Perdersi dentro casa. La storia che ha commosso il mondo di Ketty La Rocca

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Abstract: ITA | ENG

La critica si è sempre più interessata all’opera di Ketty La Rocca. In particolare, i critici si sono spesso concentrati sulle sue opere figurative e concettuali, e le loro connessioni con i problemi del linguaggio e la figura della donna nella società moderna. Lo scopo di questo articolo è quello di mettere in luce l’unica opera teatrale dell’artista fiorentina: La storia che ha commosso il mondo. Ciò è importante per almeno due ragioni. In primo luogo, nel testo risuonano numerose eco dei suoi lavori e molti importanti temi, come il ruolo della donna nella società, la guerra, la società dei consumi, il modo in cui la tecnologia cambia la nostra lingua, la nostra comunicazione e la nostra vita. Con questo articolo, speriamo sia possibile osservare l’opera di La Rocca da una nuova prospettiva. In secondo luogo, fino a questo momento, i critici hanno letto questo testo in una forma incompleta, e questo intervento vorrebbe rimuovere questo ostacolo nella fortuna dell’artista. A questo scopo, abbiamo ricopiato con attenzione la versione originale di La storia che ha commosso il mondo, e ne abbiamo commentato le parti più rilevanti, osservando i rimandi più importanti alla cultura italiana dell’epoca e ad altre opere dell’artista.

Artistic criticism are increasingly interested in Ketty La Rocca’s works. Art critics, in particular, focused their attention on her visual and conceptual works, and their relationships with languages and woman in modern society. The aim of this article is to spotlight the only one theatrical text written by the Florentine artist: La storia che ha commosso il mondo. This is important for at least two reasons. First, in this text resound many echoes of her works and many important topic, as the role of woman in society, the war, the consumer society, the way in which technology changes our language and communication, and the way in which technology changes our life. By this article, I hope it will be possible to observe the entire La Rocca’s production by a different point of view. Second, until this moment, critics read this text in an incomplete form, and this article would fix this obstacle for artist’s fortune. In order to reach these targets, I copied carefully the original version of La storia che ha commosso il mondo, and I commented the most relevant part, noticing the reverberation of Italian pop culture and other artist’s work. 

 

 

L’opera di Ketty La Rocca sta ricevendo in questi ultimi anni una crescente attenzione da parte della critica, nazionale e internazionale. Al centro è spesso la rappresentazione della donna e del suo corpo,[1] uno dei temi più cari all’artista fiorentina, che alla figura femminile nella società moderna ha dedicato moltissimi dei suoi lavori. Ci proponiamo di aggiungere la nostra voce a questo dibattito accendendo una luce su di un’opera fino ad oggi toccata solo marginalmente dalla critica: La storia che ha commosso il mondo. Si tratta dell’unico testo teatrale stampato per la prima volta sui ‘Quaderni di Tèchne’, nel numero intitolato Teatro 1 del 1970, allegato della rivista ‘Tèchne’ curata da Eugenio Miccini. Ad oggi l’opera è stata messa in scena solo una volta: il 4 novembre 2003, dunque postuma e senza le indicazioni dell’autrice, presso il Saloncino del Teatro della Pergola.[2] Un’analisi di questo testo è rilevante per almeno due motivi: intanto perché Ketty La Rocca ha sempre posto al centro della propria ricerca il linguaggio («Il grande inquisito è sempre il linguaggio, quel linguaggio distorto e svuotato di senso che deve ritrovare la via della propria verità»),[3] prima analizzando quello alfabetico, dalla poesia visiva alle Segnaletiche, dalle lettere tridimensionali in pvc alla tela Dal momento in cui, e poi, spinta ad approfondire il vasto e variegato ambito della comunicazione, concentrandosi su quello gestuale, con opere come Appendice per una supplica e In principio erat, per il quale sono sempre valide le parole di Gillo Dorfles:

Accontentiamoci dunque di osservare e ammirare queste sequenze gestuali che Ketty La Rocca ha ideato con rara sensibilità e intelligenza e rendiamoci conto dell’importanza ancor oggi decisiva, del gesto spontaneo, che nessuno ha insegnato all’uomo, del gesto che ognuno acquista per tradizione, per ereditarietà, per istinto.[4]

Proprio per questo ci pare interessante capire come un’artista che ha spesso portato il linguaggio alle sue estreme conseguenze abbia declinato la forma letteraria teatrale. Senza contare che il testo è imbevuto della sua produzione visiva, spesso con espliciti riferimenti o evidenti derivazioni. In secondo luogo, una sua analisi è rilevante perché fino ad oggi La storia che ha commosso il mondo è stato letto dalla critica mutilo di una sua parte.

Per iniziare la nostra analisi è necessario dunque un appunto di natura filologica. La storia che ha commosso il mondo è stato fino ad oggi ripubblicato, a parte la sua prima apparizione sulla rivista ‘Tèchne’, i cui numeri non sono solamente rari, ma anche molto fragili e spesso di difficile consultazione, in due occasioni: in Omaggio a Ketty La Rocca, a cura di Lucilla Saccà (Pisa, Pacini Editore, 2001, pp. 183-185), e in Ketty La Rocca. I suoi scritti, a cura di Lucilla Saccà (Torino, Martano Editore, 2005, pp. 69-73). In entrambi i casi il testo è stato presentato mutilo di una sua parte. Il testo era originariamente stampato su quattro pagine (solo fronte). Confrontando questa versione con le successive è evidente la lacuna causata dalla mancata copiatura della seconda pagina dell’opera.[5] Data la delicatezza della rivista è possibile che il testo sia stato copiato da un esemplare privo della seconda pagina. Inoltre, come vedremo, la mancanza di una fabula compatta e coerente, la frammentarietà dei dialoghi, il continuo mutare d’argomento, l’assenza di personaggi fortemente connotati (sono semplicemente indicati con A, B, C), la ‘decostruzione’ del testo e delle sue strutture,[6] non ha reso e non rende evidente la lacuna. Sia per scopi esegetici, sia per garantirne la corretta diffusione,[7] riportiamo di seguito il brano nella sua forma integrale:[8]


