Narrazioni antiche, attivismo contemporaneo: il Vangelo e Antigone secondo Milo Rau

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Abstract: ITA | ENG

Il contributo si concentra su alcune delle ultime creazioni di Milo Rau e sul suo tentativo di creare i presupposti per una nuova global art. L’analisi prende in considerazione, in particolare, The New Gospel e Antigone in the Amazon, entrambi caratterizzati dalla volontà di riscrivere e riattraversare narrazioni antiche (il Vangelo secondo Matteo e l’Antigone di Sofocle) alla luce di nuove urgenze politiche, adottando una prospettiva non eurocentrica. L’articolo mette in luce le strategie utilizzate da Rau come strumento per il cambiamento sociale e per porre domande critiche sui rapporti di potere e le disuguaglianze globali, e prova a riflettere sulle contraddizioni che si generano nelle intersezioni tra arte e attivismo.

The article focuses on Milo Rau's most recent creations and his efforts to lay the foundations for a ‘new global art’. The analysis examines in particular The New Gospel and Antigone in the Amazon, both of which are characterized by the intention to rewrite and recontextualise ancient narratives (the Gospel of Matthew and Sophocles’ Antigone) in the light of new political urgencies, adopting a non-Eurocentric perspective. The article highlights the strategies used by Rau as tools for social change and for raising critical questions about power relations and global inequalities, while reflecting on the contradictions that arise at the intersections between art and activism

 

 

Nel febbraio 2021 Milo Rau ha convocato presso la Akademie der Künste di Berlino alcuni interlocutori a discutere della possibilità di una autentica global art sulla scena mondiale (Can There Be Global Art? è il titolo delle giornate di riflessione);[1] tra loro, Rabih Mroué, Lia Rodrigues, Wajdi Mouawad. Uno dei temi emersi con maggior vigore dalla discussione è la poca visibilità degli artisti non occidentali e la loro conseguente necessità di approdare a centri europei per poter lavorare e farsi conoscere, perdendo così il pubblico di riferimento, e trovandosi a modulare di conseguenza gusti e linguaggi.[2]

Queste e altre riflessioni attraversano da diversi anni la più avanzata scena europea, orientando le proposte artistiche non solo verso un generico impegno a raccontare il presente, ma verso territori ibridi tra arte e attivismo: cioè verso atti – artistici, curatoriali o produttivi – volti a cambiare concretamente qualche aspetto della realtà.

 

 Oreste in Mosul, directed by Milo Rau, 2017. Ph: Valerie De Backer

 

La volontà di agire sul mondo è del resto da tempo al centro degli interessi di Milo Rau come artista, direttore artistico NT Gent, intellettuale impegnato, come ben emerge dalla lettura complessiva di Realismo Globale[3] e dal primo punto del suo Manifesto (pubblicato all’interno dello stesso volume). In particolare, l’indagine di Rau si focalizza con sempre maggior vigore sullo scardinamento dei rapporti di potere (anche in termini di narrazioni) tra Europa ed extra-Europa, promuovendo una riflessione critica su i non pochi aspetti ancora irrisolti di questa relazione. Si prenderanno in considerazione, in questa prospettiva, due progetti significativi: The New Gospel (2019-2020) e Antigone in the Amazon (2020-2023). In entrambi i casi, Rau manifesta la volontà di riscrivere e riattraversare narrazioni antiche (il Vangelo secondo Matteo e l’Antigone di Sofocle) alla luce di nuove urgenze politiche, e provando a guardarle in prospettiva non eurocentrica.

 

1. Il palco europeo come specchio di visibilità: The New Gospel

L’interesse per le relazioni tra la storia europea e quella extra-europea non è un’acquisizione recente nel percorso di Milo Rau: si tratta, secondo il regista, «delle contraddizioni del sistema capitalistico in cui viviamo, due facce della stessa medaglia».[4] L’International Institute of Political Murder (IIPM), compagnia fondata nel 2007 e impegnata nella creazione e diffusione internazionale di spettacoli teatrali, indaga in parallelo le pieghe più violente del ‘civile’ nord-Europa (il celebre attacco terroristico del norvegese Anders B. Breivik in Breivik Statement, 2012; l’omicidio del giovane belga Ihsane Jarfi avvenuto a Liegi nel 2012, in The Repetition, 2018), e alcune tragiche pagine della storia africana (il genocidio in Rwanda in Hate Radio, 2011; la guerra civile in Congo in The Congo Tribunal, 2015).

