1. ‘Nasty Women’: dal patriarcato contemporaneo alle figure femminili del patrimonio cinematografico comico del primo Novecento
Le studiose e curatrici Maggie Hennefeld (University of Minnesota, Minneapolis), Laura Horak (Carleton University, Ottawa) ed Elif Rongen-Kaynakçi (EYE Filmmuseum, Amsterdam) [fig. 1] si riferivano esplicitamente a quello che è diventato una sorta di grido di battaglia femminista dall’ottobre 2016, quando durante la campagna elettorale di Donald Trump, in un dibattito televisivo tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Trump ha interrotto Hillary Clinton sibilando nel microfono «such a nasty woman» («che donna odiosa»). «Nasty Woman» è dunque diventato virale sui social network in una direzione e significato opposto all’insulto di Trump: è diventato un simbolo femminista, di rifiuto della discriminazione e dell’abuso patriarcale verso un nuovo movimento politico femminista.
È in questo contesto che le studiose sopra citate propongono una presa di posizione dichiaratamente femminista nell’analisi storiografica e nel processo di valorizzazione di figure comiche del cinema muto: figure come Léontine, Rosalie, Cunégonde, Lea, Gigetta, Tilly e Sally hanno interpretato ruoli in grado di rivelare il potere patriarcale, smarcandosi dalla rigidità delle norme sociali primonovecentesche, travolgendole insieme con noncuranza distruttiva e allegra incoscienza, per scardinare gli assunti sul decoro fisico femminile. Le ‘Nasty Women’ mettono alla prova i confini e ribaltano gli stereotipi di genere, compresi quelli poi riprodotti dal cinema commerciale, all’opposto delle immagini hollywoodiane delle donne all'inizio del XX secolo, le quali invece si ponevano molto spesso sulla falsariga dell’immaginario stilnovista che ha caratterizzato la rappresentazione delle donne per secoli.
La comicità ha un ruolo ben determinato in questo ambito; il teorico russo Michail Bachtin evidenzia la componente irriverente ed anticonformistica di contestazione e opposizione ai generi ufficiali insita nel comico. Il riso simboleggia la mutevolezza di punti di vista e prospettive, è il rovesciamento carnevalesco dell’ordine del mondo; al contempo, l’attenzione alla corporeità istintuale insita nel comico ha un grande potere evocativo, in particolare in un momento storico in cui il corpo femminile nel cinema tende a sottostare ad un uso ‘voyeuristico’ e oggettivato della femminilità. La risata e il suo potere sovversivo sono tra le più interessanti operazioni sollecitate da questi film, nei quali si possono vedere così tante donne ridere. Nel rivelatore Laughing Gas (1907), una donna afroamericana (Bertha Regustus) si reca dal dentista per un mal di denti e riceve del protossido di azoto. Inizia a ridere di cuore e la sua allegria diventa contagiosa, coinvolgendo tutti coloro che incontra: i passeggeri bianchi di un treno, i suoi datori di lavoro bianchi e i neri che frequentano la sua parrocchia [fig. 2].
Le storiche del cinema femministe trovano di frequente nel cinema delle origini un patrimonio di immagini evocative che destabilizzano le percezioni rigide del genere in una direzione di normatività. Cosa rende una donna ‘sgradevole’? Un’identità e un desiderio che impongono il loro valore contro la spinta patriarcale a condannare la femminilità a una dimensione invisibile, a una sessualità oggettivata e a una maternità abietta (Hennefeld et al., 2022). Quando la soggettività femminile sconvolge il regolare funzionamento dell’ideologia, le donne ‘sgradevoli’ al patriarcato non vi si conformano; i loro desideri sono molteplici, le loro carni traboccano allegramente dai corsetti e dalle diverse forme di ‘contenimento’ dei corpi. Forse non erano letteralmente ‘donne sgradevoli’, tuttavia, alcuni contenuti dei loro film, le loro performance caricaturali, i travestimenti e giochi di genere delle protagoniste potevano risultare offensivi e indecenti all’epoca; addirittura potrebbero offendere alcuni spettatori benpensanti di oggi. Di certo, i recensori americani coevi non erano entusiasti di queste personagge, come nel caso di Léontine, performer sconosciuta e attrazione principale di una serie di film prodotti tra il 1910 e il 1912. In molti di questi cortometraggi, le trame sono assai elementari: Léontine, vestita da bambina ma interpretata da una sorridente donna adulta, si comporta male, a volte in modo violento, e ovviamente si caccia in un mare di guai [fig. 3].
