1.1. Le signore in giallo. Da Provaci ancora prof! a Lolita Lobosco nuove scritture e paradigmi di genere nel crime della televisione italiana

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1. Il giallo in bianco e nero

Il rapporto tra letteratura e televisione italiana è antico e prolifico. La RAI rigidamente in bianco e nero, monocanale e pedagogica, è ansiosa di cooptare prodotti provenienti da altri e più nobili ambiti mediali (il teatro, il cinema, l’editoria) in una necessaria operazione di legittimazione nei confronti di una classe dirigente abbastanza scettica sul nuovo medium.

In Italia il romanzo poliziesco nasce negli anni Trenta senza avere alle spalle la solida tradizione del poliziesco inglese, francese o addirittura statunitense, per cui i primi thriller italiani sono ambientati in Paesi stranieri. Tuttavia nella letteratura italiana esiste un modello di riferimento rappresentato da Il cappello del prete (1888), il romanzo di Emilio De Marchi considerato il primo thriller italiano, sulla cui scia si inseriscono alcuni autori che ambientano le opere nel nostro Paese. Tra questi Alessandro Varald, che crea il commissario Ascanio Bonichi, impegnato a dipanare le ombre di una Roma sotto il regime fascista dove le storie si svolgono tra palazzi principeschi e pensioni equivoche, o Augusto De Angelis (ucciso dai fascisti nel 1944), autore di romanzi di qualità incentrati sul personaggio del commissario De Vincenzi, poi in tv sul Programma Nazionale nel 1974 con il volto di Paolo Stoppa. A partire dal secondo dopoguerra altri autori e registi, in una feconda osmosi tra letteratura, cinema e televisione, si dedicheranno al genere poliziesco: Mario Soldati con il film La mano dello straniero (1954) o Carlo Emilio Gadda con il romanzo che lo rese noto al grande pubblico Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana (1957), da cui nel 1983 fu tratta una miniserie in quattro puntate interpretata – tra gli altri – da un gigante Flavio Bucci.

Questa progressiva affermazione di autori italiani porterà sul piccolo schermo storie sempre più rappresentative e identitarie, ambientate in diverse regioni e città italiane e che renderanno popolari e familiari commissari, ispettori e marescialli dei carabinieri e le loro vicende personali e professionali. Dopo l’adattamento televisivo di grandi classici italiani e stranieri, tocca – a partire dagli anni Sessanta – ai romanzi polizieschi. Già nel 1954 la RAI manda in onda Il processo di Mary Dugan, adattamento televisivo da un giallo dell’americano Bayard Veiller; ma diventano successi televisivi le serie delle Inchieste del commissario Maigret inventato da Georges Simenon e impersonato da Gino Cervi (1964); le indagini di Nero Wolfe, l’investigatore creato da Rex Stout e interpretato da Tino Buazzelli (1969); le avventure del prete-investigatore Padre Brown (Renato Rascel) ideato da Chesterton (I racconti di padre Brown, 1970-71). Un caso a parte è costituito da Giallo club. Invito al poliziesco (1959-1961), il cui protagonista è il tenente Sheridan (Ubaldo Lay) che nel suo trench bianco diventerà il poliziotto più popolare della televisione italiana [fig. 1]. Questo insolito club è per metà un quiz e per metà uno sceneggiato giallo: le storie vagamente americane nei nomi e nelle ambientazioni, i concorrenti chiamati alla identificazione del colpevole attraverso una serie di prove, il tenente Ezechiele Sheridan pronto a svelarne il nome. Si arriva un po’ macchinosamente alla fine, ma la formula piace ai teleabbonati che considerano il personaggio di Lay quasi un eroe nazionale. Proprio sull’onda di questo successo la RAI farà ritornare in scena Sheridan nelle miniserie Donna di Fiori (1965), Donna di Quadri (1968), Donna di Cuori (1969) e Donna di Picche (1972), per la regia di Anton Giulio Majani.

È interessante sottolineare come in televisione sia avvenuto il trasferimento di tutti i generi della letteratura poliziesca: dal giallo classico, fondato sulla perspicacia dell’investigatore, al poliziesco d’azione, nel quale l’investigatore impugna le armi contro i singoli criminali o la criminalità organizzata; dal police procedural, basato su singoli episodi autoconclusivi ma che compongono una serie centrata sulla figura dello stesso detective o della squadra d’investigatori, al legal thriller in cui a svolgere le indagini sono avvocati, sostituti procuratori o pubblici ministeri.

