Walter Siti, Quindici riprese. Cinquant’anni di studi su Pasolini

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Ci sono casi particolari in cui la relazione tra il critico e l’opera di un determinato autore si dispiega nel corso del tempo in «una lunga fedeltà» (come nell’esempio di Contini verso Montale), ovvero essa dà testimonianza di una frequentazione assidua, ininterrotta e soprattutto definita da un atteggiamento di lealtà del primo nei confronti della seconda. Se è vero che il critico sarebbe colui che, ponendosi al servizio dell’opera, sta un passo indietro rispetto ad essa, allora è laddove tale rapporto non si instaura in questi termini che è più probabile rintracciare episodi di tradimento-allontanamento seguiti da altrettanti improvvisi ritorni di fiamma.

Quest’ultimo è certamente il caso di Walter Siti che nell’arco di mezzo secolo ingaggia un vero e proprio agone con la figura di Pasolini: corpo-fantasma che porta il vessillo di un desiderio erotico prima rimosso e poi rimodellato altrove e con altri mezzi. Quindici riprese. Cinquant’anni di studi su Pasolini (Rizzoli, 2022) è infatti, prima di tutto, un ‘corpo a corpo’ tra Siti e Pasolini; così serrato e familiare da far venire il sospetto che la lotta sia di Walter contro Pier Paolo, e che la letteratura, come il ‘sesso’ per il poeta de La solitudine, sia un pretesto, vale a dire il piano assolutamente contingente e necessario in cui ha luogo questo incontro-scontro pugilistico suggerito dal titolo, consumato in quindici stazioni o shots, se si vuole immaginare un Siti che pedina dietro una macchina da presa i movimenti di PPP.

La cifra peculiare di questo volume che raccoglie tutti gli scritti dello studioso modenese sul poeta di Casarsa – dal 1972 (‘L’endecasillabo di Pasolini’ pubblicato su Paragone) al 2022 annus pasoliniano (postfazione all’edizione garzantiana di Petrolio curata dallo stesso Siti) – è data dalla nota di accompagnamento ai singoli contributi a cui è demandata la funzione, oltre a quella di auto-commento critico, di riferire il ‘contesto’ e i retroscena privati che li sottendono e attraversano. Anche se in queste occasioni molto spesso non è tanto il critico quanto il romanziere Siti a prendere la parola, ciò risulta di grande rilievo per mettere a fuoco le ragioni e i termini dell’incontro in questione. Che si tratti di interventi accademici o di articoli militanti non ha molta importanza, Siti segue Pasolini dal testo letterario a quello filmico passando per gli affondi giornalistici e le incursioni semiologiche; e la sua diventa a tal punto un’ossessione che forse sarebbe più giusto dire che è l’autore delle Ceneri di Gramsci a inseguire e ad angosciare il saggista che nel frattempo ha scoperto in sé una vocazione di narratore.

Se si tiene a mente questa premessa, l’itinerario pasoliniano di Quindici riprese mostra alcune tappe su cui il lettore è maggiormente chiamato a soffermarsi. Da questo punto di vista, i testi che accompagnarono a suo tempo il lavoro mastodontico dei dieci Meridiani pasoliniani, così come un saggio datato 1989, ‘Sull’espressionismo di Pasolini’, hanno molto da rivelare sul rapporto Siti-Pasolini. Di quest’ultimo intervento, in particolare, colpisce la tesi secondo cui lo stile espressionistico dell’autore di Casarsa, in precedenza definito come una «una aggressione alla realtà, una ricerca di possesso continuamente frustrata e quindi rinnovata continuamente: che è poi la modalità del suo erotismo» (p. 135), verrebbe meno di fronte alla nascita del cineasta che si trova immerso in una «Realtà» per lui inedita che rimodella il sistema tematico ed ermeneutico della sua poetica. Emblematica, da questa prospettiva, è la ri-significazione del sole (si legga, in proposito, anche il saggio Un inedito di Pasolini), nonché di tutto ciò che riguarda la luce – presenza dominante nella prima raccolta degli anni Sessanta, La religione del mio tempo (1961), e successivamente anche in Poesia in forma di rosa (1964) –, la quale imprimendosi, ovvero scrivendo la pellicola cinematografica, «fa, sul piano dell’azione, quello che l’espressionismo faceva sul piano dello stile» (p. 147). Seguendo fino in fondo l’argomentazione di Siti, se ne ricava che le due forme di espressione – poesia e cinema – rispondono alla stessa urgenza di Pasolini: un «cinema che testimonia che la poesia esiste nella Realtà» (p. 155).

Ma dove Siti sembra riuscire a conciliare meglio le sue due anime – l’accademico e il critico militante –, anzi le tre, se contiamo pure il narratore, sono i contributi su Petrolio, opera-mondo che in sé fagocita ogni discorso, ogni interpretazione critica che non giunga dal suo enigma intratestuale. In queste occasioni lo studioso va oltre la quaestio critica sulla natura del romanzo, soprattutto laddove i suoi affondi filologici ed ermeneutici sono sostenuti in filigrana da precedenti notazioni sulla dicotomia eros- agape (modellata su San Paolo) che nell’opera di Pasolini agisce come forza centrifuga e centripeta allo stesso tempo. Il che, se vediamo bene, equivale a riportare al centro di tutto, ancora una volta, il corpo-fantasma amatodiato da Siti, il quale da queste Quindici riprese non esce né vincitore né vinto. E tanto basta, forse, per placare la sua ossessione e quindi tenere sotto controllo quella anxiety of influence di cui parlava Harold Bloom, che è senz’altro una delle ragioni (la ragione?) per cui il critico decide di salire sul ring a sfidare il poeta.