Romeo Castellucci, Neither

di

     

 

Va e vieni nell’ombra dall’ombra interna a quella esterna
dall’io impenetrabile all’impenetrabile non-io attraverso né l’uno né l’altro
come tra due rifugi illuminati le cui porte una volta che ci si avvicina si chiudono dolcemente; non appena
ci si allontana si schiudono ancora con dolcezza
chiamato e richiamato e rimandato via
incurante del cammino, assorto a questo bagliore o all’altro
inavvertito rumore di passi unico suono
poi finalmente fermo davvero, davvero assente da sé e dall’altro
allora nessun suono
allora dolcemente la luce che non svanisce su quell’inavvertito né l’uno né l’altro
dimora indicibile.

 

87 parole distribuite in dieci enunciati che esprimono in un moto oscillatorio l’errare senza meta da interno a esterno, da sé a non sé, da luce a ombra per arrivare a una «dimora indicibile» che dice tutto e niente. Questo il ‘libretto’ di Neither che Samuel Beckett scrisse nel 1976 su richiesta del compositore Morton Feldman per una nuova ‘anti-opera’ senza trama, scenografia, protagonisti, ma neppure parole.

Il testo di Beckett, infatti, affidato agli acuti vocalizzi di una voce sopranile, non è intellegibile: la parola viene negata al canto, divenuto qui mera sostanza sonora inserita in un tessuto orchestrale che si declina in varianti paratattiche che si ripetono senza possibilità di sviluppo. Una musica sempre al limite di dire o tacere, ma che in definitiva né dice né tace. Né l’uno né l’altro.

Neither va in scena per la prima volta a Roma nel 1977 e sebbene si tratti di una composizione atipica e di difficile fruizione è stata oggetto di una recente riproposta nell’ambito di festival dedicati alla musica contemporanea; prima al Festival d’Automne di Parigi nel 2007, ora alla Ruhrtriennale.

Romeo Castellucci firma una nuova produzione scenica destinata all’affascinante Jahrunderthalle, la monumentale ex acciaieria di Bochum che con le sue arcate di vetro e metallo ha l’impatto di una cattedrale postindustriale. Castellucci sfrutta le potenzialità dell’ambiente illuminandolo dall’alto con fasci di luce lattigginosa che esaltano la verticalità dello spazio e delle serie musicali creando l’atmosfera di un nonluogo.

Il regista inserisce un prologo originale (né musica né parole, ma sopratitoli che rendono il tutto fruibile) in cui rappresenta il cosiddetto ‘paradosso del gatto’ del fisico Erwin Schroedinger, ovvero un esperimento mentale secondo cui un gatto chiuso in una scatola con del veleno collegato a un contatore geiger può essere contemporaneamente vivo o morto, o meglio né l’uno né l’altro. Una donna con una bimba in braccio assiste di spalle all’esperimento, un gatto vero scappa via, uno esanime di peluche viene sbattuto sul tavolo. In un interno borghese anni ’40 viene ripetuta tre volte la scena di un omicidio con finali diversi.

Inizia l’opera.

La prima parte dello spettacolo procede per brevi ed enigmatiche sequenze da film poliziesco: dopo l’omicidio, una macchina nera avanza nel buio, dei gangster rapiscono la bambina, mentre la madre rimane sola, sicuramente straziata. Castellucci mette in scena un poliziesco senza plot e la scelta registica trova più di un’assonanza con la musica di Feldman, priva di direzione, ma piena d’atmosfera come un noir dalla trama ingarbugliata.

Musica e teatro funzionano nell’iterazione della variante, ma l’indulgere in immagini teatrali dominanti, di volta in volta iperrealistiche, surreali, grottesche, drammatiche, rende la cesura fra la componente scenica e quella musicale sempre più forte: la scena distoglie dalla musica e la musica non trova corrispettivi sulla scena. O l’uno o l’altro.

La bimba rapita è poi una bambola che, sottoposta da un’équipe medica ad autopsia e smembrata, diventa una gamba. La madre urla di dolore davanti a una statua che sputa fumo, un cane amichevole le offre forse conforto, un cavallo si muove in una surreale e cinerea lontananza.

L’inevitabile tentazione di stabilire nessi narrativi e l’eccesso di immagini limitano gli echi incantatori emanati da voce e orchestra. La presenza di animali veri conferisce fisicità, naturalismo e dinamica, ma stride con una musica bloccata in un movimento immobile, in una gradazione di ombre che si affastellano le une accanto alle altre senza sviluppo.

Una fotografia in bianco e nero di un quadro di Rothko ingrandita a dismisura sarebbe la giusta immagine per l’universo sonoro di Feldman. Qui si sfiora il mélo, come nell’epilogo: dal fondo della scena arriva un treno mugghiante che sembra vero, di nero ferro con un occhio di fuoco, una locomotiva lanciata contro gli spettatori. Il treno si ferma ad un passo dallo schianto, mentre le prime file di platea (con il pubblico sopra), si muovono su binari verso il centro della scena come un iceberg alla deriva. Il movimento della platea genera autentica sorpresa ed il suo successivo arretrare lascia intravedere una donna amputata colta nel suo grido disperato e muto.

Saltellando su una gamba sola la donna esce di scena nell’immenso silenzio grigio, mentre i macchinisti dal volto coperto di fuliggine posizionano la gamba davanti a un microfono. Sarà questa l’indicibile dimora?

Se il concept non convince del tutto, la realizzazione dello spettacolo è inappuntabile: movimento scenico curato nei dettagli, uso preciso e suggestivo delle luci con reminiscenze wilsoniane, scene e attrezzerie iperrealistiche di forte impatto - effetti speciali compresi. Momenti di eccellenza anche sul fronte musicale: Emilio Pomàrico intrattiene un rapporto privilegiato con la musica di Feldman e ciò si percepisce grazie a una direzione che fa letteralmente respirare l’orchestra, l’eccellente Duisburger Philarmoniker, posta in una navata laterale della Halle da cui sgorgano luminose e dense armonie cariche di tensione compressa. Laura Aikin è artista versatile capace di spaziare dal repertorio operistico classico alla musica contemporanea. La voce luminosa, dalla linea di canto particolarmente ferma, sostiene senza sforzi gli estenuanti ed acuti vocalizzi e sfuma in pianissimi alle soglie del silenzio con un giusto senso del chiaroscuro. Pur essendo un’opera senza soggetto la voce tradisce una partecipazione emotiva alla sofferenza di una scelta impossibile.

La dimora indicibile è qui. Forse.

 

 

 

Neither (1977)

Libretto di Samuel Beckett

La madre (soprano): Laura Aikin

Direzione musicale: Emilio Pomàrico

Regia: Romeo Castellucci

Collaboratore alla regia: Silvia Costa

Drammaturgia: Piersandra Di Matteo, Stephan Buchberger

Collaboratore alle scene: Mechthild Feuerstein

Collaboratore alle luci: Giulio Bernardi

Collaboratore ai costumi: Charlotte Pistorius

Sound design: Holger Schwark

Assistenza musicale: Leonhard Garms

Sculture e maschere: Istvan Zimmermann/Plastikart Studio

Comparse: Beatrix Feldmann

Direttore scena: Jens Fischer

Addestratori animali: Gatto Abatutu, Cane Lola: Sabine van der Helm

Cavallo Senor Santos: Gregor Schmaus

 

Duisburger Philarmoniker

Ruhrtriennale, Jahrhunderthalle Bochum