Copertine

di

     

Per il disegno di copertina potrei avanzare qualche proposta? (Mi piacerebbe un disegno di Maccari: se credi posso occuparmene).

L. Sciascia, Lettera a Italo Calvino (1957)

Proposte e timidi suggerimenti in merito alle copertine dei suoi libri, e di quelli degli altri, Sciascia ne ha avanzati di continuo, perché lo scrittore – come sostiene Silvano Nigro – «i libri li pensava vestiti». Il ricordo di Ernesto Ferrero in merito alla trattativa editoriale in casa Einaudi per la pubblicazione dei romanzi sciasciani non lascia dubbi in proposito: «Non aveva richieste particolari […] al massimo si parlava dell’illustrazione da mettere in copertina del libro. Anche se le scelte grafiche della casa editrice venivano lodate come pertinenti ed eleganti, i desideri, anzi i suggerimenti di don Leonardo erano sempre graditi, perché significava che lui aveva risolto il problema. Aveva un infallibile gusto figurativo, ispirato dal trepido amore di chi sa come si salvano le cose di valore dalle discariche del Tempo. Si limitava a tirar fuori in silenzio dalla sua cartella prefettizia un’acquaforte, un disegno, la riproduzione di un quadro. I suoi libri erano dei parti rapidi e indolori». E se in questo caso si limita a consegnare alla Einaudi illustrazioni adatte al testo, quando nei primi anni Settanta inizia a collaborare con la casa editrice Sellerio, per la collana «La civiltà perfezionata», da lui ideata e curata per una cinquantina di numeri, Sciascia predispone che il ‘vestito’ di ogni volume sia confezionato su misura e commissiona ad artisti e incisori le immagini di copertina, in qualche caso suggerendo persino il soggetto. Di volta in volta mettono il proprio bulino a servizio dei vari volumi artisti come Bruno Caruso, Edo Janich, Fabrizio Clerici, Mino Maccari, Renato Guttuso, Tono Zancanaro, Emilio Greco, Piero Guccione, Aldo Pecoraino, il cui elenco disegna una costellazione caratterizzata da un preciso gusto estetico, ma suggerisce anche l’idea dell’intenso dialogo fra testo e paratesto che per Sciascia sta alla base della pubblicazione di ogni volume e alla luce del quale si potrebbe riconsiderare tutto il progetto editoriale della collana. In questo contesto basterà citare, a riprova di ciò, un solo titolo sciasciano, L’affaire Moro per il quale Fabrizio Clerici realizza l’incisione L’uomo solo, che apre, «come fosse un primo capitolo figurato» (Lombardo), uno dei libri più discussi dello scrittore siciliano.

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Zattera

di

     

- […] nella forma più diretta, più semplice, mi dica: che cosa è la Chiesa?

- Ecco, un prete buono le risponderebbe che è la comunità convocata da Dio; io, che sono un prete cattivo, le dico: è una zattera, la zattera della Medusa, se vuole; ma una zattera.

L. Sciascia, Todo modo (1974)

All’inizio degli anni Settanta, come in preda a una visione infernale, Leonardo Sciascia fa i conti con la Chiesa cattolica e crea quella che a Pasolini sembra la «metafora degli ultimi trent’anni di potere democristiano, fascista e mafioso». Oltre ad essere uno dei suoi romanzi più dirompenti e riusciti, Todo modo è forse il testo sciasciano a più alto tasso di citazioni artistiche.

Il protagonista è un non meglio identificato pittore di successo, che arriva alla sua verità proprio mentre disegna, perché disegnando i suoi pensieri «si fanno più esatti e lucidi». Gli occhiali scivolati dal cadavere di Don Gaetano gli appaiono come «il particolare di un quadro di caravaggesco minore», un particolare che egli ha visto in mano al diavolo in una copia della Tentazione di Sant’Antonio di Rutilio Manetti, opera del mediocre pittore Nicolò Buttafuoco. Il dipinto è la prima metafora pittorica presente nel romanzo, un’allusione al risvolto demoniaco della vista nitida, in altre parole della conoscenza e del sapere. Era stato il pittore Fabrizio Clerici ad accompagnare Sciascia nella chiesetta della campagna senese dove aveva visto per la prima volta la copia del quadro, scelto per la copertina della prima edizione di Todo modo. Oltre che dal volto del diavolo, i cui tratti aleggiano sinistramente nella figura di Don Gaetano, il protagonista finisce tentato dall’idea di disegnare il volto di Cristo: entrambi i personaggi convergono nell’idea che l’unico artista a riuscire nell’impresa sia stato Odilon Redon. Nella loro lezione di storia dell’arte, i due incarnano verosimilmente la posizione di Sciascia, che al suo capezzale teneva proprio un’incisione dell’artista francese raffigurante il viso di Gesù morente.

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