 

La Storia che ha commosso il mondo
 
(scena al buio)
Speaker – Esiste uno pseudo marxismo secondo il quale tutto è falso tranne che la fase finale della storia.
(scena in luce)
Speaker (donna) – La drammatica situazione creatasi nel Vietnam aveva provocato degli effetti deleteri sull’impiego del tempo libero degli impiegati, operai, salariati, nonostante che i circoli ricreativi che le industrie mettevano loro a disposizione offrissero ogni genere di svago; la donna stentava in molti casi ad ottenere attraverso l’uso di un fondotinta adatto quel piacevole aspetto e soprattutto quell’aspetto sereno che rivela un più profondo equilibrio. In questa atmosfera di tensione nella quale solo una donna sana può anche essere una donna bella, la comprensione fra padre e figlio subiva un fiero colpo e anche dopo il caso Kennedy la depilazione elettrica e l’igiene intima non erano più in grado di risolvere la questione del Palazzo di Vetro, anche se era ormai chiaro che non esistono donne frigide, ma solo uomini maldestri. Ma finalmente un piccolo episodio riapriva gli orizzonti: la Commissionaria ridava fiducia ad un utente che ormai non sperava di ricavare più niente dalla sua Fiat ‘600 del ‘56. Anche il Convegno dei Cinque si riuniva per risolvere la situazione, il giovedì alle 20.30 sul II Programma.
A – È evidente che sono giunta ad uno stato di angoscia insuperabile. Mi sento una donna profondamente ferita nella sua sensibilità e nella sua stessa dignità che era andata incontro alla vita con la più sincera idealità e fiducia e quando ha cominciato ad affrontare gli spigoli della vita si è trovata impreparata.
B – L’inizio della primavera è il periodo migliore per vendere la propria auto usata. È preferibile e conveniente rivolgersi alla Commissionaria presso la quale abbiamo intenzione di acquistare la nuova auto; la valutazione dell’auto usata aumenterà in maniera direttamente proporzionale alla cilindrata dell’auto nuova.
A – Sento l’ansia che mi sale e non riesco a controllarmi nonostante lo sforzo di volontà; le mie difficoltà derivano certamente da una tremenda impressione della mia infanzia, aggravata per giunta da un senso sbagliato di colpa che intuii quel giorno...
Coro – Rispose tre volte al telefono.
C (donna) – (parlando al telefono) Quasi sempre, cara, gli uomini dicono così, ma non gli dare troppa importanza, in realtà sono solo degli egoisti ed anche dei deboli, dei bambini...
B – (al telef.) Per Roma 1200 lire di autostrada e la benzina; il pedaggio è forte, ma se siete in quattro conviene. In auto c’è più libertà, ci si può fermare dove si vuole.
Coro – Conviene, conviene, conviene tre volte.
C[9] – Brava, avevi ragione, ho mangiato bene con Gradina.
Coro – Brava, avevi ragione, abbiamo mangiato bene con Gradina.
Speaker – Secondo il Manzoni, ogni momento è vero, in quanto convergente a un finale sviluppo che attua nella storia la divina provvidenza: per cui vittime ed oppressori sono entrambi nel piano; ma verranno per i primi le “giornate del nostro riscatto”.
(Sottofondo musicale tipo Vecchia America)
Speaker – Gli anni della II Guerra Mondiale furono duri per il Visconte Astor, che fu sindaco di Plymout durante il lungo supplizio della città bombardata. Nel 1944 non stava bene in salute e non si sentiva la forza di partecipare ad un’altra campagna elettorale a fianco della moglie, benché ne fosse stato sempre il più valido sostenitore. Lady Astor tenne un commovente discorso di addio: è con cuore angosciato che mi accommiato da voi. Porto con me il più vivo rimpianto e il più profondo rispetto per la Camera di Comuni. Non credo che nessun’altra assemblea avrebbe potuto mostrarsi più tollerante verso una donna straniera quale io ero che combatteva contro tante cose nelle quali i suoi componenti credono.
Visconte Astor – Perché è la forza dei nervi distesi.
Lady Astor – Lui non vi parlerà mai di Atkinson for Gentlemen o lo farà ancora malgrado se stesso.
Coro – Un odore del corpo sgradevole cancella ogni colloquio.
B – Per un motore in rodaggio le migliori condizioni di funzionamento sono in genere quelle sui lunghi percorsi. Infatti guidando in città il motore non raggiunge mai le temperature di regime.
Coro – RE GI ME
B – Nel caso di alcuni scoppiettii vuol dire che vi è un’irregolarità nella carburazione.
C – (in sottabito) Non sta poi bene che un vestito superi di molto il ginocchio.
A – La colpa è qualche volta della donna che non vuole più accudire alla casa e interessarsi della famiglia, come è suo compito.
C – Indicata soprattutto per le giovanissime dal corpo quasi asessuato e dalle lunghe gambe (C esce di corsa).
A – Una certa differenza di età nel matrimonio …
