oltre a includere en abyme la nostra funzione spettatoriale come parte integrante del processo cinematografico, ironizza criticamente sulla pratica del remake come luogo di cancellazione della memoria del film preesistente.

A prima vista, il film potrebbe sembrare un remake, cioè quell’operazione con cui s’intende definire un “rifacimento” del film precedente in uno spettro di opzioni che va dalla parziale o completa modifica dell’ambientazione e della trama (come nel remake di Dial M for Murder, intitolato A Perfect Murder, 1998, regia di Andrew Davis) alla sua riproduzione integrale come paradossale copia di borgesiana ascendenza (e, sempre restando su Hitchcock, pensiamo allo Psycho, 1998, di Gus Van Sant). Ma per quanto, come in quest’ultimo esempio citato, il testo di Hitchcock trapeli in ogni fotogramma per la precisa calcomania che ne è stata fatta, nessun remake ospiterebbe sezioni così ampie del testo originale, mettendole in gioco con altri piani del racconto, come accade nel film di Lepage. Una categoria più aderente all’operazione del regista canadese si lascia individuare in quella forma saggistica che è il making of, una pratica che si divide fra letteratura e cinema, e nel cinema è ulteriormente segmentata in due forme espressive speculari. La prima include le opere che vertono sulla realizzazione di un film esistente, che ha legato la sua fama alle controversie suscitate dalla sua visione. Per mostrarne un esempio dobbiamo tornare di nuovo a Psycho, che costituisce un vero e proprio case-study: esiste, infatti, un documentario del 1997 (The Making of Psycho) di Laurent Bouzereau che raccoglie interviste di attori e tecnici del film, oltre ad includere immagini di footage che mostrano Hitchcock al lavoro, mentre nel 2012 Sasha Gervasi ha girato un film che racconta le traversie delle riprese di Psycho sulla base dell’accurata ricostruzione firmata da Stephen Rebello nel suo libro, anch’esso intitolato The Making of Psycho (il titolo del film, invece, è l’onnicomprensivo Hitchcock, nel quale traspare l’intenzione di fare un ritratto dell’artista attraverso una delle esperienze e delle fasi più problematiche della sua carriera).

Esistono, tuttavia, anche film che raccontano il loro stesso farsi, instaurando una serie di richiami fra la storia del film e le vicende degli attori che vi recitano, nella prospettiva di giungere a una sovrapposizione di piani dalla quale la capacità dello spettatore di distinguere tra finzione e realtà sia messa alla prova, nonostante la fine del film tenda poi a privilegiare una tra le due. Per questa categoria non ci sono esempi espliciti di matrice hitchcockiana, anche se le situazioni mostrate attraverso lo sguardo di Jeff, il fotografo infortunato, in Rear Window (1954) sono una rappresentazione così sistematica, nonché parodica, dei generi hollywoodiani da farne un film sul cinema. Ne troviamo, invece, esempi clamorosi in filmografie di registi diversi come François Truffaut (La nuit americaine) e Karel Reisz (The French Lieutenant’s Woman). La categoria del film sul film risulta, comunque, preziosa per come ci permette di accostarci criticamente al modus operandi di Lepage quando mette in relazione le riprese di I Confess di Hitchcock con il contesto del racconto famigliare che ad esse s’intreccia.

Le confessionnal si presenta come una mescolanza fra il making of e il film sul film. Intanto, come il primo, include significanti dettagli della realizzazione del film, inscenandone le riprese all’interno della chiesa e financo una sessione di casting, ma lo fa solo in funzione della ‘tragedia’ della famiglia di Pierre e dei personaggi di quella famiglia che il film immagina entrare in contatto con il microcosmo mediatico del lavoro di Hitchcock. Si perde, così, quel tratto documentaristico che caratterizza il genere stesso, anche quando reinterpretato e intenzionalmente ‘cancellato’ dalla versione narrativa come nel film Hitchcock. Maggiore affinità si esplicita, invece, con la categoria del meta-cinematografico, proprio per il fluire di un piano nell’altro che è stato oggetto di analisi nelle pagine precedenti. Tuttavia, dobbiamo aprire un breve confronto con la pratica testuale, quella dell’adattamento, che più di ogni altra sembrerebbe invocata dal film di Lepage, non foss’altro che per il suo essere riscrittura di un adattamento, quello che Hitchcock aveva tratto dal testo teatrale di Paul Anthelme, Nos deux consciences.