In oltre quindici anni di attività Milo Rau, diventato uno dei nomi di maggior rilievo e più riconosciuti della scena internazionale, ha cominciato a utilizzare la notorietà come strumento politico e dunque a spronare i più blasonati palchi europei a farsi megafono di lotte e istanze. In questo senso, un caso particolarmente indicativo è quello del progetto The New Gospel, presentato come film al Festival del Cinema di Venezia (2020), soprattutto se approfondito nel quadro della sua genesi e preparazione. Nel 2019 Rau viene convocato da Matera Capitale Europea della Cultura per realizzare un nuovo Vangelo ambientato lì, che si ponga in dialogo sia con il film di Pasolini del 1964 che con La Passione di Cristo di Mel Gibson del 2004. Accettando la proposta, Rau decide di concentrare la sua rilettura sul fenomeno del caporalato nel sud Italia e sullo sfruttamento dei lavoratori agricoli extra-europei privi di permesso di soggiorno. «Cosa c’è di più coerente, che riprendere qui il mito social-rivoluzionario del movimento di Gesù nel XXI secolo?», appunta sul suo diario di lavoro.[5]

 

 Un fotogramma di The New Gospel di Milo Rau, 2019, © Fruitmarket Langfilm. PM Thomas Eirich-Schneider

 

Seguendo il metodo dell’amato Pasolini,[6] Rau sceglie di lavorare soprattutto[7] con non professionisti, esplicitando costantemente il legame tra l'attore e il personaggio attraverso interviste o altri dispositivi interni alla sceneggiatura. Yvan Sagnet, attivista camerunense impegnato nella lotta contro il caporalato, viene scelto per interpretare il nuovo Gesù, mentre i suoi compagni di lotta vengono chiamati a incarnare gli Apostoli. Maddalena è invece una ex prostituta che, intervistata nel film, racconta le violenze subite e l’aspirazione al riscatto.

 

 Un fotogramma di The New Gospel di Milo Rau, 2019, © Fruitmarket Langfilm. PM Thomas Eirich-Schneider

 

Come accade spesso,[8] il regista sceglie di costruire la sua opera a partire da una ricerca sul campo approfondita, che include interviste ai testimoni e visite in loco; in questo modo, Rau condivide con il pubblico le tappe del processo creativo, insieme ai suoi presupposti teorici. Il film che arriva al debutto veneziano è solo una sintesi delle azioni svolte per tutto il corso del 2019, cioè un numero significativo di manifestazioni pubbliche regolarmente inserite nel programma culturale di Matera Capitale.

Le manifestazioni rivestono un duplice ruolo: da un lato, fungono da momenti di creazione artistica aperti all’osservazione del pubblico (Rau e il suo team divulgano il calendario delle riprese per reclutare figuranti tra i cittadini, e registrano costantemente tutto ciò che avviene); dall'altro lato, si configurano come vere e proprie azioni politico-sociali che ambiscono a incidere sulla realtà. In questa prospettiva apertamente attivista, Rau agisce seguendo due differenti strategie. Cerca, per prima cosa, di attirare l’attenzione pubblica sulle condizioni di vita dei lavoratori stagionali, irrompendo nella routine turistica della città e attirando i media sul territorio: particolarmente seguita la Rivolta della Dignità organizzata nel settembre 2019, con comizi, slogan, ed eclatanti gesti performativi (i lavoratori, riuniti in piazza, schiacciano sotto le scarpe i pomodori, cioè l’oggetto simbolo della loro schiavitù).[9] Il progetto The New Gospel non si limita a farsi megafono di vite quotidianamente umiliate, lasciando che i protagonisti diretti possano finalmente prendere parola dall’epicentro dell’establishment culturale (la Biennale di Venezia), e all’interno di centri urbani che tendono a marginalizzarli, ma promuove anche una serie di iniziative di carattere molto concreto: Rau racconta (all’interno del già citato diario di lavoro) di aver contribuito a creare una rete di trenta associazioni attive sul fronte del sostegno ai braccianti, di avere favorito un accordo con una rete di supermercati per la vendita di salse di pomodoro prodotte senza sfruttamento, e infine di aver incentivato una campagna di sostegno economico internazionale per la creazione di nuove abitazioni per i lavoratori.

