Il collettivo tedesco Rimini Protokoll è costituito da tre autori-direttori che lavorano in squadra dal 2000 – pur potendo scegliere se lavorare da soli, in due o in tre – e firmano insieme le loro creazioni dal 2002: Helgard Kim Haug e Daniel Wetzel provengono dalla Germania, mentre Stefan Kaegi proviene dalla Svizzera, dove ha studiato alla F+F art school di Zurigo. Si sono incontrati frequentando il corso in «Applied theatre science and performance studies» presso l’Institut für Angewandte Theaterwissenschaften dell’Università di Gießen, concentrandosi sullo sviluppo dei mezzi espressivi del teatro per stimolare nuovi sguardi sulla realtà.
Le loro produzioni spaziano dal teatro documentario al radiodramma alla performance in ambiente urbano, con diverse varianti di collaborazioni e partnership; in particolare, ingaggiando persone e fenomeni del mondo contemporaneo che non fanno parte del professionismo teatrale e/o non sono conosciuti al grande pubblico, indicandoli col nome di experts. Fra le produzioni più note (solo per citarne alcune): Bruswick Airport (2004),[1] Calcutta in a box (2008),[2] 100% City (2010),[3] Remote X[4] e Situation Rooms[5] (2013).
Attraverso performance immersive, partecipative ed interattive, Rimini Protokoll cercano di ri-definire lentamente i confini della pratica del teatro occidentale, focalizzandosi sulla ricerca di un teatro in cui l’attore (non professionista) racconti la propria esperienza relativamente ad un tema dato e il pubblico partecipi in maniera sempre più attiva all’evento, secondo varie modalità previste dagli autori. Lo spazio del teatro non è necessariamente un luogo fisso, ma itinerante, e le loro performance possono includere il camminare, danzare, persino guidare un camion e simulare un volo, alla scoperta di un teatro democratico in cui tutti (attori/spettatori) siano coinvolti nella stessa misura, stabilendo relazioni nuove e coinvolgendo ogni tipo di stimolazione sensoriale. Tali relazioni sono comunque temporanee e la cifra dell’instabilità percorre tutte le loro creazioni; l’obiettivo di queste pratiche non è tanto stabilire nuove strutture di riferimento, quanto provocare un sistema di strategie comunicative in un gruppo che può sciogliersi e riorganizzarsi in qualsiasi momento, secondo modalità simili a quelle del gioco. In tale contesto, il concetto di autorialità è flessibile: gli autori ideano, selezionano e montano l’intero lavoro, ma l’obiettivo della performance è raggiunto in stretta collaborazione con gli experts o, come negli ultimi lavori, con il solo pubblico, secondo uno sviluppo che non è drammatico, ma narrativo, essendo prodotto dalla combinazione fra codici dello spettacolo trattati in maniera equivalente. Per questo e per altre caratteristiche che approfondiremo in seguito, possiamo considerare il lavoro di Rimini Protokoll inscrivibile nella macroarea del teatro performativo, che include molti lavori e produzioni del nostro tempo, pur affondando le radici nella tradizione del teatro europeo.
In questa sede, pubblichiamo l’intervista esclusiva concessa alla sottoscritta da Helgard Kim Haug e da me trascritta e tradotta, in occasione della conferenza-spettacolo dal titolo «Home visit Europe:[6] cronaca di uno spettacolo internazionale dei Rimini Protokoll (Berlino)» che ha avuto luogo l’11 maggio 2011 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano coordinata da me e da Valentina Kastlunger di Zona K durante il Convegno internazionale Identità europea. Diritto, storia, cultura artistica e teatrale (11-12 maggio 2017, Università Cattolica del Sacro Cuore, Biblioteca Ambrosiana di Milano). La performance in oggetto, rispondendo ad un progetto su commissione e nel cinquantesimo anniversario dei Trattati di Parigi, si è svolta a Milano (dopo tour europeo e addirittura mondiale ancora in corso) ospite del centro artistico-culturale Zona K, nell’ambito della rassegna artistico-teatrale Focus Democracy, che ha visto lo spazio milanese promuovere vari eventi sul tema, tra i mesi di marzo e giugno del 2017. Il link specifico del progetto (http://www.homevisiteurope.org/it/index.php?id=2) permette di seguirne modalità e sviluppo nella complessa rete di performance domestiche itineranti in Europa e nel mondo.