Speaker – Per la strada un uomo non deve mai fermare una signora a meno che non sia lei a farlo. Se si accompagna con una signora accenna un saluto a tutte le persone che lei saluta. Presentando la moglie potrà dire: cara, ti presento il dott. Bianchi e a lui: mia moglie. Imperdonabile e pretenzioso suonerebbe la frase: la mia signora.
Coro – …. continua.
(Uno strillone entra di corsa in scena leggendo una civetta di un giornale ed esce)
Attori fermi per 30’’
A – A me piacerebbe un figlio diverso, senza le tue strane idee così fuori dalla realtà e che non giovano neppure a te stesso.[10]
Io ti parlo con l’esperienza di una persona che ha vissuto e che capisce e per questo sento il dovere di aiutarti... (*****) non come padre, ma come amico.
Speaker – (ha cominciato prima che A finisse, dagli asterischi) 28 luglio ore 12 50’ 07’’. Il conteggio alla rovescia è alla fine. Appena sette secondi dopo l’inizio del tempo utile per la partenza, il Ranger VII lungo appena due metri e 51 centimetri e racchiuso in un guscio di acciaio di protezione si solleva da Capo Kennedy (*****) in cima ad un veicolo di lancio Atlas-Agena.
A – (ha cominciato a parlare prima che lo Speaker finisse, dagli asterischi) Ma tu, papà, non puoi capire le mie esigenze e i miei desideri così diversi dai tuoi anche se io rispetto i tuoi punti di vista non posso vivere come tu desidereresti anche se le tue parole mi sono di grande aiuto.
Speaker – II Clabium, psicotonico, antidepressivo; ansiolitico per una duratura stabilità nervosa e per un equilibrio affettivo. Confezioni:
A – Flaconi di 25 confetti da mg. 5.
B – Flaconi di 20 confetti da mg. 25.
A – Supposte: astucci da 10 supposte da mg. 30.
B – Fiale per via intramuscolare; scatole di 3 fiale da mg. 100 di sostanza secca - tre fiale di solvente speciale.
Speaker – A fondarla vennero da Sibari dei coloni greci verso la metà del VII secolo a. C.
Coro – L’altra non è, non è niente per me... ora lo so...
A – Temo di aver commesso un grave errore e questa è la causa prima della mia angoscia, non saprei certo dire quale avrebbe dovuto essere il mio comportamento, ma perché continuare a vivere?
Speaker – Quando un giocatore involontariamente scarta in un seme diverso dalla carta di attacco e di uscita pur possedendo ancora carte di quel colore. La renonce implica una penalità.
Coro – Mettete dei fiori nei vostri cannoni....
C – La depilazione elettrica è consigliabile solo quando i peli sono lunghi e duri.
(attraversando la scena) A – (mentre una ragazza esegue) Per eseguire questo esercizio stendete una coperta sul pavimento, sedetevi, flettete le ginocchia mantenendole unite e appoggiate le mani sotto le cosce in modo da tenere le mani aderenti al busto. Inspirate profondamente, quindi con un movimento deciso, rovesciatevi sulla schiena dondolatevi all’indietro e in avanti per due volte.
Coro – Tornate sedute ed espirate bene. Ripetete tre volte.
Speaker – La donna non è debole. Qui New York vi parla Ruggero Orlando: la politica dell’igiene intima usata normalmente evita quelle forme di infiammazione la cui manifestazione caratteristica è la leucorrea ed altri disturbi. Essi si prevengono e si curano usando un antisettico efficace, non irritante, Intol…
A – e vennero ad annunciargli la morte ...
Speaker – Qualsiasi altro giocatore può far rilevare una irregolarità anche il morto purché non abbia perso i propri diritti scambiando le carte con il compagno.
B – I nostri bambini sono sempre irrequieti, manca loro l’ambiente adatto ad estrinsecare la loro vitalità e il loro sviluppo psicomotorio ne risente in maniera deleteria.
A – .... e il lupo con i grandi occhi sbarrati, avvicinatosi alla piccina,
B – la divorò in un boccone.
Speaker – II morto, se non è incorso in una delle sopraddette infrazioni, può segnalare una renonce o qualsiasi irregolarità e avvertire il dichiarante di non giocare dalla parte sbagliata.
B – … e alla base di un’unione occorre una certa sicurezza economica ai fini di un accordo perfetto e non disturbato da motivi marginali e per la creazione di una famiglia serena.
Speaker – È tempo infatti di dichiaratamente affermare che la prosperità di qualsiasi azienda è legata alla presenza di capi-reparto, capi-ufficio, capi-servizio che sappiano ben tradurre le direttive dell’alta direzione e ciò è difficilmente possibile se essi non sono preparati a risolvere nell’ambito delle loro funzioni problemi organizzativi e direzionali, se essi, cioè, sono solo dei tecnici nel senso più ristretto e non anche dei capi.
(un disco interrompe bruscamente: questa è la storia di uno di noi...)
Coro – La Metro Goldwyn Meyer è fiera di presentare su tutti gli schermi questa storia che ha commosso il mondo.