 

 Un fotogramma di The New Gospel di Milo Rau, 2019, © Fruitmarket Langfilm. PM Thomas Eirich-Schneider

 

Il progetto raggiunge dunque risultati concreti e mira a svolgere una funzione disvelante, favorendo l’emersione di un mondo che l’opinione pubblica ha costantemente davanti agli occhi ma a cui preferisce non rivolgere la propria attenzione («questi ragazzi soffrono la fame», spiega in un’assemblea pubblica Samuel Jacobs, a cui è affidato il ruolo di Giuda: «se vi fermaste a guardare, vedreste che non stanno affatto bene»).[10] Allo stesso tempo, Rau si mostra consapevole delle contraddizioni generate dalla coesistenza degli obiettivi artistici e politici. La stessa scelta di dedicare tempo al progetto del film, per i lavoratori, non è un atto senza conseguenze: «molte scene del Vangelo sono serali o notturne», racconta Rau, «mentre il lavoro nei campi comincia intorno alle cinque di mattina. Può succedere quindi che i nostri interpreti si ritrovino a comparire come personaggi biblici di notte, e che dopo giusto qualche ora di sonno ricomincino a prepararsi […]. Dopo due mesi di riprese mi chiedo ancora dove trovino le forze».[11]

 

 Un fotogramma di The New Gospel di Milo Rau, 2019, © Fruitmarket Langfilm. PM Thomas Eirich-Schneider

 

La questione posta dal progetto è dunque la possibilità di conciliare i ritmi e le necessità di una produzione filmica con quelli della lotta politica e, dunque, la negoziazione delle priorità. Rau, naturalmente, prevede le possibili accuse e – proprio come ha appreso, ancora una volta, alla bottega di Pasolini[12] – le include come un antidoto all’interno della sua sceneggiatura. Il sindacalista Gianni Fabbris, alla fine di un’intervista al Tg regionale, nota come la presenza della troupe di The New Gospel abbia influito negativamente sull’esito del servizio televisivo e, più in generale, come le esigenze delle riprese non possano coincidere con quelle estemporanee delle manifestazioni: «io non faccio film, io organizzo le lotte: non posso programmare tutto!».[13] Rau, esplicitando tensioni e incongruenze, mette dunque in luce come l’arte e il suo potenziale per il cambiamento sociale possono coesistere in un rapporto complesso e dinamico, ma anche generare conflitti e interrogativi sulla natura e sulle implicazioni di entrambi gli ambiti.

 

 

2. Nel cantiere di Antigone in the Amazon

Concepire i progetti artistici come momenti di studio e ricerca sul campo implica prevedere tempi lunghi, processi articolati e un ampio margine per l’errore. Antigone in the Amazon (ideato nel 2018 e portato in scena nel 2023) è, in questo senso, un esempio paradigmatico e rappresenta il proseguimento ideale della pratica sperimentata a Matera. Se, mentre lavorava nel sud Italia, Rau aveva ritenuto indispensabile mettersi in relazione con i sindacati e con le associazioni già attive sul territorio, Antigone nasce e prende vita proprio in virtù di quella relazione: nel 2018 una delle drammaturghe di NT Gent, Eva-Marie Bertschy, conosce ad un congresso alcuni funzionari del Movimento senza Terra (Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra). Nel 2019, mentre alcune opere di Rau sono in scena a San Paolo, sono i membri stessi dell’MST a proporre a NT Gent un lavoro condiviso sulla storia dell’organizzazione che si oppone, troppo spesso a costo della vita dei suoi membri, allo sfruttamento ambientale dell’Amazzonia, alle multinazionali, allo scempio ecologico del governo Bolsonaro.