2. Un progetto curatoriale
Le studiose femministe hanno da decenni esplorato gli archivi del cinema muto per contestualizzare un’analisi critica del passato in direzione di un’operazione di sensibilizzazione politica anche nel presente; in questo senso, hanno avuto il privilegio di valorizzare capolavori assai sottovalutati e di leggere i sottotesti più complessi nelle dinamiche storico-sociali che in modi diversificati hanno accompagnato e rappresentato. La rassegna sulle Nasty Women ha trovato spazio sia al festival Le giornate del cinema muto di Pordenone 2017 sia in altri eventi internazionali, compresa l’edizione 2022 del festival Il Cinema Ritrovato di Bologna. Inoltre, grazie a una raccolta in cofanetto da 4 DVD/Blue-ray pubblicato da Kino Lorber nell’estate del 2022, le Nasty Women hanno ottenuto anche una distribuzione e circolazione internazionale nel mercato dell’home video. L’iniziativa comprende gruppi tematici di cortometraggi e lungometraggi che hanno a che fare con l’originalità delle figure femminili delineate da questi film, donne che profanano le norme di genere devastando gli spazi domestici, facendo esplodere la cucina, sbriciolando le stoviglie, infrangendo tabù sessuali e razziali.
Già prima di questa rassegna, Monica Dall’Asta con Non solo dive. Pioniere del cinema italiano (2008) aveva esplorato questo orizzonte esulando dalle personalità più iconiche delle celebri dive italiane e focalizzandosi sulle pioniere del cinema che hanno riflettuto in modi non convenzionali sull’identità femminile, decostruendone diversi cliché nel contesto del cinema delle attrazioni. Prima di quelle ricerche, le principali storiografie femministe del cinema delle origini si erano concentrate su singole registe, come dimostrano gli studi di Alison McMahan su Alice Guy-Blaché (2003) e il lavoro pionieristico di Giuliana Bruno sulle opere perdute di Elvira Notari, in dialogo con il contesto della Napoli d’inizio Novecento (1993), seguito in Italia dalle ricerche di Cristina Jandelli e dal suo contributo reso al cinema dalle donne nell’ambito dei fenomeni divistici, indagando le relazioni fra la storia del cinema e la storia di genere (2006). In seguito, il network di studi Women Film Pioneers Project ha consolidato le collaborazioni internazionali in una prospettiva nuova sulla storia del cinema, che mette anche in discussione le questioni di genere fra cultura visuale e storia dei media in chiave femminista.
Esplorando altri progetti fra cineteche e home video, vi sono stati dei precedenti rispetto alla rassegna Nasty Women, in particolare nel panorama italiano: il programma dell’edizione 2008 de Il Cinema Ritrovato intitolato Forze Irresistibili: attrici comiche e suffragette (1910-1915), curato da Mariann Lewinsky e Madeleine Bernstorff, risultante nel DVD del 2010 intitolato Cento anni fa: attrici comiche e suffragette 1910-1914, a cura di Mariann Lewinsky. Sia nel caso del programma Nasty Women sia in quello di Forze Irresistibili, le performance delle attrici comiche sono associate ed elaborate in una prospettiva transnazionale, per quanto prevalentemente occidentale, che racconta molto di percorsi affini e paralleli, di società organizzate secondo strutture gerarchiche patriarcali da stravolgere con il potere della risata: «By watching these films today, we celebrate their joyful mutiny against the gendered relations of production and social reproduction» (Hennefeld et al. 2022, p. 14).
Attraverso questo progetto curatoriale si evincono i nodi di un’iniziativa più ampia e continua per ripensare e riscrivere la storia del cinema in una direzione intersezionale, che per troppo tempo ha presentato in modo opaco i contributi fondamentali delle donne e delle persone di etnie non bianche. Questa storia non ha semplicemente emarginato tali contributi, ma li ha persistentemente ignorati e persino cancellati. Invero, siamo di fronte a una cancellazione esasperante, che ha plasmato il nostro senso del passato e la nostra comprensione del presente; tuttavia, non si tratta di inventare una controstoria velleitaria, ma di ridisegnare per intero il quadro complessivo, restituendolo nella sua concretezza di spazio composito, abitato e vivificato anche, seppure in posizioni subalterne o marginalizzate, da donne e da persone di etnie non bianche.
