Il disegno della scrittura: i libri di Gastone Novelli

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Anticamera dell’Ade, serie della Hilarotragoedia, matita, pastelli e acquerello, 1964«Tra noi due sei tu il più brutto», si racconta che abbia spiegato un giorno Manganelli a Sanguineti, dopo averlo scrutato minuziosamente. «Perché sei antropomorfo».

Gli aneddoti letterari possono assumere il rilievo di apologhi critici. Nel motto di spirito Manganelli condensa una direzione di ricerca. Popolata di creature che eccedono i paradigmi dell’umano, la scrittura di Manganelli è in fuga dall’antropomorfismo, rifiuta la rappresentazione figurativa, allestisce uno spazio ‘informale’. La fisionomia impressa da Manganelli al profilo delle parole coincide con quella dis-umana, opposta all’antropomorfismo, anche culturale, di Sanguineti.

«Lei riesce a distinguere in una mia casa quello che è carnale, quello che è vegetale, quello che è pietrificato?» chiede Gaudì in una delle Interviste impossibili. Organico e inorganico sono contigui, condividono «la voglia di non essere, la brama di assenza, [...] la speranza di disincarnarsi che è di tutta la carne». Una negazione anticipata dalla «volontà discenditiva» che domina Hilarotragoedia, esordio manganelliano del 1963. Catalogo degli slittamenti della forma verso l’informe, manuale per la de-formazione, Hilarotragoedia offre referti di un ‘realismo’ aniconico che incontra la ricerca figurativa di Novelli. La Serie dell’Hilarotragoedia, ciclo illustrativo dell’opera manganelliana, è il centro della mostra Il disegno della scrittura. I libri di Gastone Novelli, curata da Marco Rinaldi per il Museo del Novecento di Milano. Attratto dal linguaggio, il segno di Novelli descrive le parole degli autori che gravitano intorno al Gruppo 63. I disegni per l’Hilarotragoedia accolgono un brulicare di linee tracciate ricordando che solo con «assai frettolosa semplificazione» gli «adediretti» possono essere definiti «umani». Umano, per Manganelli, non è quanto risponde a una convenzionale «iconografia del corpaccione»: è piuttosto il destino discenditivo che accomuna qualunque «agglomerato di visceri violacei» si trascini su lande terrestri o extraterrestri. Del resto i ‘personaggi’ di Novelli, non solo i manganelliani, schizzano fuori dall’orbita terrestre: la serie Juri Novelli Gagarin sublima la conquista dello spazio in un sogno di alterità assoluta, mentre I viaggi di Brek sono il sondaggio di spazi incongrui da parte di un’intelligenza disumanizzata.

Le creature ilarotragiche di Novelli rivelano una disponibilità alla deformazione, una qualità metamorfica che cede alla pressione dell’ambiente: esseri «lavorati come sasso per acqua», ridotti a «un appunto di spina dorsale», le mani semplificate in «una quintupla fosforescenza nell’aria». Efflorescenze, palpebre, gambe che si «dicotomizzano», membra disarticolate conservano labile memoria dei gesti umani, orecchie come imbuti di vetro raccolgono i sussurri dell’Ade. Le forme si assottigliano fino a diventare indecifrabili scritture: «ecco una grafia nerobianca per l’aria tener luogo di anima; e passeggiare un ideogramma che fu uomo di impetuosi e vanissimi amori». La dilatazione ideogrammatica delle lettere, il reimpiego figurativo dei segni alfabetici viene sperimentato da Novelli nei suoi libri contemporanei all’Hilarotragoedia: Scritto sul muro, Dedica, Antologia del possibile. La decostruzione della figura umana, che culmina nell’inesistenza imperfetta del non-nato, si trasmette dalla scrittura manganelliana alla rappresentazione di Novelli. Manganelli deforma, occulta, differisce il soggetto del discorso come fa Novelli con il soggetto della rappresentazione. Questo soggetto in continua trasmutazione si diluisce nell’universo, che è una struttura ibrida «combinata parte di macchine e parte di membra». Uno spazio che non prevede l’umano, attraversato da pieghe in cui l’umano si insedia come corpo estraneo, ospite non previsto. Novelli ha allestito paesaggi simili, reagendo ad altre scritture della desertificazione, illustrando il Comment c’est di Beckett, de-formando le interpretazioni mitologiche di Klossowski, oppure tracciando le «reincarnazioni dell’Occhio» che costituiscono, secondo Barthes, l’Histoire de l’oeil di Bataille. Declinazioni della figura-occhio, trasmigrazione delle immagini una nell’altra, lungo una catena metaforica entro la quale l’oggetto «permane e varia insieme», suggerendo a Novelli ulteriori possibilità di disfacimento della forma, che diventa «significazione senza significato (o in cui tutto è significato)».

Novelli traduce in immagini «uno spazio mentale, un luogo assoluto che tollera una descrizione solo secondo le regole del disegno, una minuta catalogazione di linee»: detto con le parole che Manganelli pronuncia sulla soglia del libro Salons, nel 1986, una galleria di ekphraseis non figurative, di immagini sottratte dalla scrittura alla dimensione rappresentativa, e risolte in «un transito di disegni e colori che si agglomerano». Le immagini sono sempre illustrazioni di libri inesistenti, come i dipinti di Delvaux. Sono il sogno del testo, sono desiderio di compiacere un titolo, secondo la paradossale reciprocità che Manganelli ha sperimentato nell’incontro con Novelli: «il pittore è autore di un libro che sta altrove, un libro che tecnicamente non può scrivere – e di fatti il libro non esiste – ma che, come ipotesi, non potrebbe agire se non fosse inseguito amorosamente dal dipinto che misteriosamente lo illustra. Dunque: è pittura? È letteratura dell’inesistente? Il nulla illustrato?».