«Dario, amore mio, ti ho amato tanto però non sapevi
fare niente. Ecco le istruzioni per sopravvivere […]»
Giovanna Daddi accoglie il pubblico nel corridoio fra saluti informali e baci calorosi, da buona padrona di casa che dà inizio ad una serata nella propria abitazione, Dario Marconcini all’interno della sala porta avanti i convenevoli, graditi e non inutili, iniziati dalla moglie poco prima: potrebbe sembrare il principio di una cena nella loro casa-museo, se non fosse che siamo nella Sala CieÅlak del Teatro Era di Pontedera. Entrambi ben vestiti, di un’eleganza educata che contraddistingue due persone signorili che vivono, circa, il terzo quarto di secolo, si muovono con disinvoltura all’interno del raccolto luogo che è diventata la sala: lo spazio attoriale e quello spettatoriale sono uniti più del solito da una vaporosa ed ampia tenda color sabbia che mette in comunicazione l’uno con l’altro. È come se fossimo immersi in una bolla d’aria all’interno dello scorrere del tempo, uno spazio sospeso, il Chissàdove appunto, che poggia però su un terreno di sabbia tinta di «sanguigno». Nel mezzo di questo ‘luogo non luogo’ è stata posizionata una porta, incombe una porta con un battente e due cornici, simile all’opera di Duchamp per la Biennale di Venezia del 1978.