 

 Antigone in the Amazon directed by Milo Rau, 2020, © Armin Smailovic

 

Milo Rau e il suo gruppo di lavoro accettano la sfida e, nei primi mesi del 2020, si trasferiscono in Amazzonia per dare inizio al lavoro di ricerca e alle prove del futuro spettacolo, che comincia a prendere forma come una rilettura dell’Antigone di Sofocle. Con la scelta di conciliare mito antico e urgenze politiche contemporanee, Rau torna non solo al già citato progetto sul Vangelo, ma anche alla fortunata esperienza su Orestea, ripensata e riscritta nei territori iracheni di Mosul (Orestes in Mosul, 2019).[14] Il modello esplicito è Appunti per un’Orestiade africana di Pier Paolo Pasolini, per impianto ideologico e modalità di costruzione della sceneggiatura; il tentativo di affiancare ambiziose riletture del mito a reportage politici dalle zone più incandescenti del globo, in effetti, sembra completare idealmente il progetto pasoliniano Appunti per un poema sul Terzo Mondo, una narrazione filmica in cinque capitoli che avrebbero dovuto essere rispettivamente dedicati all’India, ai Paesi Arabi, all’Africa, al Sud America e ai ghetti neri degli Stati Uniti. Come è noto, il progetto pasoliniano si fermò all’Africa e all’India ma il testimone sembra essere passato virtualmente in mano di Rau. Poiché il setting per la nuova Antigone è l’Amazzonia, opporsi alla legge significa opporsi alla deforestazione e dunque sfidare Creonte-Bolsonaro. «Sarebbe difficile», appunta Rau, «trovare un’immagine più adatta a questa guerra culturale brasiliana, che sa anche di guerra civile, della tragedia bimillenaria di Sofocle».[15]

 

 Kay-Sara, 2020, © Heloisa-Bortz

 

Con un meccanismo non dissimile da quello che aveva condotto Rau a scegliere Yvan Sagnet nel ruolo di Gesù, per il personaggio di Antigone viene coinvolta Sara Kay, indigena e attivista accompagnata, per gli altri ruoli, dai compagni e le compagne del MST; Creonte è invece interpretato da un ex ministro della cultura, il coro è composto da indigeni sopravvissuti ai massacri del governo. Mentre Milo Rau e il gruppo di lavoro sono immersi nelle prove, il Coronavirus comincia a diffondersi per il Brasile, e il progetto viene forzosamente sospeso. Nel maggio del 2020, in occasione del previsto debutto dello spettacolo Wiener Festwochen (di cui Rau è ora il direttore entrante), Sara Kay appare in video raccontando il drammatico avanzamento della pandemia in Amazzonia.

 

 

Il discorso dell’attivista è un vibrante appello a fermare la distruzione dell’ecosistema amazzonico a fini industriali. Le ultime parole di Sara Kay mettono in relazione la preoccupante situazione politica e il sistema dei personaggi della tragedia sofoclea: «questo mi inquieta, se io sento parlare Creonte: lo sa, di aver torto. Sa che quel che fa non è giusto. Che distruggerà se stesso, distruggerà la sua famiglia, l’apocalisse. E tuttavia lo fa. Questa follia deve finire. Smettiamola di essere come Creonte. Siamo come Antigone».

Finita l’emergenza pandemica, i lavori riprendono, e il team di drammaturghi di NT Gent continua a lavorare con l’MST in remoto con notevole frequenza;[16] nel frattempo, la vittoria di Lula sul piano elettorale determina cambiamenti significativi nel processo di scrittura, e rende definitivamente anacronistica l’identificazione tra Creonte e Bolsonaro.

