L'onda lunga del teatro. Incontro con Andrés Neumann

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In occasione della giornata di studi La memoria dell'effimero pubblichiamo una densa testimonianza di Andrés Neumann.

Trovarsi nel posto giusto al momento giusto può essere questione di fortuna, ma saper sfruttare l'occasione richiede intuito, talento imprenditoriale e molta curiosità.

In questa intervista Andrés Neumann racconta gli inizi della sua carriera in Uruguay, la formidabile esplosione creativa del Festival di Nancy negli anni Settanta e la sua collaborazione con i più importanti artisti della scena del novecento: Peter Brook, Pina Bausch, Tadeusz Kantor, Bob Wilson, ma anche Mastroianni, Fo e Gassman di cui propone un ritratto inedito.

D: Parlami un po' di te: come ti sei avvicinato al teatro negli anni in cui vivevi a Montevideo?

R: In realtà io non ho deciso niente, penso che sia stato il teatro in un certo senso a decidere che potevo essere utile. Queste cose hanno normalmente un inizio molto pratico: io avevo un grande interesse soprattutto per il cinema, ma a vent'anni avevo una fidanzata (con la quale poi mi sono sposato) che era maestra di francese e faceva parte di una compagnia teatrale che metteva in scena spettacoli in lingua francese... in Uruguay. Quindi quanto di più improbabile ci potesse essere! Il professore della Alliance Francaise di Montevideo che animava questa compagnia, visto che io andavo sempre a prenderla alle prove ma arrivavo un po' prima e stavo lì a guardare, ad un certo punto mi ha detto: «Scusa, invece di stare seduto lì, vieni a darci una mano anche tu!». Mi ha messo in mano uno di questi registratori dell'epoca, quelli con i nastri, e mi ha dato istruzioni: «Guarda, c'è una scena dove ad un certo punto entra qualcuno e c'è un nastro dove si sente il rumore di una porta che fa "gniiiiiiee" e tu al momento giusto lo mandi» e così ho cominciato.

D: Quindi ti sei occupato di un po' di tutto all'inizio...

R: Di tutto, di tutto. Ho fatto ogni cosa in teatro, escluso l'attore. Però dieci anni fa ho incontrato un maestro straordinario, che si chiama Juan Carlos Corazza, che in questo momento tiene a Roma un workshop per attori professionisti dove io faccio l'uditore. Lui dieci anni fa mi ha dato la possibilità di trovare l'attore che c'è in me.

D: Non è anche il maestro di Javier Bardem?

R: Sì, è un grande maestro di attori. Siamo diventati molto amici, e con lui ho scoperto l'ultimo pezzo di teatro mancante.

D: E come è andata, bene?

R: Sta andando benissimo, perché è ancora in corso, oggi è giorno di riposo.

D: Lo fate uno spettacolo poi alla fine? Sì?

R: Nooo! (ride).

D: Senti, ma quando poi sei andato in Francia, la cosa è diventata più seria, o meglio, ha assunto contorni più professionali, mi sembra.

R: Sì io per dieci anni in Sudamerica avevo lavorato in modo – come si può dire – amatoriale, perché il teatro in Uruguay, che si chiamava teatro indipendiente, non era pagato: tutti facevano altri lavori. Cioè: in un certo senso era amatoriale perché non eri pagato, però era del tutto professionale. L'ho fatto per dieci anni e lì poi mi hanno dato una borsa di studio per la Francia, così sono arrivato nel ‘72 al Festival di Nancy, che era un luogo particolarmente magico, un buon posto dove arrivare.

D: Una sorta di concentrato di personalità importanti.

R: Sì, tutto quello che noi conosciamo del teatro, anche adesso, è uscito da lì: Bob Wilson, Grotowski, Kantor, Pina Bausch, tutto quello che conosciamo oggi…

D: ...è passato di lì.

R: No, non è passato, è stato scoperto lì. Tutto questo è accaduto negli anni Settanta-Ottanta: un'esplosione così forte che l'onda lunga si sente ancora adesso, come il Big Bang.

D: Sei stato fortunato a finire al centro, nell'ombelico del mondo del teatro, no?

R: Fortunatissimo, eh ma la fortuna ci vuole!

D: E certo che ci vuole. E il direttore del festival di Nancy era Jack Lang?

R: Sì, Jack Lang, che in seguito è diventato ministro della cultura e mi ha fatto poi diventare anche Chevalier des Arts et des Lettres: sono molto orgoglioso di questo. Un grande maestro anche lui. Poi il mio maestro successivo, arrivando a Roma, è stato Renato Nicolini, soprattutto dal punto di vista della politica culturale, che è un tema che per me è stato sempre centrale.

D: Uomo molto aperto e curioso, no?

R: Si, assolutamente!

D: Quali sono i primi artisti di cui ti sei occupato da un punto di vista professionale?

