Mario Perniola, Estetica Italiana Contemporanea

di

     
Categorie



Questa pagina fa parte di:

 

Copertina del volume di Mario Perniola Estetica Italiana Contemporanea (Bompiani 2017)

Lo scorso Gennaio, tra l’8 e il 9, sono scomparsi nella medesima notte un autorevole accademico e un incollocabile outsider. Entrambi rispondevano al nome di Mario Perniola. Un’intera vita, quella di Perniola – fin dagli anni ’60 una delle voci più interessanti e originali in assoluto del dibattito sull’estetica e sulle arti contemporanee – vissuta perennemente in bilico tra questi due modi d’essere, con la rara e straordinaria capacità di far sì che si alimentassero costantemente a vicenda. Era andato da pochi anni in pensione dal suo trentennale ruolo di docente all’Università di Roma “Tor Vergata” – seguìto a più di dieci anni di insegnamento all’Università di Salerno –, ma il suo percorso istituzionale s’era da sempre mosso in modo assolutamente anticonvenzionale, lontano dalle ‘parrocchie’ politiche e accademiche, votato a un’eterodossia che lo ha sempre portato a tendere l’orecchio alle realtà artistiche e speculative meno scontate, tra le avanguardie e le posizioni più inconsuete: dalla sua vicinanza con il movimento situazionista e dall’amicizia con Guy Debord, fino ad arrivare alle più estreme speculazioni sul post-umano e sull’inorganico, passando per le vertigini delle riflessioni sulla letteratura (e sulla metaletteratura) e sul pensiero di Georges Bataille, che egli, fra i primissimi, fece conoscere al pubblico italiano.

E sembra quasi che, con le sue ultime due pubblicazioni, Perniola abbia voluto tentare il lascito di una sorta di estremo testamento. Con il sottotitolo Storiette, esce nel 2016, per i tipi di Mimesis, Del terrorismo come una delle belle arti e le storiette del sottotitolo erano, appunto, brevi racconti che, fondendo la finzione letteraria all’autobiografia, ripercorrevano le tappe cruciali che hanno intrecciato, nel fitto ordito della sua vita, la riflessione filosofica agli avvenimenti politici, sociali e culturali che ha attraversato.

È però Estetica Italiana Contemporanea (Bompiani, 2017), uscito pochi mesi prima della sua scomparsa, che segna il suo testamento ultimo. Ultimo in ordine temporale – essendo l’opera che conclude la sua lunga carriera – ma anche in senso assoluto perché sottolinea, una volta per tutte e più che altrove, proprio quella duplice natura di Perniola di cui dicevamo, cioè il suo essere paradossalmente ma inscindibilmente un pensatore accademico tanto quanto un outsider. Tale doppia natura si rivela qui grazie alla scelta di fondo che anima lo studio: ripercorrere gli ultimi decenni italiani (dalla seconda metà del ’900 a oggi), attraverso varie figure chiave della riflessione sull’estetica, individuate, però, non solamente tra le fila consuete dei pensatori più titolati e istituzionali, ma anche tra quelle meno esplorate di non-filosofi o di filosofi che non hanno mai fatto scuola, spesso ignorati o semi-sconosciuti. Tra gli outsider del pensiero filosofico estetico, appunto, nella convinzione – fino alla fine – del danno derivante dai rigidi settori disciplinari, del fatto che spesso l’arte dei filosofi è qualcosa di diverso dall’arte reale e della necessità di mescolare, ibridare e sparigliare le carte perché si possa dare un quadro davvero efficace e completo delle direzioni prese dall’estetica negli ultimi decenni della nostra storia.

L’assunto dal quale muove l’opera è che la riflessione estetica in Italia, dopo i due bipolarismi che avrebbero dominato la prima metà del ’900 (quello neoidealista di Croce e Gentile prima e quello rappresentato da Gramsci e Pareyson negli anni ’50), si muoverebbe oggi lungo sei direttrici differenti ma tutte riconducibili alla rottura avvenuta nella nostra cultura tra gli anni ’60 e ’70. L’estetica – quale «inconscio politico» (p. 7) della società – si sarebbe dunque trovata di fronte alla necessità di fare i conti con la complessità della nuova cultura nata da quella rottura e, soprattutto, con l’urgenza di trovare nuovi strumenti per dare risposte alla questione del tortuoso rapporto tra i molteplici opposti da essa generatisi: il problema del conflitto, dunque, inteso come la questione chiave sulla quale interrogarsi.