 

 Antigone in the Amazon, directed by Milo Rau, 2020, © Armin Smailovic

 

Ancora, a poche settimane del debutto, il gruppo di lavoro deve fronteggiare un’ultima difficile evoluzione del progetto. Kay decide di rinunciare alla propria presenza fisica sui palchi della tournée europea (dopo Gent e Francoforte, Avignone e Roma), per concentrare i suoi sforzi nella lotta in loco; lo riferisce sul palco dello spettacolo l’attrice Arne De Tremerie, condividendo con il pubblico la radicalità e la coerenza della scelta. La lunga gestazione di Antigone e le difficoltà intervenute mostrano con chiarezza come la postura e gli intenti politici del lavoro di Rau espongano necessariamente la creazione a imprevisti e cambiamenti e, più in generale, a una più ampia permeabilità agli eventi esterni richiedendo modifiche significative o persino una completa ridefinizione del concept. Ma il mercato teatrale, con le sue necessità di calendarizzazione e le aspettative degli addetti ai lavori (a maggior ragione di fronte a una personalità di fama internazionale come Milo Rau) è sufficientemente duttile? I teatri riescono a trovare modalità idonee per avvicinare lo spettatore al processo svolto e non solo al prodotto-spettacolo? E, ancora, quale spazio resta in questo caso per un giudizio critico-estetico?

 

3. Antigone in the Amazon: lo spettacolo

«Tribunal is another word for tragedy», afferma Rau in un’intervista rilasciata a Lorenzo Mango.[17] L’intelaiatura drammaturgica del dramma antico, continua il regista, è di fatto sempre riconducibile all’esposizione di due punti di vista opposti, anche quando non è rappresentata come un vero e proprio tribunale: «in every real tragic play, you have the situation of two antagonist positions where you don’t ever find a synthesis».[18] Anche per questa ragione, Rau ricorre volentieri alla tragedia greca per raccontare conflitti etici, o questioni di importanza morale capitale; non solo quando decide di riprodurre esplicitamente la forma tribunale (per esempio in The Moscow Trials, Zurich Trials, Congo Tribunal), ma anche quando vuole rimarcare il ruolo del teatro come agorà pubblica di discussione. Naturalmente, in accordo con i presupposti enunciati nel punto quattro del Manifesto (l’adattamento «non può costituire più del 20% della durata finale della pièce»), il testo di Sofocle non è che il punto di partenza per una radicale riscrittura; «non bisogna immaginare che il restante 80% del testo venga cestinato», precisa Rau a proposito del suo provocatorio precetto, «ma che rinasca attraverso nuovi processi dialettici a partire dall’opera originale. Mi interessa l’incontro tra la biografia dei personaggi e quella degli attori, che per me non sono solo i lettori di un testo classico ma sono sempre inclusi nella ricerca. La domanda che mi faccio con la pratica: è possibile aprire il repertorio classico attraverso contributi che provengono da diverse culture e background?».[19]

 

 

Questa idea è messa in atto con coerenza tanto nel già citato Orestes in Mosul (2019) quanto in questa edizione di Antigone. Sul palco si muovono i due attori brasiliani Pablo Casella e Frederico Araujo, e due attrici della compagnia NT Gent, Sara De Bosschere e Arne De Tremerie. Gli attori coinvolti nello spettacolo esplicitano immancabilmente il legame tra la loro vita e il progetto Antigone, oppure tra la loro storia personale e la storia della violenza in Brasile; la drammaturgia si costruisce inoltre attraverso il racconto della genesi e dello sviluppo del progetto (ripercorso estesamente nel precedente paragrafo) in una forma ibrida tra drammaturgia teatrale, reportage giornalistico e manifestazione politica.

 

 Antigone in Amazzonia, directed by Milo Rau, 2023, Ph Philipp Lichterbeck © Nt Gent

 

Venuta meno la presenza di Kay, il ruolo di Antigone viene interpretato da Araujo, con una sovrapposizione di generi che funge da prisma per puntare il dito contro le discriminazioni all’indirizzo della comunità LGBTQIA+ brasiliana.[20] Il cuore della partitura spettacolare è tuttavia la rievocazione di un massacro perpetrato dalla polizia nel 1996 durante una manifestazione pacifica avvenuta nello Stato di Parà; la pratica del reenactement, intesa in una prospettiva non solo estetica ma anche più in senso lato politica, si trova in moltissime creazioni di Rau e ne costituisce uno degli elementi distintivi.[21] La manifestazione pubblica, curata da NTGent e MST, è avvenuta in occasione dell’anniversario della strage nell’aprile 2023 e ha preso la forma di un tributo rituale alle morti di quasi trent’anni prima; sul palco di Antigone in the Amazon viene mostrata, in forma cinematografica, negli enormi schermi che delimitano la scena. Si vedono sfilare uomini e donne con bandiere e cartelli; davanti a loro, la polizia in tenuta antisommossa attende una minima provocazione, che arriva nel momento in cui un manifestante non risponde all’alt intimatogli. Rau, ricorrendo a una soluzione adottata anche in molti altri casi (per esempio Five Easy Pieces o The Repetition), sdoppia il reenactment tra palco e video, riattualizzando le azioni riprese attraverso i corpi vivi degli attori.

