Motus, Raffiche

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Raffiche. Rafales > Machine (cunt) fire è il nuovo spettacolo di Motus che ha debuttato il 18 ottobre nella lussuosa cornice dell’hotel Carlton di Bologna, inaugurando il progetto speciale «Hello Stranger» che il capoluogo emiliano dedica alla compagnia riminese in occasione dei suoi venticinque anni di attività. Se il progetto/tributo/omaggio al vissuto drammaturgico di Motus già dal titolo esprime un invito all’accoglienza dell’altro, di uno straniero/sconosciuto in senso geopolitico ma anche filosofico, lo spettacolo che ne segna l’avvio si presenta come espressione graffiante e irriverente di una possibile ʻrifondazioneʼ della comunicazione scenica, scaturita dal tradimento, dalla traslazione, dalla trans-mutazione. Le ragioni di questa volontà di cambiamento (che si conferma cifra congenita della processualità artistica del gruppo) vanno rintracciate in un clamoroso diniego: l’impossibilità per Motus di riallestire Splendid’s di Jean Genet (1948), dopo la prima messa in scena del 2002, mutando da maschili a femminili le identità dei personaggi. Posti di fronte a questo divieto sancito dalle regole dei copywriting internazionali, ancor più assurdo e inaccettabile poiché riferito all’opera di un autore campione di libertà e metamorfosi, i registi Enrico Casagrande e Daniela Nicolò hanno scelto di lanciare una sfida alla censura e affidare ai drammaturghi Magdalena Barile e Luca Scarlini la stesura di un testo originale, che assorbe il plot del dramma genettiano per rielaborarlo e contraffarlo, in un processo di scardinamento e trasfigurazione narrativa. La storia sviluppata dal nuovo copione conserva i passaggi fondamentali del testo di Genet e i nomi dei protagonisti, i quali però cambiano gender e non sono più dei sequestratori di sesso maschile, ma un gruppo di femministe dall’identità mutante e sovversiva. Il set dell’azione scenica è ancora una volta una stanza d’albergo, dove le rivoltose della banda «La Rafale» (La Raffica), insieme ad una poliziotta corrotta, si sono asserragliate dopo aver rapito una scienziata durante un convegno di lobby farmaceutiche. A quattordici anni di distanza dal debutto di Splendid’s nelle suite barocche del Grand Hotel Plaza di Roma, e a quindici dalla costruzione iperrealistica di una camera d’albergo di dimensioni vere, poi affiancata e raddoppiata da una room digitale nello ʻstoricoʼ progetto Rooms, il teatro di Motus torna ad abitare lo spazio liminale e perturbante delle stanze d’hotel, caricandolo delle pulsioni rivoluzionarie che agitano sottotraccia la realtà sociale. La suite presidenziale del Carlton di Bologna, con la sua elegante moquette color panna, i maxi specchi, le luci soffuse, ha l’atmosfera insieme anonima e patinata, dal fascino ambiguo, tipica dei nonluoghi di augéniana memoria, regni della provvisorietà, del transito, della sospensione e dell’attesa. E proprio in un’attesa si consuma la vicenda delle sette rivoltose transgender che, ucciso in circostanze non chiarite l’ostaggio, adesso aspettano come inevitabile epilogo l’irruzione della polizia che circonda l’hotel.

La performance, arte situazionista per eccellenza, si carica del surplus semantico generato dall’ambiente reale in cui si colloca, delle vibrazioni prodotte dalla vicinanza con gli spettatori (pochi per ragioni di capienza della suite), della simmetria visiva scena-stanza che ne costituisce il presupposto teorico; così ogni movimento, ogni dialogo delle protagoniste, sprigiona una forza espressiva, un ʿeffetto veritàʾ, che gareggia in autenticità con la realtà extrarappresentativa, amplificando il coinvolgimento psicofisico del pubblico.