L’opera si apre con una scena al buio, dove a risuonare è solo la voce di uno speaker, una voce fuori campo, un parlante che entra in scena con il solo atto fonatorio, riprodotto e amplificato per mezzi meccanici, senza essere fisicamente presente. Lo speaker sarà, come vedremo, uno dei ‘personaggi’ più rilevanti della pièce. Interessante è la frase pronunciata, una citazione, praticamente perfetta, di un testo di Maurice Merleau-Ponty:

Esiste uno pseudomarxismo secondo il quale tutto è falso tranne che la fase finale della storia. Esso corrisponde, sul piano delle idee, a quel comunismo rudimentale […] nei cui riguardi Marx non è tenero. Il marxismo autentico vuole assumere tutto l’acquisito superandolo, e in tal senso ammette che tutto è vero al suo posto e al suo grado nel sistema complessivo della storia: tutto ha un senso. Il senso della storia come totalità ci è dato non da una legge del tipo fisico-matematico, ma dal fenomeno centrale dell’alienazione.[11]

 

Senso e non senso è una raccolta di saggi riguardanti vari argomenti, scritti dal filosofo francese tra il 1943 e il 1945. I temi trattati sono molteplici: dall’opera di Cézanne al romanzo e la metafisica, dall’esistenzialismo in Hegel al marxismo, dall’esistenzialismo alla guerra. La prima edizione italiana è del 1962, sempre per i tipi del Saggiatore, per cui è molto probabile, se non certo, che la citazione di La Rocca provenga da qui. L’individuazione di questo passo ci può aiutare ad aggiungere, con fondata certezza, questo volume alla biblioteca dell’artista.

Ketty La Rocca, Bianco Napalm, 1967. Courtesy Archivio Ketty La Rocca, Firenze

Un aspetto interessante è l’oscurità che avvolge la prima battuta. Questo passaggio dall’oscurità alla luce in seguito ad un atto verbale sembra, con un processo di demistificazione del mondo religioso coerente con opere del passato, come Bianco Napalm e Io sono Peter, parodiare il famoso fiat lux biblico:[12] un dio-verbo che, con la parola, genera la luce. Solo che, nella versione presente, la voce appartiene ad un anonimo speaker che recita non parole divine, ma l’analisi del marxismo condotta da un filosofo francese.

Una volta giunta la luce sulla scena, ecco la voce di un secondo speaker, della quale conosciamo solo il sesso femminile. La sua battuta è un vero effluvio di frasi e argomenti che si accavallano l’uno sull’altro: sono citate la guerra del Vietnam (che tra l’altro è oggetto di critica proprio in opere come Bianco Napalm), la situazione degli impiegati salariati, le difficoltà delle donne nell’ottenere quell’aspetto sereno che è manifestazione di un «profondo equilibrio», il rapporto padre-figlio, il caso Kennedy, la depilazione e l’igiene intima, la Fiat ‘600, il Convegno dei Cinque (un programma radiofonico andato in onda dal 1946 al 1990). Rilevante è che tutti gli argomenti trattati sono innestati l’uno nell’altro in modo sintatticamente coerente ed ineccepibile, ma semanticamente stridente. Il processo ricorda l’opera Dal momento in cui, una tela emulsionata del 1970 recante a lettere bianche su sfondo nero il seguente testo:

 

Dal momento in cui qualsiasi procedimento presuppone dal punto di vista pratico un’esigenza di carattere concreto accettabile nell’ambito una prospettiva disgiunta da considerazioni parziali in un campo così vasto che inevitabilmente trova un’affermazione non del tutto pertinente e specifica tanto che…

 

Come si può notare da questa piccola parte riproposta, il testo, mimando il vuoto linguaggio burocratico, è costituito da una perfetta sequenza di proposizioni che si innestano perfettamente l’una nell’altra, ma che producono semanticamente un vuoto, un’assenza di senso che il lettore cerca di colmare procedendo nella lettura, con il risultato di perdersi tra le spire di parole che conosce ma che lo guidano a nessun dove.

Il passaggio dal tempo libero degli impiegati al fondotinta avviene attraverso un punto e virgola; si passa dal rapporto padre-figlio alla depilazione e igiene intima attraverso il costrutto «e anche dopo il caso Kennedy»; si passa dalla questione del Palazzo di Vetro (sede dell’Onu a New York) alla frigidità femminile attraverso un «anche se»; e poi un «ma finalmente» ci introduce al rapporto tra un utente e la Fiat, e un «anche» ci guida al Convegno dei cinque. Quella che contempliamo è un’architettura vuota. Questi connettivi, questi snodi logici, infatti, articolano la struttura del discorso in modo ineccepibile, ma, mancando una coerenza semantica, il risultato è un vuoto di significato. Lo spettatore (e con lui il lettore), vive lo strano paradosso di perdersi dentro casa: egli riconosce e intende la struttura grammaticale della frase, recepisce i referenti di ogni singola proposizione, eppure non riesce a venire a capo del senso del discorso, e finisce per perdersi in ciò che ben conosce. Ben conosce, non solo per quanto riguarda la struttura grammaticale: i riferimenti sono tutti relativi ad una cultura popolare costituita da avvenimenti storici nazionali e internazionali, da pubblicità, da costumi sociali, da tutto ciò insomma che entrava nelle case degli italiani attraverso la radio e la televisione. Ma l’artista, inserendo tutte le informazioni in un’unica proposizione potenzialmente infinita, mostra il disagio moderno di fronte al flusso incessante e incontenibile di sempre nuove informazioni.