 

 Antigone in Amazzonia, directed by Milo Rau, 2023, Ph Philipp Lichterbeck © Nt Gent Antigone in Amazzonia, directed by Milo Rau, 2023, Ph Philipp Lichterbeck © Nt Gent

 

La rappresentazione duplicata degli eventi trascorsi è parte integrante del meccanismo tragico, ed è intrisa di una percezione fatale, poiché porta con sé la coscienza che ciò che non è stato evitato una volta non può più essere modificato. Come nell’originale sofocleo, il coro – visibile in video, e composto da contadini, sindacalisti e lavoratori rurali di Marabà, e guidato da Sara Kay – funge da contrappunto agli snodi più importanti; la costruzione drammaturgica, profondamente coerente alle prassi della tragedia greca, sottolinea come l’intera vicenda sia da intendersi non come esperienza di un singolo eroe, ma come espressione di un’intera comunità. Con un’inversione che custodisce il nucleo significante dello spettacolo, Rau decide poi di anticipare il primo stasimo della tragedia (nell’originale ai vv. 332 e seguenti) e di introdurlo come prologo, eseguito in portoghese sulla musica live del musicista Pablo Casella. Si tratta di uno dei brani più celebri e felici dell’Antigone: il coro, composto da vecchi tebani, ripercorre la rapida ascesa dell’essere umano nel suo controllo del mondo, mostrandone allo stesso tempo la grandezza e il pericolo (entrambi contenuti nello stesso aggettivo deinòs, che Rau decide di rendere nella sua polarità negativa). La capacità di estendere il dominio sulla natura attraverso la scienza e la tecnica, la possibilità di esprimersi, di pensare e di autodeterminarsi attraverso la legiferazione sono strumenti preziosi e stupefacenti, nota Sofocle; ma tutto questo non sottrae l’uomo ai limiti invalicabili cui è sottoposto, in primis la morte. Pronunciato dal cuore dell’Amazzonia, preda di un vero e proprio disastro ecologico, lo stasimo diventa un perfetto Manifesto contro le storture e le cecità dell’Antropocene. A confermarlo compare, nei panni del profeta Tiresia, il filosofo indigeno Ailton Krenak che con ferma dignità annuncia il futuro disastroso del pianeta; la litania straziante e ancestrale di Kay Sara, che si cosparge il volto di terra in una delle sequenze più potenti dello spettacolo, pare un vero e proprio requiem per il mondo.

 

 Antigone in Amazzonia, directed by Milo Rau, 2023, Ph Kurt van Derelst © Nt Gent

 

Nel primo stasimo sofocleo e nella sua rilettura contemporanea, dunque, va cercata l’urgenza politica che muove questa Antigone; Rau, coerentemente con la sua postura attivista, trasforma questa riflessione in atto capace di detonare nella realtà. Al debutto e alla tournée si affianca dunque una dichiarazione pubblica contro lo sfruttamento della foresta pluviale e le azioni di greenwashing delle quali si servono le aziende occidentali: «The destruction of people and nature not only continues unabated, but is even accelerated with the help of fake certificates and greenwashing».[22] Il documento prende di mira le multinazionali che, come l’italiana Ferrero, acquistano olio di palma da Agropalma, il produttore brasiliano accusato di appropriazione illegale di territori ed espulsione violenta delle popolazioni indigene; tra i firmatari, spiccano i nomi di Giorgio Agamben, Slavoj Zizek, e i premi Nobel Annie Ernaux ed Elfriede Jelinek.