 

2. Arriva il rosa

Dovremo aspettare l’11 agosto 1965 per vedere sul piccolo schermo la prima investigatrice della televisione italiana in Le avventure di Laura Storm. La protagonista è interpretata da Lauretta Masiero per la regia di Camillo Mastrocinque e con Andrea Camilleri delegato alla produzione, proprio come nelle Inchieste del commissario Maigret con Cervi. Protagonista degli otto episodi è Laura Persichetti, giornalista a L’Eco della Notte che firma i suoi articoli di moda e mondanità con lo pseudonimo di Laura Storm. Tacchi a spillo e cappotto bianco, l’attrice dà vita a uno spassoso giallorosa grazie alle brillanti sceneggiature di Leo Chiosso, il paroliere umorista di Fred Buscaglione. Nel cast figurano anche Oreste Lionello e Stefano Sibaldi, mentre la sigla finale è affidata a un giovanissimo Fausto Leali [fig. 2]. Persichetti, in arte Storm, è una donna molto indipendente, che fuma, ha una passione per le arti marziali e una relazione col suo direttore Carlo Steni (Aldo Giuffrè). Quello che colpisce di Le avventure di Laura Storm è la modernità della figura della protagonista, che per gli anni Sessanta incarna un modello – almeno televisivo – lontano da quello pedagogico della RAI delle origini. Nei dialoghi si respira l’aria di quella rivoluzione sociale che arriverà di lì a poco e che darà alla società italiana nuovi paradigmi più laici e universali, a cominciare dalla fine di un’organizzazione strutturata – almeno in parte – per appartenenze sub-culturali, e di un modo superato di intendere il mondo.

A mio giudizio va inserito in questo filone anche il primo sceneggiato parapsicologico della televisione italiana, Il segno del comando, andato in onda nella tarda primavera del 1971. Il protagonista è Ugo Pagliai nei panni del professor Edward Forster, uno dei massimi esperti europei della figura di Lord Byron che, arrivato in una Roma della metà degli anni Sessanta e dalle atmosfere occulte, incontra Lucia, la quale ha il volto e la bravura di Carla Gravina. Il suo personaggio è nuovo, insolito ma centrale nella ricostruzione del mistero che ruota intorno a una fotografia raffigurante una piazza della Capitale descritta in uno dei diari dell’instancabile viaggiatore Byron [fig. 3]. Quando Forster-Pagliai arriva dall’Inghilterra nella Capitale scopre che il mittente della lettera con la fotografia è tal Tagliaferri, un pittore, che però è morto da un secolo, e che nessuno sa indicare dove si trovi la piazza riprodotta nell’immagine. Nella presunta abitazione dell’artista il protagonista incontrerà invece la sua modella, Lucia-Gravina, che appare nei momenti e nei luoghi più imprevisti e che nessuno, oltre a Forster, è mai riuscito a vedere. Con Il segno del comando la televisione pubblica, per la prima volta, apre a temi come la reincarnazione e lo spiritismo con una sceneggiatura scandita sui tempi lenti e l’impostazione teatrale dell’epoca, ma con il rivestimento del noir e del fantastico per non disorientare lo spettatore che, invece, premia l’esperimento intra-narrativo con indici di ascolto oltre i 14 milioni per tutte e cinque le puntate. Si tratta inoltre di uno dei pochi casi di opera audiovisiva diventata successivamente letteraria, a differenza del processo consueto che vede la trasposizione cinematografica o televisiva di libri di successo: lo sceneggiatore Giuseppe D’Agata nel 1987 rimodulò la sceneggiatura, per ottenere un romanzo dallo stesso titolo, pubblicato prima da Rusconi e rieditato nel 1994 da Newton Compton Editori.

 

3. Per un genere di genere. La donna detective nella televisione pubblica

A partire dalla fine degli anni Settanta i personaggi femminili nella cosiddetta thriller fiction non sono più gregari, sfondo dei protagonisti maschili: la specificità di genere apre nuovi sentieri alle trame della fiction seriale.

La prima donna di questo elenco televisivo diacronico è Ave Ninchi che nel 1979, su Rai Uno, è investigatrice per diletto in La vedova e il piedipiatti dove supporta – e risolve – le indagini dell’inesperto commissario Lombardi, affittuario di una delle sue camere. 

È del 1998 Linda e il brigadiere (Rai Uno) con Claudia Koll commissario di polizia coadiuvata dal padre, brigadiere in pensione interpretato da Nino Manfredi. Sin dal titolo appare evidente che le donne poliziotto sono sostenute da coprotagonisti maschili. Linda sa gestire situazioni difficili, impartisce ordini, mentre le differenze di genere le accordano modalità e relazioni diverse [fig. 4].

Nello stesso anno Vittoria Belvedere interpreta un commissario della polizia di Roma in Lui e Lei, che nei casi di minori con disagio sociale in coppia col marito avvocato si fa coprotagonista. Con La squadra (Rai Tre, 2000) la grande novità è rappresentata dalla gestione delle indagini che soppiantano il lavoro del singolo. Nel commissariato di Sant’Andrea, nel quartiere alla periferia napoletana di Piscinola, le figure femminili danno un apporto determinante allo svolgimento delle indagini e hanno le stesse opportunità ‘eroiche’ degli uomini [fig. 5].