Questa operazione artistica è, da un altro punto di vista, simile ai collage: anche in questo caso dei pezzi di realtà sono ritagliati dalla loro sede (discorsi radiofonici, televisivi, etc.) e incollati l’uno di fianco all’altro in modo ordinato, pulito, ricreando un’opera complessa e compiuta, dove l’unica cosa che sembra sfuggire, per quanto si riescano a carpire dei riferimenti e dei rimandi, è il senso finale, sempre lontano da una sua conchiusa decodificazione. Come è stato scritto, questo spettacolo,

significativamente pensato per una dimensione performativa, è una sorta di manifesto del tecnologismo. Il testo rivela forti analogie strutturali e compositive con le prime poesie dell’artista e progettuali e sceniche con Poesie e no: è un collage plurilinguistico e pluristilistico, che amalgama in un unico contesto pubblicità, attualità, canzoni, frasi stereotipate.[13]

 

Ricorrono temi cari a La Rocca: la donna e la sua necessità di apparire bella, con i riferimenti al trucco, presenti ad esempio in Sono felice, 1965[14] e Noi e chi ci, 1964-1965, oppure con la frase «solo una donna sana può anche essere una donna bella», che sembra riecheggiare Sana come il pane quotidiano, 1965;[15] la guerra in Vietnam (il già citato Bianco Napalm), i prodotti di largo consumo, etc. In questo caleidoscopio di pubblicità, avvenimenti storici e comunicazione massmediale, il lettore/spettatore si ritrova divertito ma spaesato dagli assalti delle informazioni che si susseguono e si impiantano l’una sull’altra in una struttura identificabile ma priva di senso.

Ketty La Rocca, Sana come il pane quotidiano, 1965. Courtesy Archivio Ketty La Rocca, Firenze

Ed ecco che entrano in scena i personaggi. Come scrive Rossella Moratto, scopriamo «un dialogo ironico e autistico fra diversi personaggi tipizzati con il commento di un coro, che ha la funzione di cassa di risonanza mediatica».[16] Come era accaduto al primo intervento dello speaker, non possiamo non sorridere del folle accavallarsi di personaggi anonimi che dialogano da soli, portando avanti ciascuno il proprio tema, come una caotica melodia di strumenti che suonano senza ascoltarsi. E in questo universo dove tutto è popolare, riguardante cioè la società dei consumi e la sua enorme diffusione in tutti gli strati della popolazione, anche il coro non è il coro della tragedia antica, che rivestiva un ruolo centrale nella struttura dell’opera e nella sua fruizione, e neanche il coro delle tragedie più moderne, come quelle del Manzoni, ma si è trasformato nel coro di una canzone leggera: esso infatti ha il solo compito di creare un’eco delle parole pronunciate, di trasformare le battute dei personaggi in ritornello. Ma non solo: più avanti, esso riproporrà dei testi di alcune famose canzoni degli anni Sessanta: «mettete dei fiori nei vostri cannoni» è il ritornello della canzone Proposta dei Giganti del 1967, mentre «l’altra non è, non è niente per me» è un verso di In ginocchio da te di Gianni Morandi del 1964. Il coro, dunque, ricopre la funzione di intrattenimento musicale.

Poi ecco che interviene nuovamente lo speaker. La prima parte del suo intervento riprende l’incipit dell’opera pur collocandosi specularmente ad esso: alla visione materialistica del marxismo è opposta quella del Manzoni, secondo il quale (o almeno secondo l’opinione che del Manzoni è riportata), è ogni momento della storia ad essere vero perché in essa si attua il disegno della divina provvidenza. La prima parte dell’intervento, prima dell’ingresso di una musica «tipo Vecchia America», si chiude con una citazione proprio dallo scrittore milanese: l’espressione le «giornate del nostro riscatto» è infatti tratta da Marzo 1821, verso 97 («Oh giornate del nostro riscatto!»).

Quando riprende la parola, lo speaker riferisce la vicenda di Lady Astor, la prima donna eletta nel parlamento inglese, e il suo addio alla Camera dei Comuni (il riferimento alla «donna straniera» è dovuto al fatto che Nancy Astor era americana naturalizzata inglese). Come il precedente, anche questo è una sorta di contrappunto del primo (quello avvenuto a luce accesa), almeno per quanto riguarda la figura femminile: mentre nel primo la donna era rappresentata come la società dei costumi voleva rappresentarla, e come Ketty La Rocca l’ha più volte ritratta nei suoi collage, cioè bella, truccata, ben tenuta, ma saldamente rinchiusa in una dimensione domestica, oppure innalzata ad oggetto sessuale, ecco che in questo brano è riportata la vicenda di una donna che ha fatto la storia, riuscendo ad affermarsi in un ambito prettamente maschile come la politica della prima metà del Novecento, peraltro con il sostegno del proprio marito. Opposto è anche lo stile con cui gli avvenimenti sono raccontati: mentre in apertura sono riportati stralci di pubblicità e temi eterogenei riuniti in un unico amalgama, in questo caso ci troviamo di fronte ad una narrazione coerente, non solo da un punto di vista formale, ma anche tematico. Ma proprio quando sembra essere stato ristabilito un ordine della realtà comprensibile, quando le parole della voce anonima e meccanica sembravano aver acquisito un senso, ecco che i due personaggi storici, il Visconte Astor e Lady Astor, prendendo direttamente la parola, pronunciano due slogan pubblicitari. L’uomo cita il famoso slogan del tè Ati, apparso anche su Carosello: «Tè Ati, la forza dei nervi distesi». La donna invece cita «Atkinson for gentlemen», una linea di prodotti da uomo, dopobarba e altre lozioni. Da sottolineare come Atkinson sia presente anche in un precedente lavoro di Ketty La Rocca: Vergine, 1964-65, dove l’immagine di una donna in costume è sovrastata da una colonia «Atkinson executive» e dalle scritte «linea maschile» e «vergine», quest’ultima in caratteri maiuscoli.