Lo spettacolo, dunque, non è che una tra le modalità possibili per agire sul mondo e, come nel caso di The New Gospel, i processi che conducono all’opera, e le loro ricadute concrete, non sono meno importanti dell’opera stessa. Una simile prospettiva non è esente da possibili criticità: la predeterminazione di temi, e la priorità concessa alla funzione sociale e politica dell’arte rischia, di fatto, di comprimere la libertà della creazione e la sua dimensione estetica.[23] Ha avanzato qualche dubbio sull’eccessivo asservimento del teatro alla trasmissione di un messaggio anche il New York Times, nella lunga e articolata recensione allo spettacolo firmata da Laura Cappelle:

 

In writing about this play, am I actually being led to evaluate the ideals of the Landless Workers Movement? […] The question isn’t unique to Rau: Whether you agree with the vision of the world that underpins a piece of theater tends to impact your appreciation of it. Yet in some of Rau’s productions, the political messaging is the point.[24]

 

La questione è ampia e, come suggerito da Cappelle, riguarda un’intera tendenza della scena contemporanea, sempre più incline ad allargare i territori dello spettacolo verso il welfare e l’attivismo. Rau, dalla sua, ha imparato alla bottega di Pasolini a prevenire le critiche e a trasformarle in punti cruciali della sua riflessione; una possibile replica si nasconde già nelle pagine di Realismo Globale:

 

nel mondo dell’arte discutiamo ancora di problemi legati alla forma. […] Ma non si tratta più di esprimere stati d’animo personali, si tratta piuttosto dell’umanità: è così semplice. Il futuro accade giorno dopo giorno, la catastrofe climatica è una realtà. In questo contesto, dibattere istricamente […] è una pura perdita di tempo.[25]

 

Non c’è più tempo per soffermarci su questioni di forma, perché la profezia di Tiresia è già il presente.

 

 Antigone in Amazzonia, directed by Milo Rau, 2023, Ph Kurt van Derelst © Nt Gent

 


1 Il video integrale è consultabile a questo indirizzo: Akademie der Künste, ‘School of Resistance ̶ Can there be global art?’, <https://www.youtube.com/watch?v=JpzC-j6xjlo> [accessed 25 January 2023].

2 B. Bronzini, ‘Rabih Mroué e Milo Rau: la sfida del realismo globale’, Stratagemmi, 43, 202, pp 61-70.

3 Cfr. M. Rau, Realismo globale, trad. it di F. Alberici e F. Gussoni, Imola, CuePress, 2019, versione kindle.

4 L’affermazione compare all’interno di un’intervista a Milo Rau che ho curato per il Piccolo Teatro di Milano: M. Giovannelli, A. Strazzi, ‘Chi abbiamo incontrato? Milo Rau. Le mie fonti storiche? Gli esseri umani’, Strategemmi #STORMI, 30 (maggio 2023) <http://ftp.piccoloteatro.org/pdf/STORMI_08.pdf> [accessed April 2023].

5 L’affermazione e la genesi del racconto si trovano in un diario di lavoro pubblicato da Rau e curato da Andrea Porcheddu su Gli stati generali: M. Rau, ‘«Vi racconto il Sud Italia, dove giro un film su Gesù»’, Gli stati generali, 11 (settembre 2019) <www.glistatigenerali.com/teatro/milo-rau-basilicata-diario-italiano-gesu/ > [accessed January 2023].

6 Sul debito di Rau nei confronti di Pasolini, e sulla fitta rete di rimandi presente nelle opere di Rau alla filmografia pasoliniana, cfr. G. Bizzarri. ‘Tra utopia e reportage: Milo Rau e Pier Paolo Pasolini’, Stratagemmi, 40, 2019, pp. 81-105.

7 Vanno menzionate qui due eccellenti eccezioni: Irazoque (che morirà a poche settimane dalla premiere del film) interpreta Giovanni Battista e, proprio in virtù della sua esperienza sul set di Pasolini come Cristo segue Sagnet come coach attoriale; Maria invece è Maia Morgenstern, già madre nella Passione di Mel Gibson.