Arianna Frattali: Partiamo dalla scelta dei temi: perché riflettere sul concetto di Europa e sull’identità europea in questo specifico momento storico?
Helgard Kim Haug: Si tratta di una sorta di ‘lavoro su commissione’: House of Fire - rete costituita da dieci teatri europei — ci ha chiesto se ci sarebbe piaciuto lavorare sul tema ‘Europa’ e creare un progetto che potesse viaggiare attraverso tutti e dieci i paesi partner. La nostra prima reazione non è stata di entusiasmo, anche se i semi erano piantati nelle nostre menti e iniziavano a germogliare. Noi abbiamo incontrato in seguito molte persone che stavano lavorando per l’Unione Europea ed è stato assolutamente affascinante farsi un’idea del loro lavoro: obiettivi, regole, routine di tutti i giorni. L’immagine della grande tavola con ventotto rappresentanti differenti di ventotto paesi diversi riuniti intorno ad essa è stata molto impressionante. E, dall’altra parte, tu immagini l’esteso paesaggio di ventotto differenti paesi distanti fra loro e, se parli di Europa, la maggior parte delle persone si lamenta, o non elogia il tentativo o l’idea di unione. Penso che questo campo di tensione ci spinga a pensare di lasciare l’Europa organizzata ed istituzionale per provare ad entrare in una microcella, un ambiente privato con un impatto visivo simile: un largo tavolo e alcune questioni da discutere. Da là in poi, noi abbiamo avuto molte repliche con ambienti e strutture di gioco sempre diverse: una persona/protagonista, nei differenti paesi europei, come padrone di casa vicino al tavolo, con alcuni testi ed azioni predisposti, intervenendo solo con un Maestro di Cerimonie locale e un assistente del nostro staff. In un secondo momento, abbiamo esteso il gioco in Egitto e Nord America e siamo sul punto di creare una versione per l’Australia, quindi abbiamo preso l’Europa come questione iniziale, ma la riflessione è sull’individuo in relazione con la struttura politica e la società.
A. F.: Qual è – secondo voi - il ruolo del teatro e delle arti performative nella società?
H.K. H.: Mi piace sempre il teatro o l’arte in genere quando insiste su una domanda di fondo. Quando ti trovi in uno spazio dove puoi domandare «Cosa accadrebbe se…», dove puoi scuotere ed accendere pensieri, dove puoi permettere a te stesso di guardare con occhi differenti, da differenti prospettive. Anche se il nostro lavoro è qualcosa di basato sulla realtà io penso che il motivo per cui lo portiamo in teatro sia perché può entrare così nel campo dell’immaginazione e dell’utopia. Questa mescolanza rappresenta un grande potenziale!
A. F.: Nel vostro teatro l’attore non è professionista, ma proviene dalla ‘vita reale’, il pubblico è coinvolto nell’azione drammatica a vari livelli ed il concetto di autorialità è flessibile. Ho scelto tre punti di snodo del vostro percorso artistico: Bodenprope Kazachstan (Venezia, 2011), Remote X (2013), Home visit Europe (2015) in cui questi tre aspetti si radicalizzano sempre più. Nelle ultime due performances, in particolare, spariscono anche gli experts per lasciare agire totalmente lo spettatore: perché questa scelta?
H.K. H.: Molte volte abbiamo sperimentato tanto sulla questione del come sia possibile creare un lavoro partecipativo, ma senza esporre singoli individui del pubblico; non vogliamo forzare nessuno sul palcoscenico, ma se l’intero gruppo si costituisce in una maniera molto attiva, qualcosa di interessante può succedere. Guardare al ruolo del pubblico è importante; non si tratta solo di un ‘consumatore’, può essere una parte molto attiva, il pubblico può rendere quello che accade unico. Ogni singola replica di Home visit Europe è differente dalle altre. Penso che dopo aver sperimentato Remote X voi guardiate con occhi differenti lo spazio urbano e gli spostamenti di gruppo. Ci sono forme che provano a mescolarsi con la vostra propria realtà, tentando di coinvolgere il pubblico direttamente. Non vorrei tuttavia descrivere questo come una chiara linea di sviluppo: nelle nostre speranze sta diventando sempre più radicale — questo è vero — ma ci sono sempre stati lavori immersivi vicini temporalmente a lavori che hanno avuto luogo in ambienti più tradizionali di rappresentazione. Uno dei primi lavori, per esempio, è stato Calcutta (in a box), un progetto che connetteva un singolo componente del pubblico in una chiamata con un agente di call center a Calcutta, in India. Lo spettacolo era una conversazione improvvisata!
