Photocall. Attrici e attori del cinema italiano, a cura di Giulia Carluccio e Domenico De Gaetano

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Per il pubblico più cinefilo e per gli habitué dei festival cinematografici, Torino è da sempre la città senza red carpet. Per porre fine a questi e ad altri stereotipi era forse necessario attendere la mostra Photocall. Attrici e attori del cinema italiano, curata da Domenico De Gaetano e Giulia Carluccio, con la collaborazione di Roberta Basano, Gianna Chiapello, Claudia Gianetto e Maria Paola Pierini. Fino al 7 marzo 2022, infatti, la Mole Antonelliana ospiterà al suo interno un lungo tappeto rosso sul quale sfileranno idealmente attrici e attori della storia del cinema nostrano, immortalati nel corso di più di un secolo dallo sguardo dei fotografi e delle fotografe di cinema. Come ricordano gli stessi curatori della mostra, è proprio lo sguardo ad essere al centro dell’intero percorso espositivo, in «un gioco di rimandi […] che questa volta non muove dalla relazione tra attore e regista, ma si attiva a partire da quella più segreta e peculiare che coinvolge l’attore e il fotografo».[1] Ripercorrendo l’evoluzione di una figura professionale centrale per l’industria cinematografica si esplorano dunque, parallelamente, la nostra storia sociale e culturale, ma anche la storia del cinema e del divismo italiani. Si tocca con mano, in sostanza, l’idea teorizzata da Roland Barthes di una lunga «esposizione ben organizzata» di «visi archetipi», di miti creati e diffusi dal cinema a uso e consumo dello spettatore.[2]

Giunti all’interno della Mole, nell’Aula del Tempio, gli spettatori si trovano immersi nell’atmosfera glamour del red carpet, tra specchi e scatti fotografici che ‘scintillano’ lungo l’installazione che ospita le fotografie di Sabina Filice. I volti più noti del grande schermo sfilano così al fianco dei visitatori e li accompagnano all’ingresso del percorso espositivo: un vero e proprio «viaggio nella memoria, a ritroso nel tempo».[3]

Il lungo ‘flashback’ ha inizio con un omaggio a Raffaella Carrà, scomparsa alcune settimane prima dell’inaugurazione della mostra. I ritratti della cantante, attrice e soubrette scattati da Angelo Frontoni anticipano l’atmosfera, i colori, le composizioni fotografiche della seconda sezione, intitolata Dive Pop/Italian Men. Le attrici e gli attori del cinema italiano contemporaneo che dominano la prima parte del percorso espositivo passano dunque il testimone alle colorate dive pop degli anni Sessanta e Settanta; visi e corpi che prendono vita grazie al ricco Fondo Frontoni della Cineteca Nazionale e del Museo Nazionale del Cinema. Ma Frontoni non è stato unicamente il ‘fotografo delle dive’, e a dimostrarlo è la suggestiva galleria di Italian Men; il bianco e nero di questi ritratti dona ulteriore risalto al fascino immortale di divi e attori degli anni Cinquanta e Sessanta e ci traghetta nella terza sezione della mostra dedicata ai volti del secondo dopoguerra. È proprio negli anni Quaranta, peraltro, che il cinema e la fotografia acuiscono il loro legame e si influenzano vicendevolmente. È in particolare il Neorealismo a porre l’accento su una nuova drammaturgia dello scatto fotografico che vede la «messa in scena dell’individuo nella cornice della Storia»,[4] e a creare nuove forme divistiche in grado di coniugare tradizione e innovazione.

Procedendo nella visita, si scopre che cartoline, fotografie di scena, brochure pubblicitarie e riviste di settore sono soltanto alcuni tra i numerosi materiali raccolti da Maria Adriana Prolo e dedicati al cinema muto italiano tra anni Dieci e Venti. È in questo quarto segmento della mostra che si fa particolarmente evidente la natura della fotografia vista come «tassello della memoria del cinema italiano»,[5] in quanto strumento di indagine del film in grado «di identificare opere sconosciute, di individuare gli attori e talvolta anche altri ruoli della troupe […], ricostruire il corretto ordine di montaggio di materiali manipolati e mutilati nel corso del tempo».[6] Qui lo spettatore assiste inoltre al crescente protagonismo delle prime star cinematografiche: ritratti di dive e divi, sovente immortalati con visi marcati dai «signes excessifs de l’existence»,[7] si alternano alle fotografie scattate sul set tra gli anni Venti e Trenta. Ci si imbatte in queste ultime attraverso il lavoro di Aurelio Pesce, fotografo di scena italiano ingaggiato per il primo film sonoro La canzone dell’amore (G. Righelli, 1930). Come ha notato Barbara Grespi, in questi primi scatti sul set l’immagine degli attori è dislocata, scultorea, «‘condensa e distilla una sceneggiatura in un’immagine leggibile’, e così facendo altera molti materiali»[8] tra cui i vestiti, le espressioni, i gesti, i corpi stessi degli interpreti.[9]