R: Quando sono arrivato in Italia, più o meno nel ’74, a Firenze, dove abitavo, ho avuto la fortuna di trovare una compagnia che faceva capo a un regista che si chiamava Pierluigi Pieralli, che è diventato in seguito anche un importante regista d'opera. Questa compagnia aveva uno spazio all'interno di Palazzo Pitti, un posto incredibile! Così sono riuscito a mettere insieme il Teatro Regionale Toscano con questa compagnia e lì mi è stata data la possibilità di fare tre stagioni di teatro sperimentale dove ho invitato un po' tutti gli amici che avevo conosciuto a Nancy: Kantor, Wilson, Meredith Monk, eccetera. Quello è stato un momento speciale. In questo modo mi sono fatto conoscere in Italia. Poi Renato Nicolini è stato nominato Assessore alla cultura al Comune di Roma, io sono stato chiamato a dirigere un festival a Roma, e da lì la carriera è decollata. Però, tornando alla tua domanda, se parliamo dell'attività imprenditoriale che poi ho fatto per vent'anni con la Neumann International, i miei primi clienti sono stati i Colombaioni, i clown di Fellini.

D: Non lo sapevo, loro quindi sono stati i primi. Tu ti sei occupato spesso di fare girare gli artisti italiani?

R: Sì, sì! Non solo italiani, portavo anche, per esempio, la compagnia di Igmar Bergman dalla Svezia in Portogallo, oppure americani in Giappone, russi in Messico. Era un’attività a 360 gradi.

D: Ho letto che Bergman, per esempio, non si aspettava affatto una proposta di tournée internazionale.

R: È vero, sono un po' provinciali lì, almeno per il teatro (ride)!

D: E hai fatto girare Mastroianni, Gassman...

R: Sì, artisti italiani importanti all'estero.

D: Con qualche problemino per Dario Fo, però, dato che era dichiaratamente comunista.

R: Sì, tu ti riferisci all'episodio dei visti per andare in America. Quella è stata una vicenda molto interessante perché il visto alla fine si è ottenuto, ma per motivi commerciali, non per motivi culturali. Cioè: il visto è arrivato perché un produttore di Broadway aveva investito due milioni di dollari per fare una specie di produzione on Broadway di Morte accidentale di un anarchico e voleva assolutamente Dario Fo per l'inaugurazione, per la prima. Quindi era un fatto di marketing!

D: In nome del commercio gli americani hanno ceduto...

R: Sì, del freedom of trade, anche perché altrimenti avrebbero dovuto affrontare una causa e pagare un sacco di soldi.

D: Parlami del tuo incontro con Pina Bausch.

R: Ho visto per la prima volta Pina a Nancy e per me è stata subito sconvolgente, come anche per molta altra gente. Poi, quando ero consigliere di Nicolini al Comune di Roma, quindi non come imprenditore ma come consulente, ho fatto di tutto per riuscire a portare la compagnia a Roma. È venuta al Teatro Argentina con lo spettacolo Viktor e Roma è stata la prima città con la quale ha inaugurato questo format delle città del mondo. Una volta finita la mia collaborazione con l'assessorato, quando ho potuto instaurare un rapporto professionale, imprenditoriale con la compagnia, ho portato un loro spettacolo a Palermo nel 1987-88. E in seguito, anche Leoluca Orlando ha voluto lavorare con la compagnia di Pina Bausch e così è nato Palermo Palermo nel ’90.

D: L'ho visto, bellissimo spettacolo.

R: Che è stato presentato di nuovo per la seconda volta a Parigi un mese fa.

D: La Neumann International continua ad essere l'agenzia del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch?

R: Diciamo che io sono l'agente, il rappresentante della compagnia per l'Italia e per il Sudamerica, non per la Francia. Quindi lo spettacolo a Parigi è stato presentato come una produzione della Neumann International ma non l'ho organizzato io, io organizzo le rappresentazioni del Tanztheater in Italia.

D: Tu hai lavorato anche con Peter Brook, com'è lui?

R: Peter Brook è un grande maestro, lo sappiamo tutti. Con lui ho collaborato per venticinque anni, ho co-prodotto il Mahabharata, ed è stato uno dei momenti più significativi della mia carriera professionale.

D: Uno spettacolo con tantissimi attori...

R: Sì una produzione enorme. Io ho organizzato una tournée internazionale in cinque città: una co-produzione di Atene, Francoforte, Madrid, Barcellona e Prato, ed è stata talmente impegnativa che dopo lo spettacolo al Fabbricone, il sindaco di Prato si è dovuto dimettere, perché pare che gli sia costato troppo. Quindi sono storie che lasciano il segno!

D: Poverino. Per di più lo spettacolo era lunghissimo...

R: Sì, nove ore!

D: Cose che non si possono fare più adesso, che dici?

R: Perché? Secondo me sì!

D: Raccontami qualche aneddoto su Mastroianni e su Gassman, che hai conosciuto e portato in giro.