A. F.: Home visit Europe sembra abbandonare del tutto lo statuto della rappresentazione per proporsi come gioco sulla costruzione dell’identità e della relazione (seppure temporanee). Teatro e gioco appartengono entrambi al mondo trasformato del ‘come se’, condividendo, in inglese, il termine to play. Si può andare oltre la prospettiva del gioco per proporsi come prospettiva reale e simbolica? Se sì, quali sono, secondo voi, i meccanismi specifici dell’arte teatrale che producono senso?
H.K. H.: Penso sia ancora una parte importante del progetto, anche se non sta avvenendo in un ambiente tradizionale o in un teatro: nessuno recita un ruolo e non c’è pubblico. È tutto incentrato sulla responsabilità e il tentativo di creare un ambiente e un forma che renda l’Europa/il mondo un palcoscenico su cui recitare. Mi diverto sempre sperimentando i diversi livelli e strati di Home visit Europe — in primo luogo come un’atmosfera molto fragile — le persone si recano a casa di uno sconosciuto. Spesso sono molto timide, molto educate e premurose. Quindi imparano a conoscersi l’un l’altra: prima il padrone di casa, in un secondo momento conoscono, una per una, individualmente, alcune delle persone sedute intorno al tavolo, perché è richiesto loro di raccontare alcune singole storie. La situazione si stabilizza ed è la base per il livello successivo, incentrato di più sulla competizione. Si formano le squadre e sono sempre di due elementi che competono contro gli altri, con l’obiettivo di vincere la fetta di torta più grande. Ma non si tratta della fine del gioco, c’è anche un ulteriore livello, in cui tutte le singole recite vengono raccolte e diventano di nuovo pubbliche, per un pubblico anonimo esteso in tutto il mondo: attraverso il sito web di Home visit Europe puoi cliccare su ogni singola casa, visionandone immagini e risultati statistici, ma anche ottenere un quadro complessivo del gioco.
A. F.: Una delle domande poste al tavolo di Home visit Europe è «hai fiducia nel futuro?». Voi, come collettivo, come artisti avete fiducia nel futuro?
H.K. H.: La ragione per cui non posso partecipare al vostro convegno via skype oggi è perché sono in un viaggio di ricerca per un altro progetto. Negli ultimi giorni ho incontrato biologi che si sono specializzati su una specie di meduse! La loro ipotesi è che il cambiamento climatico trasformerà le meduse nei vincitori del gioco. Esse hanno una semplice ma molto efficace struttura, nessun cervello e nessuna vita sociale. Non sono cambiate ed evolute durante gli ultimi bilioni di anni e in qualche modo sembra che le specie più complesse come gli esseri umani stiano imparando perfettamente come distruggere tutti quegli esseri che silenziosamente tentano di sopravvivere. Guardare un secchio con delle meduse mi fa capire che loro in qualche modo (nessuno sa come) si ingegnano per adattare la loro taglia e la loro popolazione alla quantità di spazio disponibile. Quindi, nel caso che tu inserisca cento meduse in una tanica, esse cresceranno la metà della loro taglia a paragone di un gruppo di cinquanta. Io penso che sia assolutamente affascinante, mentre accade che (facendo il paragone con gli esseri umani) il numero stia ancora crescendo, sempre di più, in taglia, peso, consumi e (almeno col cervello) ciascuno sa che tutto ciò non può creare un finale felice. Politicamente, penso che siano molte ragioni per avere paura, in atto. Personalmente non sono una persona molto paurosa, mi piace essere ottimista e forse i momenti di crisi sono tempi buoni per le arti.
[1] Brusnwick Airport. Weil der Himmel uns braucht by H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzen. Link del progetto: http://www.rimini-protokoll.de/website/en/project/brunswick-airport.