 

2. Il Padre e i suoi doppi

La storia familiare che Lepage ci racconta può attecchire sul ramo hitchcockiano anche perché recupera in modo indiretto alcune componenti della trama che erano venute meno nell’operazione di adattamento della pièce teatrale, Nos deux consciences, rappresentata per la prima volta nel 1902.[9] Nel testo teatrale, infatti, il prete ha un fratello, Philippe, che mette incinta la moglie di Bordier, un politico socialista, amico di padre Pieux, e muore in circostanze misteriose, mentre già nel secondo trattamento cinematografico il fratello del prete non è più nella trama principale (compare solo in un flashback) ed è il prete che diventa padre del figlio illegittimo. Anche nel film di Lepage Marc ha un figlio, affetto da una malattia genetica, nato da una breve relazione con una performer di numeri erotici, di cui si prende cura Pierre dopo la morte del padre. Le circostanze della morte di Marc sono anch’esse misteriose, almeno nelle motivazioni, ma solo fino a quando non scopriamo anche noi che Massicotte ha confessato a Marc la verità su chi è il suo vero padre. Il gioco d’incastro tra il film di Hitchcock e la tragedia della famiglia di Pierre si regge anche su questa riattivazione del processo di adattamento, che ricompone e reinterpreta le varianti testuali, e sul raddoppiamento delle figure che rivelano altro da sé nello spazio metaforicamente cinematografico del confessionale.

La presenza, piuttosto invasiva, della censura aveva poi determinato modifiche significative nelle parti più potenzialmente scabrose dei vari trattamenti così come nella sceneggiatura del film, ma il primo appunto sui trattamenti era stato, motivato dai dubbi sulla corrispondenza tra il rito della confessione secondo l’istituzione ecclesiastica e il suo utilizzo diegetico nella scena notturna tra Keller e padre Logan. Hitchcock, come abbiamo già considerato sopra, era poi riuscito a convertire il rispetto del silenzio da parte del prete confessore in un elemento di suspense che preconizza il dramma successivo. Con Lepage lo spazio circoscritto e claustrofobico nell’arredo ligneo del confessionale si apre a interpretazioni più laiche in cui trovano espressione i confronti di gender tra i personaggi delle due generazioni. Il taglio performante che Lepage produce sul film hitchcockiano s’inscrive così a partire dal cambiamento morfologico del titolo: il confessionale, da luogo adibito alla pratica religiosa, diventa figura plurisemica degli spazi in cui si concentrano le dinamiche relazionali fra i personaggi. Lo troviamo nello spazio cinematografico (nonché «fotogenico», come dice la segretaria di Hitchcock) in cui si confessano le due sorelle Françoise (madre di Pierre) e Rachel (madre di Marc), ma diventa già metaforico nel colloquio ‘a porta chiusa’ fra Rachel e il prete accusato di essere il padre del bambino, dove il vetro semitrasparente nella metà superiore della porta lascia intravedere, come nel confessionale, le fattezze della persona.[10] Con guizzo ironico e demistificante, ‘confessionale’ è anche il nome dato alle cabine dove Manon, la madre del figlio di Marc, si esibisce in privato per i clienti dello squallido locale periferico dove lavora. La segretezza tipica del confessionale si riproduce poi anche nell’intimità omosessuale delle cabine della sauna, dove Pierre si spinge a cercare il fratello per potergli comunicare la morte del padre adottivo, e la necessità del silenzio votivo viene parodiata dal riproduttore vocalico con cui un signore anziano chiede a Pierre se cerca compagnia, dopo aver inutilmente articolato la richiesta con le labbra afoniche. Per finire, lo stesso schermo cinematografico diventa confessionale quando i volti delle due sorelle sono inquadrati all’interno della cornice formata dalla grata in cui ci sussurrano i loro peccati e i piani delle due ‘cornici’ vengono a coincidere.

  Montgomery Clift nel film I Confess di Alfred Hithcock, 1953  Suzanne Clément nel film Le confessionnal di Robert Lepage, 1995

Dallo specifico del luogo deputato al rito religioso, l’idea del confessionale[11] passa a connotare altri spazi chiusi dove lo stretto perimetro finzionale della scena, quasi una forma privata di teatro di parola in miniatura, si rovescia in un palcoscenico di presunta verità. Lepage rende la struttura cinematograficamente mobile, trasformando in due occasioni, nella duplicità in cui il film è immerso, l’abitacolo di un’automobile in movimento in un luogo di tremenda confessione. Sono due momenti del film posti entrambi nella sequenza finale, prima e dopo la climax del cut hitchcockiano, ma la loro relativa vicinanza sintagmatica suggerisce allo spettatore lo spunto di focalizzarne il rapporto speculare.