R: Gassman era veramente un grandissimo professionista, ho imparato tantissimo da lui. Perché io venivo soprattutto dal teatro di ricerca e collaborare con un attore del mainstream come lui, beh, è tutta un'altra cosa: lui era un conoscitore fine e approfondito di tutto il sistema teatrale mondiale. Quando noi stavamo a Los Angeles, dove Gassman aveva vissuto tanti anni, abbiamo fatto uno spettacolo suo per un mese in teatro. Conosceva tutti, ogni giornalista. La mattina a mezzogiorno quando usciva dalla sua stanza d'albergo aveva letto tutto, tutto quello che avevano scritto di lui. Una grande conoscenza del mestiere, ho imparato molto dalla sua professionalità. Anche a Roma, quando andavo a casa sua, mi preparavo le domande, le cose che dovevo sapere ed ero convinto di dover stare con lui ore... invece dopo quindici minuti era tutto finito, perché era tutto talmente chiaro! Inoltre era un uomo di una generosità enorme, fantastico. Con Mastroianni abbiamo fatto una tournée di uno spettacolo di Michalkov a Parigi, quindi con lui la relazione si è limitata a questa collaborazione parigina, mentre con Gassman abbiamo girato molto. Anche con Dario Fo e Franca Rame era molto bello viaggiare perché con loro ogni cosa era una scoperta.

D: Vittorio Gassman quindi aveva tutto sotto controllo, e forse non lo diresti pensando a lui. E Bob Wilson?

R: Con lui abbiamo collaborato in alcuni progetti. È un artista fantastico, un maestro del suo tempo, un uomo completo. Ha fatto adesso una mostra al Louvre a Parigi e poi vicino a New York, a Long Island, ha fondato il Watermill Center, che è un luogo fantastico per la formazione. È un artista veramente integrale, un po' come adesso Marina Abramovic in un altro settore: anche lei è esemplare per questa capacità imprenditoriale. Bob è un tipo molto capace, ed era incredibile allora, perché aveva sei produzioni allo stesso tempo: una in Giappone, una in America, una in Italia...

D: Ancora adesso credo, no?

R: Sì ma ora ha anche settant'anni!

D: Senti, io racconto sempre di quando ti ho invitato alla Villette a Parigi per vedere lo spettacolo di Enrique Vargas e descrivo l'episodio come esempio di disponibilità da parte di una persona importante. Ti ho telefonato da perfetta sconosciuta e tu ti sei incuriosito e hai detto: «Ah, sì? Molto interessante!», poi ci siamo visti e ti ho dato il materiale, ti ricordi?

R: Certo che mi ricordo! Solo che all'epoca non mi potevo permettere di lavorare per una compagnia così complessa come il Teatro de los Sentidos. Dopo, quando ho chiuso l'agenzia, ho potuto collaborare molto di più con Enrique e ti sono sempre grato per questa connessione: abbiamo fatto tante belle cose insieme e siamo diventati anche molto amici, sempre grazie a te!

D: Hai fondato a Pistoia questo centro culturale, il Funaro.

R: Sì, il Funaro. È stato un processo bellissimo: per dieci anni ho accompagnato questa nascita, sono stato un po' una levatrice, ora il centro è nato ed è molto bello.

D: Sì, ci sono stata, si mangia anche molto bene.

R: Fa parte del lavoro...

D: E c'è anche la foresteria dove le compagnie possono alloggiare.

R: E c'è il centro di documentazione a cui ho donato il mio archivio.

D: Ecco, appunto, vorrei parlare di questo. Come è nata l'idea dell'archivio? Ad un certo punto hai deciso di raccogliere tutto il materiale accumulato in anni di attività lavorativa, immagino.

R: No, diciamo che io ho tenuto circa il dieci per cento del materiale cartaceo della mia attività: corrispondenze, fotografie, contratti, manifesti, eccetera. Perché in trent'anni di attività c'è il tempo di fare molte cose e il materiale è infinito. Poi sai, cambiando uffici, posti, persone... Però diciamo che la parte sostanziale del mio lavoro è rimasta. I documenti che riguardano il progetto con Kantor, per esempio o con Pina Bausch e Peter Brook sono conservati. Così, quando c'è stata l'inaugurazione del Funaro, ho proposto di donare al centro questo archivio professionale ed è accaduto.

A questo punto l'intervista è finita e Andrés mi regala il libro scritto da Maria Fedi sul suo archivio con una dedica.

L'archivio Andrés Neumann, insieme eterogeneo e ricchissimo di lettere, contratti, schede tecniche, fotografie, schizzi, è un po' la storia della sua vita. Una storia concreta e visionaria perché bisogna fortemente sognarlo uno spettacolo perché si realizzi, ma occorre anche grande organizzazione e senso pratico nell'accompagnarne la gestazione. E se la memoria di un evento teatrale è volatile, affidata al ricordo degli spettatori, alle recensioni o tutt'al più ad un video, tutto ciò che lo precede e lo rende possibile forse non era mai stato documentato con tanta precisione e generosità.

Per le foto ©Archivio Andrés Neumann