Ketty La Rocca, Vergine, 1964-65. Courtesy Archivio Ketty La Rocca, Firenze

Quello che sembrava essere un momento significativo, storico, alto, decade subito, prima attraverso la reclamizzazione dei prodotti pubblicitari da parte dei due personaggi politici, e poi dalla frase del coro: «un odore del corpo sgradevole cancella ogni colloquio», che sembra ribadire l’importanza di una lozione Atkinson. Dopo questo passaggio riiniziano a succedersi le battute dei personaggi che ripropongono i temi della fase iniziale: B continua a discutere di automobili, A attribuisce alla donna le cause dei problemi di coppia, relegando la metà femminile all’accudimento della casa e della famiglia, C parla della lunghezza degli abiti femminili, riferendosi soprattutto a certi accorgimenti che la moda impone, come la lunghezza più appropriata di un vestito o la corporatura adatta ad indossarne altri (questa battuta, in particolare, come se fosse uno slogan pubblicitario).

L’ultimo intervento dello speaker prima della pausa potrebbe essere definito di carattere normativo, cioè mirante a delineare la buona educazione e il comportamento che un uomo deve tenere nei confronti di una donna. L’ingresso di uno strillone chiude questa prima parte dell’opera.

La figura femminile che emerge dalle ultime battute dei personaggi presenta l’immagine di una donna relegata alla cura della casa e della famiglia, una donna la cui bellezza deve obbedire a certi importanti accorgimenti. Ma ciò che colpisce, e che appare, pur nell’ironia del risultato complessivo, inquietante, è che gran parte delle limitazioni all’azione femminile giungono dalle donne: A (il cui sesso è desumibile dalla sua prima battuta) vede nella donne le colpe delle crisi dei rapporti di coppia, C, prima dell’uscita di corsa dalla scena, delinea il tipo di donna più adatto ad indossare un determinato capo di vestiario (così sembra di capire dalla parola «indicata»), riferendosi al corpo «quasi asessuato e dalle lunghe gambe» (e la sua fuga potrebbe essere interpretabile come una sorta di risposta alla limitazione appena enunciata, una fuga dal proprio corpo perché non adatto). È come se le donne avessero introiettato i messaggi prodotti dalla società dei consumi, è come se esse non solo cercassero di omologarsi all’immagine che di loro la società cerca di dare, ma avessero assimilati i limiti e le colpe che la società attribuisce loro, pronte ad imporre quei limiti e attribuire quelle colpe ad altre attorno a loro e dopo di loro.

Ketty La Rocca, Dal momento in cui, 1970. Courtesy Archivio Ketty La Rocca, Firenze

Dopo la pausa, ecco che riprendono a susseguirsi temi nuovi e già trattati, come il rapporto padre-figlio, portato avanti in quello che sembra un vero e proprio dialogo ad una persona, con A che, intervallata dallo speaker, prende le parti di uno e dell’altro. Proprio attraverso lo speaker entrano in scena pezzi di storia contemporanea, come la missione lunare del Ranger sette del 1964, pubblicità di medicinali, notizie di storia antica, regolamentazione di un gioco di carte che sembrerebbe essere il bridge, pseudo-interviste da inviati all’estero che parlano di igiene intima, etc. I personaggi sembrano essere ricettivi a queste intromissioni, e alle volte prendono la parola portando avanti i temi o gli slogan pubblicitari presentati dalla voce meccanica, come quando A e B, riprendendo la pubblicità dei medicinali, stilano un elenco di farmaci. È l’unica volta in cui i due si sintonizzano sullo stesso argomento. I personaggi sono degli amplificatori della realtà: non sono essi che ascoltano la realtà, ma sono essi ad essere parlati dalla realtà. Nella società dei media, l’essere umano è un medium.

L’ultimo intervento dello speaker è una parodia delle pompose e vuote formule burocratiche (già chiaro il «dichiaratamente affermare» dell’incipit), parodia che ricorda la già citata Dal momento in cui che, non è un caso, è dello stesso periodo della Storia che ha commosso il mondo (entrambe del 1970).

Il testo si chiude, dopo il risuonare de Il ragazzo della via Gluck cantata da Celentano, «con una tipica frase da epica cinematografica»:[17] «La Metro Goldwin Majer è fiera di presentare su tutti gli schermi la storia che ha commosso il mondo».

Sul finire dell’opera accade qualcosa al sorriso che ha animato il volto dello spettatore durante questa scanzonata danza al ritmo confusionario di slogan, pubblicità e notizie di costume, sorriso che, a detta di due degli attori presenti alla messa in scena dell’opera, Mauro Barbiero e Aldo Gentileschi (che ringrazio per il gentile colloquio concessomi), ha coinvolto il pubblico, che pareva gustare la continua sovrapposizione di battute sconnesse e rimbalzate tra altoparlanti e personaggi. La canzone di Celentano, con la sua famosa battuta d’apertura («questa è la storia di uno di noi»), sembra infatti ricordare ai lettori che il grottesco e disorientante spettacolo cui hanno assistito è in realtà la loro esistenza, un’esistenza dove gli individui, soverchiati da una spirale di parole, sono, essenzialmente, soli.

Per meglio contestualizzare l’operazione teatrale della Storia, prendiamo le parole con le quali Miccini apre il numero di Teatro 1, dove è riportato il testo di Ketty La Rocca.