Nella prima auto, guidata da un autista anonimo, entra Marc, dopo l’invito insistente di Massicotte che vuole rivelargli il segreto di famiglia. Questi è l’unico personaggio che appartiene a tutti e tre gli ambiti contemplati dal film. Faceva il prete all’epoca in cui si stava girando il film di Hitchcock e aveva assunto il ruolo di mediatore, anche linguistico, tra la curia metropolitana e l’assistente di Hitchcock, ma deve abbandonare in corso d’opera l’abito talare perché la sua presunta relazione con Rachel, la zia di Pierre, è diventata di dominio pubblico con la nascita del bambino, Marc, appunto. Lo spettatore, che è portato a credere che il padre di Marc sia lo stesso Massicotte, viene escluso dalla confessione con la chiusura del tetto scoperchiabile dell’auto (sostituto prosaico della tenda del confessionale), allorché l’interno della vettura è ripreso dall’alto, in un chiaro rimando al crane-shot hitchcockiano. Nell’altra auto, il taxi con cui lavora il padre di Pierre, entra come cliente Hitchcock, uscito dal cinema della premiére. L’incontro fra i due ‘padri’, quello cinematografico e quello (auto)biografico, è anch’esso occasione di una performance confessionale: il tassista racconta, in forma di soggetto cinematografico, la terribile vicenda familiare di cui è protagonista, narrando di un uomo che mette incinta la cognata e anticipando la propria espiazione di colpevole incestuoso nelle forme edipiche di una cecità autoinflitta, figura archetipica di quella più secolare che deriverà da una forma acuta di diabete malcurato. Hitchcock commenta seraficamente che si tratta di una tragedia più che di un film, ma il commento tocca anche il piano teorico su cui si confronta lo scambio costante fra cinema e teatro che Lepage mette in scena per superarne i limiti.

Anche in quest’ultima direttrice, il film di Lepage assimila e reinterpreta nel proprio corpo una lettura intermediale già enucleata dallo stesso film di Hitchcock, che dai «Cahiers du cinéma» e dai suoi giovani redattori, in particolare Rohmer e Chabrol, fu esaltato come uno dei primi esempi di modernità del mezzo cinematografico, per poi subire una progressiva declassazione all’interno del macrotesto del regista inglese. Se l’operazione di Lepage legittima un recupero di attenzione nei confronti del film, per la possibilità che offre di rielaborare, a distanza riavvicinata, i legami personali con la collettività e con la storia candese, d’altro canto s’inserisce in un dialogo di reimpostazione della memoria cinematografica, che dona alle citazioni di I Confess lo status di un flashback condiviso dal protagonista così come dagli spettatori che sono duplicati nella sequenza della prima cinematografica. Anche nel film di Hitchcock troviamo tracce di performatività che riflettono sull’origine teatrale del testo (dalla pièce già ricordata di Paul Anthelme), ponendola in primo piano tramite la relazione privilegiata tra assassino e confessore. I Confess riflette il criticato impianto teatrale soprattutto nella sequenza finale del film, quando l’assassino, Keller, sfida padre Logan e il segreto del confessionale reiterando la propria colpevolezza ad alta voce nello spazio destinato agli spettacoli teatrali di un hotel della città (lo stesso dove Pierre trova lavoro e incontra Massicotte, che ne è cliente abituale nel film di Lepage): i suoi spostamenti continui dal palcoscenico alla platea deserta, giustificati dal bisogno di tenere il prete sotto tiro e sfuggire ai colpi della polizia, evidenziano contestualmente l’aspetto e il contesto teatrali del suo agire. Prima di vederlo agitarsi in un one-man show sul palcoscenico del teatro dell’albergo, padre Logan (e noi con lui) lo aveva visto prendere visivamente il posto del detenuto nel manifesto pubblicitario di un film, The Enforcer, contemporaneo a quello di Hitchcock (La città è salva, regia di Bretaigne Windust, 1951), passando di fronte a una sala cinematografica nel tragitto emotivamente faticoso verso il distretto di polizia della città. L’assassino diventa quindi un performer agli occhi del prete per la sua capacità di trasformare il delitto in un atto interpretativo che si propaga dal confessionale ad altri spazi mediatici.