[2] Calcutta in a box - An intercontinental phone play by H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzel. worldpremiere: Berlin, Mannheim, Zürich 2.4.2008Perfomers in the Call-Center: Durbha Alivelu, Avisek Arora, Dicky Banerjee, Suktara Banerjee, Avik Chakraborty, Sagnik Chakraborty, Souptic Chakraborty, Surjodoy Chatterjee, Anusua Chatterjee, Sarmistha Das, Arpan Goenka, Basundhara Ghoshal, Sneha Jha, Islam Mohammed, Madhusree Mukherjee, Priyanka Nandy, Mira Parekh, Aditi Roy, Sunayana Roy u.a. Production: Hebbel am Ufer, Berlin. In collaboration with the Callcenter Descon Limited in Kalkutta (2008-2010). Coproduction Baltic Circle Helsinki and Helsinki Festival; Camp X Kopenhagen; Rimini Apparat; Kunstenfestivaldesarts Brüssel; Nationaltheater Mannheim; Schauspielhaus Zürich; 104 Centquatre Paris. Supported by the European Cultural Foundation and Regierenden Bürgermeister von Berlin – Senatskanzlei – Kulturelle Angelegenheiten. Link del progetto: http://www.rimini-protokoll.de/website/en/project/call-cutta-in-a-box.
[3] 100% City - A Statistical Chain Reaction. Directed by H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzel. Reasearch + Dramaturgy: Cornelius Puschke. A Rimini Apparat production in co-production with HAU Berlin, funded through the Capital Cultural Fund (Hauptstadtkulturfond). Link del progetto: http://www.rimini-protokoll.de/website/en/projects/100-stadt-7-1.
[4] Remote X by S. Kaegi. Link del progetto: http://www.rimini-protokoll.de/website/en/project/remote-x.
[5] Situation Rooms - A multiplayer video place by H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzel. With: Abu Abdu Al Homssi, Syria; Shahzad Akbar, Pakistan; Jan van Aken, Germany; Narendra Divekar, India; Nathan Fain, USA; Reto Hürlimann, Switzerland; Maurizio Gambarini, Germany; Andreas Geikowski, Germany; Marcel Gloor, Switzerland; Barbara Happe, Germany; Volker Herzog, Germany; Richard Khamis, South-Sudan; Wolfgang Ohlert, Germany; Irina Panibratowa, Russia; Ulrich Pfaff, Germany; Emmanuel Thaunay, France; Amir Yagel, Israel; Yaoundé Mulamba Nkita, Kongo; Familie R, Lybia; Alberto, Mexico; and: Christopher Dell, Alexander Lurz, Karen Admiraal. A production of Rimini Apparat and Ruhrtriennale, in coproduction with Schauspielhaus Zürich, SPIELART festival & Münchner Kammerspiele, Perth International Arts Festival, Grande Halle et Parc de la Villette Paris, HAU – Hebbel am Ufer, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt am Main, Onassis Cultural Center-Athens. Funded by the German Federal Cultural Foundation and the Regierende Bürgermeister of Berlin - Senate Chancellery - Cultural Affairs. Link del progetto: http://www.rimini-protokoll.de/website/en/project/situation-rooms.
[6] Home visit Europe, ideazione, testo e regia: H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzel; drammaturgia: Katja Hagedorn; Interaction Design: Mirko Dietrich, Hans Leser, Grit Schuster || Assistente Interaction Design: Philipp Arnold || Scenografia: Lena Mody, Belle Santos || Assistente Scenografia: Ran Chai Bar-zvi || Produzione: Juliane Männel || Direzione Tecnica: Sven Nichterlein || Web Design: Tawan Arun + Ralph Gowers (Programming) || Redazione Web: Cornelius Puschke. Maestri di Cerimonia, Milano: Enrico Pittaluga, Andrea Panigatti. Home Visit Europe is a production of Rimini Apparat. In coproduction with Archa Theatre Prague (CZ). BIT Teatergarasjen/Bergen International Festival (NO). Frascati Teater Amsterdam (NL). HAU Hebbel am Ufer Berlin (D). Kaaitheater Brussels (BE). LIFT London (GB). Malta Festival Poznan (PL). Mungo Park (DK). Sort/Hvid (DK). Teater Nordkraft (DK). Théâtre de la Commune Aubervilliers (FR). Théâtre Garonne (FR). Teatro Maria Matos (PT).A House on Fire commission / coproduction with the support of the Cultural Program of the European Union. The project is supported by Capital Culture Fund Berlin. Link del progetto: http://www.rimini-protokoll.de/website/en/project/hausbesuch-europa.