Motus, Raffiche - Silvia Calderoni_© Luca Del Pia

Mentre i notiziari radiofonici sull’assedio delle bandite scandiscono l’incedere dei minuti nello spazio-tempo sigillato della camera-set, la rivolta di La Rafale contro la ʻviolenza chimicaʼ delle multinazionali farmaceutiche, contro la logica binaria maschile/femminile della cultura occidentale, contro i ruoli prestabiliti e le convenzioni sociali, si reifica nell’uso del corpo danzante come arma di dissenso e seduzione. La figura androgina del capogruppo Jean (Silvia Calderoni) si unisce alle conturbanti silhouette delle compagne gangster per ballare al ritmo delle canzoni di Amanda Palmer, di Barbara, del tango, della rumba, disegnando un affresco coreografico fatto di volteggi e piroette o piccoli passi cadenzati. L’urgenza del dire, il bisogno di autodeterminarsi, l’insofferenza nei confronti dei paradigmi imposti si esprimono attraverso una recitazione tersicorea, che non ha rapporto con la diegesi scenica ma possiede valenza drammaturgica autonoma, in quanto elemento che sospinge l’evoluzione emotiva delle protagoniste verso il culmine di tensione finale. Nella fitta partitura di gesti e movimenti, più espressiva che mimetica, affonda la complessità psicologica e locutiva delle relazioni attanziali, dinamizzando il rapporto tra codice verbale e cinesico-gestuale, anche attraverso qualche incursione nel comico. Le diverse scritture della scena convergono in un’organicità di senso plasmata dai temi fondanti del teatro di Genet: l’attrazione feticistica verso la violenza incarnata dalla sbirra corrotta (Federica Fracassi), l’eccesso sia estetico che morale espresso dal personaggio di Rafale (Ilenia Caleo), il culto della trasgressione e dell’inversione dei ruoli rivendicate da Bravo (Sylvia De Fanti), il ribellismo giovanile del folle Pierrot (Ondina Quadri), la sovranità attraverso il male che deraglia nell’abiezione e nel tradimento di sé stessi, come accade a Jean, costretto a travestirsi da femme fatale per depistare i poliziotti, insieme eroe e martire del proprio crimine.

Motus, Raffiche - Emanuela Villagrossi, Alexia Sarantopoulou, I-Chen Zuffellato_© Luca Del Pia

Ad affascinare e attrarre lo spettatore è quindi la miscela detonante di azioni violente, giri di danza, dialoghi serrati e smottamenti di prospettiva drammaturgica, questi ultimi protesi verso lo squilibrio, la caduta al di là delle convenzioni recitative che regolano il rapporto tra movimento fisico e partitura testuale; laddove il contenuto del testo verbale va in cortocircuito con la libera danza delle gangster, sempre pronte a muoversi a tempo di musica anche nei frangenti più carichi di tensione, è evidente che la pulsione sovversiva del dramma non si esprime unicamente nelle battute, ma soprattutto nella scelta della cifra recitativa del gruppo, mutuata da Genet.

Motus, Raffiche - Ondina Quadri_© Luca Del Pia

Ed è proprio in questa distanza ravvicinata e anti-teatrale che emerge la centralità dei corpi in scena: corpi femminili che tentano di mimare la presenza di un fallo, annullano il seno dentro una stretta fasciatura o si ricoprono di un groviglio di segni, epitomi di un’estrema rivendicazione al mutamento, e insieme campi di battaglia nella lotta contro gli stereotipi sessuali e il controllo fisiologico dell’industria farmaceutica. La vicenda gradualmente si snoda attraverso le caotiche dinamiche della banda, una giostra di seduzioni, tradimenti e scontri per il comando affidata allo sguardo voyeuristico del pubblico, così prossimo all’azione da coglierne ogni dettaglio.

Argomenti queer e contemporanei si inseriscono pertanto nel dispositivo drammatico genettiano, attualizzandone l’originaria connotazione politica, ma sempre con la consapevolezza di attraversare la superfice scivolosa di un dramma ʻsenza via di fugaʼ, in cui le danze, le audaci rivendicazioni, i mitra delle protagoniste puntati contro il potere in fin dei conti a nulla valgono per evitare la resa finale. Poco prima che la polizia faccia irruzione nell’hotel, la sbirra assetata di violenza che segretamente si era unita al gruppo punta la sua arma contro le bandite, obbligandole a consegnarsi alle forze dell’ordine e chiudendo, nell’agghiacciante stupore di un fatale tradimento, la tenaglia tragica del dramma. Con questa declinazione di Splendid’s in chiave queer e postmoderna Motus conserva la visione disincantata di Genet, ma tramite il ricorso alla traslazione di genere, allo stravolgimento arbitrario e disinibito si riafferma l’idea, ancora rivoluzionaria, di un teatro in cui «toutes les libertés sont possibles».[1]


1 J. Genet, Lettres à Roger Blin, in Id., Œuvres Complètes, vol. IV, Gallimard, 1979, p. 222.