Ancora più performativo il carattere tridimensionale che la figura paterna assume nel corto circuito narrativo di Le confessionnal fra il film di Hitchcock e la ricerca di Pierre e Marc. Il padre Logan di I Confess trova il suo doppio nella storia di Rachel, e in quel Father Massicotte che viene appunto allontanato dalla Chiesa per il sospetto di essere il padre del bambino, e che ritroviamo nella vicenda contemporanea dei due fratelli, dove è diventato un influente uomo politico che protegge e perseguita, al tempo stesso, il suo favorito Marc. Nelle fattezze fisiche dell’attore che interpreta Massicotte da vecchio riconosciamo anche una voluta corrispondenza fisica con Hitchcock, suggellata nel film di Lepage da un’immagine al presente che lo riprende sul medesimo sfondo notturno della sequenza iniziale del film di Hitchcock, quasi parodiando la presenza cameo che il regista aveva usato come firma autografa. In Le confessionnal, tuttavia, Hitchcock ha già un doppio, che interpreta il suo ruolo nelle riprese e nella produzione del film I Confess, così come le ricostruisce Lepage. Si compone, quindi, una vera e propria trinità cinematografica che sfida la bidimensionalità dello schermo, già doppio nella sua presenza messa en abyme all’interno del film.

Il film di Lepage introduce una nuova voce nella teoria dell’adattamento, in cui la performance occupa una posizione d’insolito rilievo nel processo. Nell’uso del termine performance, così come l’ho impiegato nel mio scritto, non va solo compresa l’accezione tuttora più ricorrente di performance attoriale, ma abbiamo incluso la performance del testo, anzi dei testi, cioè di quella varietà di versioni che ogni processo di adattamento reinterpreta e rilegge, direttamente o per trasmissione culturale, sulla base dell’instabilità, per definizione, di ogni testo. Lepage ha spesso sottolineato la caratteristica di non finitezza dei suoi lavori teatrali, proprio in virtù del fatto che il loro è un adattamento continuo nel contesto sempre rinnovato della loro performance. Nelle letture critiche del suo cinema si tende, invece, a privilegiare il processo di cristallizzazione che le opere teatrali subirebbero, in conseguenza “del posizionamento temporale del film dopo le immagini costitutive di ogni opera teatrale, e quindi della loro definitiva registrazione”.[12] Misurandosi con uno dei problemi chiave dell’adattamento, quello, cioè, della rappresentazione del passare del tempo, e inscenandolo nella ripetizione degli eventi da cui hanno preso forma le narrazioni che compongono il suo testo, Lepage rigenera l’idea di performance già contenuta nei testi precedenti, quell’idea che, secondo Jonathan Miller,[13] viene abitualmente a mancare nelle trasposizioni, col risultato di annullare l’identità dei testi che ne sono materia. In questo caso, tuttavia, la capacità di preservarla non è solo appannaggio del medium teatrale, che Miller ritiene l’unico in grado di farlo per il fatto stesso che la performance è un elemento costitutivo dell’identità del teatro.

L’opera prima di Lepage continua, piuttosto, la ricerca di un ‘terzo spazio’, fra il cinema e il teatro, come ha indicato Greg Giesekam studiando l’utilizzo del video e del film nel teatro contemporaneo.[14] In Le confessionnal questo terzo spazio si configura nella triadica composizione tra il film di Hitchcock, la sua rilettura in chiave biografica e la ripercussione affettiva che queste performance testuali hanno sulla forma narrativa del film di Lepage, rendendone difficile l’attribuzione a paradigmi stabili e di genere cinematografico ben definito, com’è proprio della distorsione che la performance produce nella forma narrativa del testo.[15] L’adattamento come «trasposizione creativa e interpretativa di un’altra opera riconoscibile»[16] trova in Le confessionnal una sua conferma, ma anche un superamento e l’altra opera, non solo riconoscibile ma esplicitamente nominata e fatta circolare nel testo, compete nell’agone performativo del nuovo adattamento, senza che si stabilisca un testo ‘vincitore’, ma facendo riemergere le identità formali, culturali, storiche e di genere che i testi contengono nella loro potenzialità.

  Il cameo di Alfred Hitchcock in I Confess

 


1 M. Carlson, Performance: A Critical Introduction, London, Routledge, 1996, p. 100 (La seconda edizione, aggiornata, è stata pubblicata nel 2003).

2 Sull’argomento ha scritto diffusamente Longhi, le cui riflessioni, estese anche al teatro di Lepage, sono reperibili nel saggio La drammaturgia del Novecento tra romanzo e montaggio, Lucca, Pacini, 1999.

3 Sul contributo di Lepage all’inserimento dei media audiovisivi nella rappresentazione teatrale si veda il volume di G. Giesekam, Staging the Screen. The Use of Film and Video in Theatre, London, Palgrave, 2007.