Il percorso a ritroso nella storia del cinema italiano continua con una sezione che ospita progetti artistici di fotografi contemporanei. Tra i più suggestivi troviamo senz’altro Prove di libertà di Riccardo Ghilardi, un reportage che ci riporta repentinamente e con una certa inquietudine ai mesi del lockdown. Durante la pandemia ci siamo abituati a vedere i volti noti del cinema italiano in un contesto domestico, familiare. Abbiamo imparato a riconoscere libri, quadri, soprammobili dei nostri beniamini e abbiamo visto attori gioire, soli e dinnanzi alla webcam, per un premio ricevuto ad un festival. Ghilardi ci mostra dall’interno questa solitudine, allontanandosi dai ‘ritratti comodi’ per entrare nell’intimità delle case dei soggetti ripresi e immortalando così l’attesa e l’ansia, espressa da un intero settore, di ripartire e tornare nuovamente sul set.

L’itinerario della mostra si chiude con una sezione intitolata Peep Show che ragiona sull’allargamento del visibile, nonché sul rapporto di fiducia che si viene a creare, negli anni, tra fotografo e divo. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo i corpi delle attrici esplodono, spogliati, sulle pagine di riviste maschili e sui grandi schermi. Laura Antonelli, Nadia Cassini, Eleonora Giorgi, Edwige Fenech sono le protagoniste di alcuni celebri servizi di Angelo Frontoni, qui riproposti, apparsi su Playboy e su altri periodici in voga all’epoca.

Il percorso non può dirsi concluso senza una passeggiata lungo la cancellata che circonda la Mole Antonelliana e che ospita Brivido Pop di Marco Innocenti; un progetto che riunisce, come in una conversazione impossibile, attori e personaggi di epoche, spazi, materie differenti. Così, come in un collage di Mimmo Rotella, possiamo imbatterci facilmente e senza troppo stupore in un Marcello Rubini attorniato al contempo dalla Marilyn di Playboy, da Jessica Rabbit e dalla Maja desnuda di Goya.

Attendono infine gli spettatori dieci gigantografie, dieci coppie di attori, registi, divi della storia del cinema italiano «accarezzati dallo sguardo lusingatore di Angelo Frontoni» – così Franco Zeffirelli definiva il lavoro del fotografo – che svettano tra le colonne del cortile d’onore del Rettorato dell’Università di Torino. I volti grandiosi di Marcello Mastroianni, Catherine Deneuve, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Giulietta Masina, Federico Fellini, Mariangela Melato, Giancarlo Giannini ci appaiono lontani e irraggiungibili nella loro maestosità ma, come afferma Mariapaola Pierini, «ci danno sempre e comunque una percezione di vicinanza»[10] e ci ricordano insistentemente la nostra natura di spettatori, qualora ce ne fossimo dimenticati.

Nell’ultimo periodo attrici e attori italiani sono tornati sulle barricate per difendere i diritti di una categoria colpita duramente dall’emergenza sanitaria e hanno finalmente raggiunto importanti (e antichi) obiettivi legati alla tutela e al riconoscimento del loro ruolo professionale. La carrellata di volti proposta in Photocall ci invita, sottotraccia, a riflettere anche su queste più recenti e fondamentali conquiste della categoria attoriale e sui nuovi scenari che si prospettano nell’era post-pandemica.

 

 

1 G. Carluccio, D. De Gaetano (a cura di), Photocall. Attrici e attori del cinema italiano. Introduzione alla mostra, 2021, p. 12, catalogo online disponibile al link <https://photocall.museocinema.it/catalogo-1/#p=1> [accessed 15.10.2021].

2 R. Barthes, Visi e facce, in Id., Scritti. Società testo comunicazione, a cura di G. Marrone, Torino, Einaudi, 1998, pp. 143-144.

3 G. Carluccio, D. De Gaetano (a cura di), Photocall, p. 14.

4 B. Grespi, Cinema fotografato. Film neorealisti e cultura fotografica nel dopoguerra italiano, in E. Menduni, L. Marmo (a cura di), Fotografia e culture visuali del XXI secolo, Roma, Roma TrE-Press, 2018, p. 428.

5 M. Pierini, Fotografare i divi: rivelare e celare, in G. Carluccio, D. De Gaetano (a cura di), Photocall, p. 27.

6 C. Gianetto, Fotografia: linfa vitale del divismo e fonte preziosa del restauro cinematografico, in G. Carluccio, D. De Gaetano (a cura di), Photocall, p. 32.

7 R. Barthes, Visages et figures, «Esprit», luglio 1953, p. 3.

8 B. Grespi, Cinema fotografato.

9 Cfr. D. Campany, Once More for Stills, in C. Schifferli (a cura di), Paper Dreams. The Lost Art of Hollywood Stills Photography, Göttingen, Steidl, 2006, pp. 7-13.

10 M. Pierini, Fotografare i divi, p. 26.