8 In quasi tutte le sue creazioni, e a maggior ragione in quelle curate oltre oceano, Rau mette in atto, per la costruzione della drammaturgia, una pratica di ascolto e coinvolgimento dei testimoni. «A collective autorship is not a dream but a necessity» afferma nel Golden book III di NT Gent dedicato a Orestes in Mosul (p. 13).

9 Un reportage della manifestazione si trova in L. Donati, ‘Il nuovo Vangelo. Un oggetto teatrale non identificato’, Stratagemmi, 40, 2019, pp. 187-196.

10 La scena si trova al minuto 37 del film The New Gospel.

11 M. Rau, ‘Meccanica della schiavitù moderna’, a cura di A. Porcheddu, Gli stati generali, 9 ottobre 2019, < https://www.glistatigenerali.com/teatro/meccanica-della-schiavitu-moderna/ > [accessed 15 January 2023].

12 Celebre l’inserzione da parte di Pasolini, in Appunti per un’Orestiade Africana, di un dibattito realmente avvenuto all’Università La Sapienza, dove gli studenti mettono in luce l’ambiguità ideologica del film; un “antidoto”, lo ha definito con efficacia Viano in A Certain Realism. Towards a Use of Pasolini’s Film Theory and Practice, Berkeley, UCPress, 1993, pp. 252-253.

13 La scena è visibile al minuto 51 del film.

14 M. Fusillo, ‘L’Orestea nel nuovo millennio: il re-enactment di Milo Rau’, in F. Citti., A. Iannucci (a cura di), Agamennone classico e contemporaneo, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2022, pp. 231-242.

15 Anche in questo caso, le riflessioni che accompagnano le prime fasi del lavoro vengono raccolte all’interno di un diario pubblicato su Gli Stati Generali e curato da Andrea Porcheddu: M. Rau, ‘Coronavirus, liberalismo autoritario e l’insurrezione dei superflui’, Gli stati generali, 26 marzo 2020 <https://www.glistatigenerali.com/teatro/milo-rau-coronavirus-liberalismo-autoritario-e-linsurrezione-dei-superflui/> [accessed 12 January 2023].

16 Devo queste informazioni a una lunga conversazione con il dramaturg Giacomo Bisordi che ringrazio.

17 L. Mango, ‘Form and Politics: An Introduction to the Theatre of Milo Rau’, European Journal of Theatre and Performance 1, 2019, pp. 1-6.

18 Ibidem.

19 M. Giovannelli, ‘La tragedia greca? Un processo davanti al pubblico’, intervista a M. Rau, Hystrio, 1, 2023, pp. 24-25.

20 Si sofferma su questo aspetto Alessandro Iachino nella sua recensione dello spettacolo: A. Iachino, ‘L’Antigone in Amazzonia di Milo Rau’, Doppiozero, 30 giugno 2023 < https://www.doppiozero.com/lantigone-in-amazzonia-di-milo-rau > [accessed June 2023].

21 Si leggano a questo proposito: D. Sacco, ‘Re-enactement e replica a teatro. Riflessioni sullo statuto filosofico della ri-presentazione’, Materiali di estetica, 4, 2017, pp. 340-351 e R. Ferraresi, ‘Il re-enactment sulla scena contemporanea. Milo Rau, teatri del reale, e oltre’, Stratagemmi, 40, 2019, pp. 31-44.

22 Qui è possibile leggere il testo della dichiarazione: N.d., ‘declaration of 13 May’, s.a., <https://www.declaration13may.com/declaration/> [accessed June 2023].

23 Un monito che, sul fronte letterario, ha lanciato con forza anche Walter siti in W. Siti, Contro l’impegno, Milano, Rizzoli, 2021; sul teatro, più di recente, si veda R. Menna, ‘Contro il teatro sociale. Il caso della Compagnia della Fortezza’, Mimesis Journal, 11, 2022, pp. 105-122.

24 L. Cappelle, ‘Antigone in the Amazon’ Review: The Drama Is Brazil’s Land War, The New York Times, May 15 2023 < https://www.nytimes.com/2023/05/15/theater/antigone-in-the-amazon-review.html > [accessed June 2023].

25 M. Rau, Realismo globale, versione kindle.