4 Le notizie di produzione relative al film sono prese da: A. Dundjerovic, The Cinema of Robert Lepage: The Poetics of Memory, London, Wallflower Press, 2003. Per una contestualizzazione più specificamente teatrale del percorso di Lepage si rimanda alla lettura del saggio di Anna Maria Monteverdi, Il teatro di Robert Lepage, Pisa, BFS, 2004.

5 Su questo aspetto e anche su alcuni concetti formali del film di Lepage, segnalo la lettura di un articolo scritto per celebrale il decennale della sua uscita nelle sale: D. Totaro, ‘Le Confessional 10 Years Later: A Québec Classic Revisited’, Off Screen, IX, 5 (May 2005) http://www.offscreen.com/index.php/phile/essays/le_confessional/ [accessed 4th May 2014].

6 Per una discussione articolata dei rapporti fra Hitchcock e la censura durante le riprese di I Confess rimando a: A. Lawrence, ‘Constructing a priest, silencing a saint: The PCA and I Confess (1953), Film History, Volume 19, 2007, pp. 58–72.

7 Si tratta di un neologismo introdotto dal teorico e musicista Michel Chion per definire il «fantasma sensoriale» di un suono di cui non siamo in grado di conoscere la fonte d’emissione. Ne discute ampiamente nel volume Le son au cinéma, Paris, Editions de l'Etoile, 1985.

8 Allo studio di questo concetto Deleuze dedica il volume Cinema 2: the time-image. Una panoramica ragionata sulla sua filosofia del cinema si trova nel volume di F. Colman, Deleuze & Cinema. The Film Concepts, Oxford and New York, Berg, 2011 (per il concetto di «affetto» cfr. pp. 79-88).

9 Si consiglia la lettura di un saggio approfondito e illuminante di Bill Krohn, ‘I Confess and Nos deux consciences’, in W. Schmenner, C. Granof (eds), Casting a shadow. Creating the Alfred Hitchcock Film, Evanston, Northwestern University Press, 2008, pp. 49-61.

10 A. Dundjerovic, The Cinema of Robert Lepage, p. 71.

11 Nel suo puntuale articolo sul film d’esordio di Lepage – La confessione cinematografica di un fan di Alfred Hitchcock. Costanti tematiche e motivi teatrali nel cinema di Robert Lepage: il caso Le confessionnal – Sara Russo identifica nella parete «l’oggetto-risorsa» dal quale prende corpo il processo creativo dell’opera, in modo analogo a quanto accade anche nelle messe in scena teatrali del regista (tra le quali Russo privilegia Les sept branches de la rivière Ota, 1994-1996, per l’andamento centrifugo che scansiona la rappresentazione della memoria, anche là in bilico costante tra l’individuale e il collettivo, nonché per altre corrispondenze simboliche). La parete, quella che Pierre rivernicia più volte nel tentativo, fallimentare, di far sparire le tracce delle fotografie che vi erano appese, e quindi del passato che vi era impresso, riporta alla memoria critica anche la ‘quarta’ parete, contro la cui chiusura al pubblico tutto il teatro di Lepage lavora, in sintonia con la storia teatrale dell’intero Novecento. Trovo, tuttavia, che in Le confessionnal sia proprio l’oggetto del titolo, cioè il confessionale, a costituire questa risorsa immaginifica e spazio-temporale su cui ruota il congegno. L’articolo di Russo può essere consultato on-line al seguente indirizzo: http://www.trax.it/olivieropdp/mostranotizie2.asp?num=86&ord=48 (accessed 3rd September 2014).

12 Peter Dickinson, 'Space, time, auteurity and the queer male body: the film adaptations of Robert Lepage', in J. Stacey, S. Street (eds), Queer Cinema. A Screen Reader, New York, Routledge, 2007, p. 184 (traduzione di chi scrive). Le Confessionnal, da questo punto di vista, è un’anomalia, in quanto non è l’adattamento di un’opera teatrale di Lepage, ma è anche l’opera ‘manifesto’ del suo modo di intendere il cinema come particolare tipo di riscrittura, che non si lascia concludere testualmente.

13 J. Miller, Subsequent Performances, London, Faber and Faber, 1998.

14 G. Giesekam, Staging the Screen, p. 222.

15 Questa la definizione dell’effetto della performance secondo Elena Del Rio, Deleuze and the cinemas of performances: powers of affection, Ebinburgh, Edinburgh University Press, 2008, p. 15.

16 L. Hutcheon, A Theory of Adaptation, New York, Routledge, 2006, p. 7 (traduzione di chi scrive).