3. Ambienti domestici
L’idea della deflagrazione dello spazio domestico, come il topos della catastrofe in cucina, si basa sulla convenzione dell’ambiente domestico come luogo in cui i confini tra le sfere del pubblico e del privato, separate sulla base dell’identità di genere, vengono messi in discussione, grazie al potere irriverente della vis comica. In questi film, la vita domestica è lasciata nel caos, le abitazioni si distruggono, in un’anarchia inversamente proporzionale alle rigide aspettative della società borghese che hanno configurato spesso nella sfera domestica una prigione. La Nasty Woman è una burlona da slapstick, il cui spirito distruttivo è incontenibile e demolisce le griglie delle norme istituzionali del proprio tempo, in una fisicità gioiosa e alternativa. Le aspettative che riguardano in particolare la gestione della casa, il decoro e la presentabilità dell’ambiente casalingo, vengono completamente sovvertite nel caos e nel disordine connaturato nella Nasty Woman [fig. 4].
Quello domestico è un lavoro a basso salario aperto alle donne, ma che le sottopone a condizioni di vita precarie, a orari estenuanti, a cibo scadente, ad alloggi miseri, a una noia ingrata e spesso ad abusi, molestie e aggressioni. La redenzione delle lavoratrici domestiche sfruttate diventerà un tema ricorrente in questi film; cameriere che frantumano un piatto dopo l’altro e distruggono gli oggetti che hanno accompagnato il loro sfruttamento, sono immagini ricorrenti. Addirittura, la cameriera che rompe i piatti è stata persino adattata in una bambola giocattolo a molla, nata dalla popolare striscia a fumetti Bécassine, 1905-1962 (Hennefeld et al., 2022, p. 14).
Ad esempio, la già citata Léontine in Le bateau de Léontine (1911), allaga la casa per giocare con una barca giocattolo; è interessante come il film solleciti le priorità assolute della morale borghese nelle aspettative associate alla donna e al suo ruolo stereotipato di custode del focolare, cui Léontine si oppone radicalmente provocando il nonsense e la comicità derivanti dal conflitto fra attese patriarcali e stravolgimento comico e divertimento. Léontine inonda di nuovo la casa nel provocatorio Léontine garde la maison (1912), dove la posta in gioco è più alta perché la protagonista è stata lasciata a casa da sola a prendersi cura di un fratello molto più giovane e di un cane, cui consegue un caos coreografico, in parte giocoso (lava i piatti per poi gettarseli dietro le spalle) e in parte meno, quando le sue follie aumentano in modo esponenziale, lasciandola con una casa piena di bambini urlanti e cani.
Nel film britannico Mary Jane’s Mishap (1903), una cameriera sorridente si agita allegramente in cucina, si sporca il viso con il lucido da scarpe (creando dei baffi sbavati) e usa troppa benzina sul fuoco, facendo un salto su per il camino che conclude il catalogo di guai combinati in casa. La cameriera di Rosalie et son phonographe (1911), interpretata da Sarah Duhamel, danza con la sua padrona, la cui nuova macchina riesce in qualche modo a rimescolare il contenuto di una stanza, innescando una spirale di infinito disordine.
Lo sconvolgimento della sfera domestica è un leitmotiv che attraversa quasi tutti questi film; non è casuale che la linea narrativa della maggior parte delle storie comiche popolate da donne si concentri sull’ambiente della casa, in particolare considerando la riflessione femminista sullo spazio domestico, a partire dal movimento delle suffragette del XIX secolo e dall’emergere novecentesco della figura culturale della New Woman, emancipata, lavoratrice e consumer al tempo stesso, soggetto di una ‘nuova visibilità’ della donna negli spazi della modernità e della vita pubblica. La casa è uno spazio di separazione dalla società e dalla dimensione collettiva del pubblico; è tradizionalmente una rappresentazione della sfera del privato, ma qui, attraverso la forza prorompente della comicità, si rivela anche cornice per dei giocosi atti di ribellione, costruendo modelli alternativi di vita sociale.
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