Così, se la prima di queste direttrici riguarda i cosiddetti «teorici dell’armonia» (p. 11) che cercano (con mezzi differenti ma accomunabili tutti in echi della spiritualità cristiana) una riscoperta del bello come pacificazione degli opposti, la seconda rifiuta ogni armonizzazione e conciliazione, imbracciando l’arma dell’ironia e mirando piuttosto (con radici che ci riportano alla poesia e alla cultura del basso Medioevo e del Rinascimento) a una polidimensionalità, una relativizzazione dei termini in conflitto che porti a una teoria dei conflitti multipli, non ordinati gerarchicamente, ricorrendo al cosiddetto 'pensiero debole' e a una «logica dei concetti vaghi e sfumati» (p. 40) che si discosta da ogni rigida formalizzazione.

La terza direttrice individuata da Perniola è, poi, quella che si è mossa intorno al concetto di 'sublime', rigenerandolo e rinnovandolo in direzione di una sorta di «estetica del terrore» (p. 65) che teorizza un’«opposizione massima non dominabile dal soggetto» (p. 11): in questo caso, a essere rifiutate sarebbero sia la pacificazione proposta dalla prima che l’ironia alla quale fa ricorso la seconda, in vista, piuttosto, di un’estremizzazione delle opposizioni, che radicalizza il terrore e nega ogni possibile sollievo o conforto che possano contrastarlo.

Il quarto approccio apparterrebbe, invece, a coloro che hanno reinventato e riarticolato il concetto di tragico in epoca contemporanea, introducendo la necessità di una sfida decisiva e cercando di teorizzare un tipo di conflitto di grado superiore al modo in cui la filosofia aveva fino a quel momento pensato il rapporto tra i contrari: dalla sfida dell’uomo come «risvegliatore del male» (p. 144) presente in Dio, a quella legata all’indefinibilità dell’immagine, all’idea di 'magnificenza' come compresenza del bene estremo e del male estremo, fino all’arte come «ergastolo creativo» (p. 164) accostato a Masoch e alla marionetta come incarnazione della tragica negazione della libertà umana.

Se l’arma di coloro che Perniola accomuna nella seconda tipologia è l’'ironia', quelle cui fanno ricorso gli appartenenti alla quinta direttrice sono l’'arguzia' e la 'raffinatezza', verso un nuovo tipo di compromesso estetico, legato all’incolmabilità delle differenze: la capacità di affrontare una lotta estrema, ma senza l’utopia della pace del primo gruppo, né l’ironia del secondo, né il terrore del terzo o le sfide tragiche del quarto.

La sesta corrente, infine, sarebbe quella di coloro che vedono il filosofo sia come artista che come un guerriero che, con l’arma dell’'acutezza' e l’imperturbabilità dello stoico, si trova costretto a combattere per il mantenimento del sapere contro la comunicazione massmediatica.

Sei direttrici, dunque, per trentadue nomi scelti con una libertà e un’originalità che sorprende, come sempre accade di fronte alle opere di Perniola. È così che, al fianco di accademici del calibro di Massimo Cacciari o di prolifiche star della cultura come Umberto Eco, troviamo chi mai si laureò e fu pubblicato solo postumo, come Andrea Emo, o il ventitreenne suicida Carlo Michelstaedter, qui inserito tra i numi tutelari di coloro che appartengono alla sesta direttrice; così come, accostati a nomi più che illustri come Roberto Calasso o Giorgio Colli, compaiono quelli di personalità molto meno note come Cristina Campo o Carla Lonzi; allo stesso modo, Gianni Vattimo presenzia con la medesima dignità speculativa di una storica compagnia di teatro di ricerca come la Socìetas Raffaello Sanzio; o, ancora, protagonisti del sapere novecentesco come Giorgio Agamben si ritrovano tra il generale Fabio Mini e lo stilista Quirino Conti a ridefinire il rapporto tra cultura e società o, addirittura, tra le marionette di Guido Ceronetti, anch’esse capaci di ripensare l’idea di tragico al pari dei più celebri filosofi.

Perché non si dimentichi che, per cogliere con un approccio serio il rapporto tra estetica, arte, cultura e società nella complessità del contemporaneo, bisogna oggi, come dirà Perniola in una delle ultime interviste della sua vita, «prendere in considerazione gli Outsider-Artists, gli artigiani, i dilettanti, i visionari, gli psicopatici e perfino gli imbalsamatori».