Zattera

di

     

- […] nella forma più diretta, più semplice, mi dica: che cosa è la Chiesa?

- Ecco, un prete buono le risponderebbe che è la comunità convocata da Dio; io, che sono un prete cattivo, le dico: è una zattera, la zattera della Medusa, se vuole; ma una zattera.

L. Sciascia, Todo modo (1974)

All’inizio degli anni Settanta, come in preda a una visione infernale, Leonardo Sciascia fa i conti con la Chiesa cattolica e crea quella che a Pasolini sembra la «metafora degli ultimi trent’anni di potere democristiano, fascista e mafioso». Oltre ad essere uno dei suoi romanzi più dirompenti e riusciti, Todo modo è forse il testo sciasciano a più alto tasso di citazioni artistiche.

Il protagonista è un non meglio identificato pittore di successo, che arriva alla sua verità proprio mentre disegna, perché disegnando i suoi pensieri «si fanno più esatti e lucidi». Gli occhiali scivolati dal cadavere di Don Gaetano gli appaiono come «il particolare di un quadro di caravaggesco minore», un particolare che egli ha visto in mano al diavolo in una copia della Tentazione di Sant’Antonio di Rutilio Manetti, opera del mediocre pittore Nicolò Buttafuoco. Il dipinto è la prima metafora pittorica presente nel romanzo, un’allusione al risvolto demoniaco della vista nitida, in altre parole della conoscenza e del sapere. Era stato il pittore Fabrizio Clerici ad accompagnare Sciascia nella chiesetta della campagna senese dove aveva visto per la prima volta la copia del quadro, scelto per la copertina della prima edizione di Todo modo. Oltre che dal volto del diavolo, i cui tratti aleggiano sinistramente nella figura di Don Gaetano, il protagonista finisce tentato dall’idea di disegnare il volto di Cristo: entrambi i personaggi convergono nell’idea che l’unico artista a riuscire nell’impresa sia stato Odilon Redon. Nella loro lezione di storia dell’arte, i due incarnano verosimilmente la posizione di Sciascia, che al suo capezzale teneva proprio un’incisione dell’artista francese raffigurante il viso di Gesù morente.

Ma è a Don Gaetano che Sciascia affida la più misteriosa metafora pittorica della sua opera: la Chiesa come zattera, legno in balia di quel mare che lo scrittore non ha mai amato, di quegli abissi che in Todo modo sono i sotterranei del Vaticano. E non una semplice zattera, ma La zattera della Medusa: in primo piano nel quadro di Géricault – apparso anche nel tessuto narrativo dell’Assomoir di Zola – sta un groviglio di corpi avvinghiati di sapore dantesco, come infernale è la bolgia dei notabili dell’eremo di Zafer. Nel dipinto che apre la stagione del realismo, l’artista francese ritrae il dissesto della Francia dopo il crollo di Napoleone. Ne La zattera della Medusa Sciascia racchiude le stragi di Stato e la matrice metafisica a cui il potere democristiano si ispira, restituendo l’immagine di un’Italia alla deriva.

Quasi vent’anni dopo, in occasione dell’assassinio di Lima, Vincenzo Consolo chiede «pietà per chi muore sulla zattera della Medusa» e si ricorda della metafora di Todo modo: «Non di finzione purtroppo, non di romanzo oggi si tratta, ma di realtà, di tragica, dolorosa realtà; non di esercizi spirituali, ma di duri, tremendi esercizi elettorali. In cui, su ogni zattera, può compiersi il gesto più disumano».