 

Mai come in questi tempi le istituzioni hanno subito profonde metamorfosi, se non addirittura mutazioni genetiche. Il teatro, prima fra tutte, entra in questa storia, anzitutto di figli che divorano i padri: cinema e televisione, i carnefici. […] La crisi, per dir così, del teatro si trasferisce dall’istituzione ad uno degli elementi, appunto, del rituale: il luogo. Una nuova tipologia drammatica rifiuta il luogo deputato con tutti i suoi tradizionali privilegi. Il teatro “apre” verso spazi meno “teatrali”. […] Il lettore vedrà agevolmente come l’abbandono del “tempio”, cioè di quello spazio “magico” nel quale si svolge l’azione scenica, è qui riconfermato o decisamente negato, sia che si propongano trasgressioni istituzionali e rituali o topologiche, sia che si tentino contaminazioni o interazioni e perfino atti di aperta o sorniona “sfiducia” verso il teatro.[18]

 

I testi del volume ricercano un teatro che non può più essere se stesso, ma deve evolversi, ibridarsi, in primo luogo abbandonando il palcoscenico.[19] Ma questa desacralizzazione, come evidenzia lo stesso Miccini, non sempre è ottenuta attraverso una dislocazione, e il caso di Ketty La Rocca è emblematico. La distruzione del teatro, infatti, non avviene attraverso una fuga dalle sue stanze e una sua ricreazione in ambienti altri, ma dall’interno, attraverso una corrosiva decostruzione drammaturgica: la trama è ridotta a quadri dialogici, i personaggi sono individui celati dietro lettere, e, soprattutto, la scena è inondata da pubblicità, spot, notizie, da tutti quegli elementi di una trita quotidianità che portati sul palcoscenico ne dissacrano l’immagine. La sacralità del tempio è ottenuta non fuggendo da esso, ma aprendo le sue porte.

Punti di contatto li troviamo anche nelle pièce di artisti che orbitano in vario modo attorno al gruppo 70, come dimostra SpaSaMiòLiPi, un collage dei testi di Spatola, Sanguineti, Miccini, Bonito Oliva, Pignotti. Tutte le opere sembrano mettere in scena lo spaesamento dell’uomo moderno che vive accerchiato da pubblicità, informazioni, notizie, spesso in contraddizione tra loro, ripetute spasmodicamente dai mass media.[20] Interessante, in particolare, Public Eden di Bonito Oliva (del 1965), riproposto integralmente anche nel volume Teatro 1, dove un solo personaggio, che entra sul palco nudo, compie gesti quotidiani come radersi la barba ascoltando notizie provenienti da un registratore. Saltano all’occhio alcune componenti che ritroveremo ne La storia che ha commosso il mondo, come voci anonime provenienti da altoparlanti e la pervasività assordante dei mass media e degli slogan commerciali. Inoltre, le prime parole che escono dal registratore sono: «In principio erano le tenebre e il verbo-Pubblicità era presso di lui», con questa riscrittura della creazione in chiave tecnologico-capitalistica presente anche nella Storia.

Sembra dunque che l’opera dell’artista fiorentina si sia nutrita di riflessioni sulle relazioni tra linguaggio, mass media e società dei consumi che animavano l’ambiente culturale da lei frequentato, e lo spirito di ricerca che elettrizzava la scena teatrale italiana degli anni Sessanta e Settanta. A proposito di questo, è stato detto che il corpo umano è senz’altro uno dei fulcri attorno a cui si muove il Nuovo teatro di questi anni.[21] E ciò è vero anche per La storia che ha commosso il mondo, solo che non si tratta di una corporalità fisiologica e biologica, ma della rappresentazione di un linguaggio che prende corpo attraverso personaggi anonimi (A, B, C), e altoparlanti evanescenti. Il corpo che vediamo è il corpo del linguaggio. E in questo senso mi pare che l’opera teatrale sia coerentemente inserita nella produzione dell’artista e che anzi ci aiuti a comprendere questa fase della sua attività: non sono le lettere in pvc prodotte nel 1969-1970 il tentativo di dare corpo al linguaggio? Non è forse In principio erat, del 1971, il tentativo di cercare il linguaggio nel corpo? E non sono le Riduzioni (1971-74), dove fotografie e immagini di statue, monumenti, vedute e icone vengono erose e riconfigurate sostituendo la parola all’immagine, la rappresentazione di un linguaggio che diviene architettura e corpo? E non è lo stesso processo che sta alla base delle Craniologie (1973)? Mi sembra, insomma, che La storia che ha commosso il mondo mostri uno dei nodi centrali della produzione dell’artista: la dicotomia tra linguaggio e corpo, la costante lotta tra un linguaggio che vuol farsi corpo e un corpo che vuol farsi linguaggio.

 


1 Si ricordano, limitandosi ai contributi più recenti, L. Cozzi, ‘Notes on the Index, Continued: Italian Feminism and the Art of Mirella Bentivoglio and Ketty La Rocca’, Cahiers d’études italiennes, n. 16, 2013, pp. 213-234; E. Patti, G. Pieri, ‘Technological Poetry: Interconnections between Impegno, Media and Gender in Gruppo 70 (1963-1968)’, Italian Studies, 72, 3, pp. 323-337; R. Perna, ‘Il corpo e la parola’, FlashArt, n. 339, vol. 51, maggio-giugno 2018, pp. 64-69; F. Gallo, R. Perna (a cura di), Ketty La Rocca. Nuovi Studi, Milano, Postmedia Book, 2015.

2 La giornata, intitolata Ketty La Rocca: le mie parole. Azione, parola, immagini della neoavanguardia a Firenze, ha visto la messa in scena della performance Le mie parole e tu? e dell’atto unico La storia che ha commosso il mondo, a cura di Maurizio Faggi e con gli attori: Mauro Barbiero, Giulia Costanza Colucci, Ilaria Filipponi, Aldo Gentileschi, Cristiana Ionda, Livia Maddalena, Daniela Tamborino. Inoltre, sono intervenuti Renzo Guardenti, Gianni Pettena e Lucilla Saccà.

