Ne La delicatezza del poco e del niente Roberto Latini legge una selezione di poesie di Mariangela Gualtieri, lasciando che queste scorrano una dopo l'altra, in una sequenza articolata in voce, suoni e respiri. Su un palco minuscolo, al centro di una scena nuda, l'attore vestito di bianco sta solo con il leggio, le aste e i due microfoni dentro una chiazza di luce. Così in un'essenzialità che odora di sacro, di antico, ma anche di accoglienza e di partecipazione, si snodano i singoli testi provenienti da diverse raccolte, come se si trattasse di un'unica poesia.
La limitatezza dello spazio impone un confine dello sguardo, ed è da questo luogo ristretto, controllabile in quanto fatto di margini materiali, che la poesia di Mariangela Gualtieri si smargina nella voce di Roberto Latini e nel paesaggio sonoro costruito da Gianluca Misiti, mentre la semplicità del disegno luci di Max Mugnai rimanda all'essenza primaria del teatro, ovvero al corpo dell'attore che in purezza si offre allo sguardo altrui.
L'inizio con il Monologo del Non so (da Parsifal) immette su una strada maestra che è quella del legame fortissimo della parola con il teatro, attraverso il personaggio che si presenta alla scena e dice 'io', sebbene sia sempre un io che afferma di non sapere, di non capire. Nel dichiarare i propri limiti, l'attore apre un dialogo con lo spettatore, dichiara di sapere poco, ma quel 'poco' lo rivolge ad un altro che ascolta, lo porge come un atto e una richiesta di comunicazione. Più ci si abbandona all'ascolto, lasciandosi guidare dal suono e non dal senso delle parole, più la strada maestra si biforca in sentieri diversi, percorsi possibili in cui l'io di Parsifal diventa il 'voi' del Sermone ai cuccioli della mia specie, assieme predica e preghiera, adorazione e implorazione rivolta agli adulti che siamo e ai bambini che un tempo siamo stati. Il contrasto è molto forte, soprattutto per chi conosce la versione audio pubblicata dal Teatro Valdoca nel 2012; la voce della poetessa che nel Sermone guarda 'da una quasi nausea' il mondo dei grandi e prova pietà, nel timbro maschile di Latini si nutre di nuovi slittamenti di persona, di genere, di numero. Gli aggettivi al femminile come 'piccola' e 'lontanissima' restano credibili e rinnovano, nella loro indicazione di un tempo e di uno spazio che appartengono all'indeterminatezza dell'infanzia, il ricordo di quando ognuno di noi, prima di diventare una persona grande, dal buio provava ad allontanare la paura recitando parole magiche, inventando la propria 'formula che salva'.
La lettura costruisce un percorso affascinante ma anche disorientante, un percorso in cui non c'è una reale paura di perdersi, quanto piuttosto lo smarrimento nello scoprirsi esseri umani, ancora sensibili e capaci di attenzione, anche laddove manchi la sollecitazione visiva. Si chiarisce pertanto il senso di un allestimento che non offre appigli all'occhio dello spettatore, che anzi ne induce lo sguardo a vagare in uno spazio (quasi) vuoto, in modo che proprio da quel niente, da quel poco, la poesia possa irrompere all'improvviso. Non a caso la genesi del reading attiene alla consapevolezza del sentirsi umani e dello scoprirsi parte di una natura non controllabile e pertanto sorprendente.
Latini fa risalire l'origine de La delicatezza del poco e del niente a circa dieci anni fa, quando, assieme alla poetessa di Cesena, drammaturga e anima, con Cesare Ronconi, del Teatro Valdoca, in una sera d'estate vide d'un tratto apparire le lucciole. È l'accadere di questo piccolo miracolo a offrire una chiave per accedere all'universo poetico di Mariangela Gualtieri. Bisogna predisporsi ad accogliere la poesia come fosse un miracolo, sentire sulla propria pelle il privilegio di essere ammessi alla sua bellezza; solo così è possibile 'leggerla' e infine diventarne un tramite per la platea teatrale. Per riuscire nell'intento occorre cambiare postura, essere meno regista, essere meno analitico, in modo da mettersi completamente al servizio di quella parola che, più che essere interpretata, deve essere ricevuta come un dono inaspettato.
Nell'approccio ai versi della Gualtieri Latini modifica il suo atteggiamento, accantona l'intelligenza registica che lo ha contraddistinto nelle messinscene da Pirandello, I Giganti della montagna (2015) e Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? (2018), o da Testori nel recente In exitu (2019), per ritornare alla poesia già affrontata nel Cantico dei Cantici (2017), in maniera ancora più radicale, più originaria, più intima. Eliminando dallo spettacolo ogni codice espressivo superfluo, ogni virtuosismo, l'attore può attendere che la parola si sveli, di volta in volta leggendo le poesie scelte come se, al pari delle lucciole, apparissero all'improvviso.
L'essenzialità che caratterizza la lettura risiede nel paradosso attoriale di far sembrare naturale un lavoro sul corpo e soprattutto sulla voce che è invece intenso, rigoroso, modellato su una tecnica ormai acquisita, su un mestiere che qui l'attore sceglie di non esibire. È un sacrificio necessario che consente alla parola di Gualtieri di avere spazio, di arrivare come unica protagonista e di inscriversi compiutamente sulle tracce sonore. La semplicità dimessa dello spazio e i movimenti limitati di Latini permettono allo spettatore di godere appieno delle parole e dei suoni, di 'sentire' la poesia grazie alla costruzione di una partitura che sembra generata dagli stessi versi. Il lavoro sulle musiche è straordinario, Latini lo accoglie come fa con le poesie, facendosi trasparente, offrendo la sua voce per assecondare un ritmo che proviene da un bosco elettronico su cui anche gli spettatori, vibranti corpi in ascolto, accordano il proprio respiro. È questa la lezione più importante sulla poesia, il gesto sovversivo in cui coinvolgere i giovani affinché ne scoprano la clamorosa bellezza: l'ascolto. È questo che fa l'attore, ascolta e svela per noi Mariangela Gualtieri, offrendosi come tramite, facendosi voce che chiede, nel testo letto in chiusura tratto da Bestia di gioia, di essere gentili l'uno con l'altro, con un 'tu' che è monito e preghiera: «Sii dolce con me. / Maneggiami con cura. / Abbi la cautela dei cristalli / con me e anche con te» (Einaudi, 2010, p. 124).
Visto a Lamezia Terme (CZ), Tip Teatro, 18 gennaio 2020
Poesie di Mariangela Gualtieri; regia Roberto Latini; musica e suono Gianluca Misiti; luci e direzione tecnica Max Mugnai; con Roberto Latini; produzione Fortebraccio Teatro; lingua italiano; durata 65 minuti.