«Dans ces images, rien n’est démodé sauf la bourgeoisie».
H. Langlois, Aller au cinéma: Louis Lumière,1968
Il loro destino era già scritto nel nome, letteralmente quello di ‘portare alla luce’ l’invenzione che avrebbe cambiato il mondo: il cinematografo.
Di August e Louis Lumière, strampalati borghesi parigini, un po’ imprenditori e un po’ inventori, crediamo, sbagliando, di sapere tutto; ma – oltre a quella prima proiezione del 28 dicembre 1895 e agli spettatori sconvolti da l’Arrivèe d’un train à la Ciotat – della loro straordinaria storia c’è molto ancora da raccontare.
Ci prova, riuscendoci, la ricca mostra-evento curata da Thierry Frémaux e realizzata dall’Institut Lumière nel 2015 per festeggiare i 120 anni dell’invenzione del cinema, visitabile fino al 5 marzo presso il Sottopasso di Piazza Re Enzo a Bologna grazie allo sforzo della Cineteca di Bologna.
In un corridoio sotterraneo – che per ironia della sorte conduceva all’antistante Cinema Modernissimo – l’allestimento bolognese si apre con la proiezione a parete di Sortie d’Usine, la mitica ‘uscita dalle fabbriche Lumière’, il celebre ‘primo film’ della storia. Quello che non tutti sanno è che di questa veduta esistono tre versioni, tutte girate nel marzo 1895, la cui esistenza ci pone innanzi, da subito, a uno dei nodi tematici più forti della mostra: l’autorialità di Louis Lumière. Ben prima della gag di L’Arroseur arrosé, sul cui carattere di finzione non vi sono dubbi, Louis dimostrava di conoscere il concetto di messa in scena, ma anche di essere consapevole che il soggetto e il fruitore della sua invenzione erano lo stesso: la massa.
La prima parte dell’esposizione è dedicata ai ‘preludi’, cioè alle invenzioni precinematografiche, in un viaggio verso ‘la scoperta dell’occhio’ che si arresta proprio sulla soglia degli esperimenti di Étienne Jules Marey e Thomas Edison, come se il destino avesse volutamente atteso l’operazione maieutica finale dei Lumière. In questa sezione, tra le tante curiosità troviamo un teatro ottico di Emile Reynaud del 1894 e un kinetoscopio di Edison dello stesso anno, quindi molto simile a quello che Louis Lumière aveva visto a Parigi e perfezionato al suo ritorno a Lione inventando, di fatto, il cinema. Il suo apporto fu chiaramente maggiore di una semplice miglioria del mezzo, ma si trattò dell’atto fondativo sia di un’industria che di un nuovo rito sociale.
Non è un caso che, prima di giungere alla ricostruzione della prima sala di proiezione al Grand Café in Boulevard des Capucines, il percorso espositivo indugi in una sezione dedicata alla famiglia di industriali e inventori, non solo August e Louis, ma anche il padre Antoine. I Lumière vengono qui raccontati attraverso grandi e piccole invenzioni – dalla prima carta fotografica ‘a secco’ commercializzata industrialmente nel 1881, la famosa ètiquette bleue, al diaporama, una sorta di proiettore carousel collegato a un dispositivo sonoro – ma anche attraverso piccoli film di famiglia, in parte sceneggiati grazie alla complicità di tutti. Non sfuggono all’occhio dello spettatore attento la suspense ricercata di Première pas de bebè, o i riferimenti alla pittura dell’epoca, rispettivamente a Paul Cézanne e Pierre-August Renoir, di Partie d’ècartè e Le petite fille son chat.
Superata la ricostruzione del Salon Indien e ammirati le affiche e gli scultorei chassis in legno delle macchine da presa, ecco la sorpresa che da sola vale la visita alla mostra: un tunnel di luce dentro al quale sono proiettate contemporaneamente tutte le 114 vedute Lumiére restaurate.
Come lo spettatore di fine Ottocento, si è colti dalla meraviglia dell’immagine in movimento «offerta dal mondo al mondo» che si dispiega, per la prima volta, allo sguardo. Colpisce particolarmente l’estrema attualità dei film girati dagli operatori della Cinématographe Lumiére, assoldati già dagli inizi del 1896 attraverso un concorso per fotografi e inviati in ogni angolo del pianeta a ‘registrare’ la realtà. Si tratta di vedute contraddistinte da un rigore compositivo e cromatico inaspettato: molto prima della grammatica griffithiana questi pionieri avevano già preconizzato, in modo del tutto empirico e istintivo, la profondità di campo, la divisione in piani dell’inquadratura e addirittura l’uso del carrello, magistrale in Panorama du Grand Canal pris d’un bateau di Alexandre Promio.
Un po’ a malincuore si lascia il tunnel e si attraversa un corridoio dedicato alle altre industrie cinematografiche sorte in Europa immediatamente dopo l’invenzione dei Lumière, attorno ai pionieri Georges Méliès, Charles Pathé e Léon Gaumont, nonché all’arrivo del cinema a Bologna già nell’estate del 1896.
Il percorso prosegue in una grande sala dedicata alle successive invenzioni dei Lumiére: lo schermo trasparente per l’Esposizione Universale del 1900, il primo sistema cinematografico tridimensionale (1935) e il primo procedimento fotografico a colori basato sulla sintesi additiva, l’Autochrome (1903) con il quale Gabriel Veyre realizzò le prime immagini a colori in Marocco.
L’Africa coloniale è qui raccontata anche attraverso le immagini di Albert Samama-Chikli, fotografo e ‘primo cineasta’ tunisino, che contribuì a diffondere il cinematografo e i film dei Lumière nel nord Africa. Prima di accedere all’ultima sala, ci si immerge all’interno di uno straniante panorama a 360° generato dal Photorama, un dispositivo brevettato da Louis nel 1900, che mirava a rilanciare, attualizzandola, la moda ottocentesca delle vedute fotografiche immersive ottenute con il Diorama, in una sorta di esperimento di expanded cinema ante litteram.
L’ultima sala è dedicata al lascito dei Lumière nella storia del cinema. Dal formato di visione in 4:3, per anni dimenticato e che oggi ritroviamo nel cinema rilocato su tablet e smartphone, alla persistenza del loro alfabeto visivo nel vocabolario dei cineasti successivi: Lutteurs Japonais, girato da Constant Girel nel 1897 sembra anticipare Sette Samurai di Akira Kurosawa, mentre Vue prise d’une balenière en marche porta immediatamente alla mente La corazzata Potëmkin, per non parlare di Fumerie D’Opium di Gabriel Veyre (1899) che con la sua perfetta cromia e il punto di vista ribassato potrebbe essere confusa con una scena di un film di Yasujirō Ozu.
La mostra si chiude con un irresistibile divertissement, i remake della Sortie d’Usine realizzati nel 2015 nientemeno che da Pedro Almodóvar, Michael Cimino, Xavier Dolan, Jerry Schatzberg, Paolo Sorrentino e Quentin Tarantino.
Per l’occasione, la Cineteca di Bologna ha pubblicato un cofanetto contenente i 114 film dei fratelli Lumière attualmente restaurati, approfondimenti ed extra, tra cui i film Lumiere di Paul Paviot, Aller au cinéma, Louis Lumière di Éric Rohmer e ‘le nuove’ Sortie d’Usine. Il triplo DVD è acquistabile sul sito della fondazione www.cinetecadibologna.it