3 L. Saccà, ‘La vita è un’altra cosa’, in L. Saccà (a cura di), Omaggio a Ketty La Rocca, Pisa, Pacini Editore, 2001, p. 21.

4 G. Dorfles, ‘Introduzione’, in K. La Rocca, In principio erat, Firenze, Centro Di, 1971, p. 1.

5 Questo numero della rivista non presenta una numerazione per le pagine.

6 L. Mango, La scrittura scenica. Un codice e le sue pratiche nel teatro del Novecento, Roma, Bulzoni, 2003, pp. 75-124. La ‘decostruzione’ è l’atto che contraddistingue ogni produzione teatrale (e artistica) del secondo Novecento.

7 L’urgenza di una simile rilettura che diffonda e valorizzi questo testo è palesata anche da due pubblicazioni internazionali: A. Stepken (a cura di), You Ketty La Rocca, Works and Writings (1964-1976), Berlino, Revolver, 2017, che sceglie di non riportare questo testo, e K. La Rocca, Supplica per un’appendice, Texte 1962-1976, Berlino, Archive books, 2012, un’antologia degli scritti tradotti in tedesco che riporta La storia (pp. 23-26) con la medesima lacuna evidenziata nei testi italiani.

8 Courtesy Archivio Ketty La Rocca, Firenze.

9 Con questa battuta (compresa) inizia la parte presente in ‘Tèchne’ ma non riportata nei testi citati.

10 Qui termina la sezione presente in ‘Tèchne’ ma non riportata nei testi citati, nei quali la battuta è comunque attribuita ad A.

11 M. Merleau-Ponty, Senso e non senso, trad. it. di P. Caruso, Milano, Il saggiatore, 2016, pp. 151-152.

12 Ricordiamo il già citato In principio erat, un’opera che, riprendendo l’incipit del Vangelo di Giovanni, poneva l’attenzione sul linguaggio gestuale, sostituendo nella copertina del volume la parola «Verbum» con la foto di due mani raccolte. Sottolineiamo inoltre come i passi biblici che contengono queste due espressioni presentino degli elementi comuni. Genesi 1-3: «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: “Sia la luce”. E la luce fù». Vangelo di Giovanni 1-5: «In principio era il Verbo, / e il Verbo era presso Dio / e il verbo era Dio. / Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui / e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. / In lui era la vita / e la vita era la luce degli uomini; / la luce splende nelle tenebre / e le tenebre non l’hanno vinta».

13 R. Moratto, ‘Note sulla produzione poetica di Ketty La Rocca’, in L. Saccà (a cura di), Omaggio a Ketty La Rocca, pp. 177-178. La tecnica del collage, interpretata dall’artista componendo parole, frasi, immagini fotografiche e incollando tutto su fogli, è legata all’esperienza della poesia visiva. Questa tecnica era utilizzata da tutto il Gruppo 70 (fondatori Pignotti e Miccini), alle attività del quale La Rocca collaborò dal 1966 al 1968. Cfr. L. Saccà (a cura di), Omaggio a Ketty La Rocca, pp. 29-30; E. Del Becaro, Intermedialità al femminile: l’opera di Ketty La Rocca, Milano, Electa, 2008, pp. 29-112; A. De Pirro, ‘S.O.S. Salvate l’umanità. Ketty La Rocca e la poesia visiva’, in F. Gallo, R. Perna (a cura di), Ketty La Rocca. Nuovi studi, pp. 11-38.

14 Il collage è composto dal volto di una modella, dei trucchi e le scritte «trazione anteriore» e sotto «dopo i piatti / dopo il bucato / dopo i lavori / domestici», rimarcando l’immagine della donna casalinga che, dopo essersi occupata della casa, deve presentarsi bella al marito di ritorno dal lavoro.

15 Collage in cui l’immagine di una donna che rivolge allo spettatore il suo viso e la sua schiena scoperta campeggia sopra un gruppo di bambini che mangiano seduti per terra, il tutto sotto al titolo dell’opera.

16 R. Moratto, Note sulla produzione poetica di Ketty La Rocca, p. 178. Pregnanti anche le parole di Miccini, che nell’introduzione al testo parla del teatro come possibilità di ritrovare «coscienza di una vita di relazione anche linguisticamente alienata», E. Miccini, in Teatro 1, Firenze, 1970 (suppl. a ‘Tèchne’). Il testo non ha un titolo, ma assurge al ruolo di presentazione della raccolta dei testi.

17 R. Moratto, Note sulla produzione poetica di Ketty La Rocca, p. 178.

18 E. Miccini, in Teatro 1.

19 Si ricordino a tal proposito le esperienze dell’Odin Teatret o delle cantine romane.

20 I testi sono: A. Spatola, Dodici schede e musica, E. Sanguineti, K., E. Miccini, Notiziario, A. Bonito Oliva, Public Eden, L. Pignotti, Un sentimento di sicurezza, Id., I temi cari alla sinistra italiana, Id., Non credo che il suo cuore sia libero. Si veda anche la breve descrizione in S. Margiotta, Il Nuovo teatro in Italia 1968-1975, Corazzano, Titivillus, 2013, pp. 62-63.

21 Lo riassume brevemente S. Margiotta, Il Nuovo teatro in Italia 1968-1975, pp. 13-14. Per una trattazione più approfondita si veda G. Bartolucci, Teatro-corpo. Teatro-immagine, Padova, Marsilio, 1970.