Nel 2005 su Rai Uno la donna detective questa volta veste i panni di una insegnante di lettere in un liceo di Torino. In Provaci ancora prof! Veronica Pivetti è Camilla Baudino, una ostinata curiosa che non si ferma mai all’evidenza, sfidando i divieti del marito (Enzo Decaro) e del commissario (Paolo Conticini).

Qualche anno dopo va in onda una fiction che nel titolo sancisce la svolta di genere nel genere. Nel 2008, ancora su Rai Uno, arriva con Lucrezia Lante della Rovere Donna detective, l’ispettore capo della polizia di stato che prova a tenere in equilibrio lavoro e famiglia. Più gothic sofisticato che giallo classico all’italiana è Non uccidere (Rai Tre, 2015) con Valeria Ferro-Miriam Leone, ispettore della Squadra omicidi della Mobile di Torino. Si occupa di crimini familiari anche per la sua storia personale: era ancora bambina quando sua madre fu condannata per l’omicidio del padre.

Nel 2016 la trasposizione televisiva dei romanzi giallorosa torna in auge con Alessia Gazzola, scrittrice e medico legale. Il suo libro d’esordio, L’allieva, diventa una omonima e popolare fiction di successo su Rai Uno con Alessandra Mastronardi che interpreta Alice Allevi, allieva, appunto, dell’Istituto di medicina legale all’Università di Roma che, nonostante un’aria maldestra, ha doti di grande perspicacia che porteranno alla risoluzione dei casi sotto lo sguardo attonito del tutor (Lino Guanciale) e del commissario di turno [fig. 6].

E ancora in I bastardi di Pizzofalcone (Rai Uno, 2017) tratto dai romanzi di Maurizio De Giovanni, è una donna, Laura Piras (Carolina Crescentini), il pubblico ministero che guida le indagini in un poliziesco corale dove le altre figure femminili sono tutt’altro che minimali: il vicequestore Domenica Calabrese ha un figlio autistico da aiutare, e l’agente scelto Elisabetta di Nardo è alle prese con la rottura del rapporto con i genitori per la sua scelta d’amore omosessuale.

Nel 2019 arriva su Rai Uno quella che è stata considerata l’alternativa al femminile del commissario Montalbano: si tratta dell’eccentrica Imma Tataranni - Sostituto procuratore, che tra i sassi di Matera risolve enigmi e omicidi con scelte spesso anticonvenzionali a cui si arrende anche il capo della Procura (Carlo Buccirosso). Tra le mura domestiche l’attrice Vanessa Scalera si divide tra una figlia alle prese con le crisi della giovinezza e un marito condizionato dalla mamma. La fiction è stata assoluta – e inaspettata – rivelazione dell’anno, con ascolti superiori al 15% di share [fig. 7].

Di sparizioni femminili in Bella da morire (2020) si occupa invece l’ispettrice di polizia Eva Catini interpretata da Cristiana Capotondi, che nelle quattro puntate trasmesse su Rai Uno porta un personaggio dal carattere ruvido e addirittura diffidente nei confronti dei maschi. Infine Le indagini di Lolita Lobosco (Rai Uno, 2021), tratte dai romanzi di Gabriella Genisi, con protagonista una affascinante vicequestore di polizia barese interpretata da Luisa Ranieri. Nella serie si rileva la rottura di più di uno stereotipo: del poliziesco e della comicità, del maschile e del femminile, del Nord e del Sud, con una donna che vive con sana fierezza la sua femminilità e che non finge di essere un uomo per avere rispetto [fig. 8].

 

4. Conclusioni

Gli studi di più recente pubblicazione confermano la fiction come il genere dove più si realizza una dialettica tra conservazione e innovazione: l’affresco femminile e la rappresentazione delle tematiche legate al genere e alla sessualità diviene qui prismatico, e c’è spazio per modelli di ruolo diversificati. Accanto alla persistenza di modelli familiari tradizionali, e di tradizionali ruoli di genere, evidenti anche nella dicotomica divisione sessuale del lavoro (alle donne i lavori di cura e l’ambito privato, agli uomini la sfera pubblica), alcune delle serie analizzate ridisegnano questi confini e ospitano rappresentazioni decisamente non stereotipate delle identità di genere e delle condotte sessuali, dando spazio anche a quelle non eterosessuali. Seguendo una dinamica comune al cinema, anche in TV negli ultimi dieci anni si è moltiplicata in modo esponenziale, a livello internazionale, la presenza di donne in ruoli, ambiti e generi tipicamente maschili: dall’horror al fantasy, dallo women in prison alla fantascienza, al genere ‘supereroi’, passando per dark comedies, mafia stories e, naturalmente, crime drama (per una rassegna recente si veda Giomi e Magaraggia 2017).

La letteratura di settore sottolinea, complessivamente, la valorizzazione di capacità, attributi, inclinazioni, interessi e modi di stare al mondo diversi da quelli tradizionalmente ascritti alle donne: queste eroine anticonvenzionali si distinguono infatti per intraprendenza e autonomia, determinazione e coraggio, capacità di leadership e autorevolezza, e spesso per scelte esistenziali. Neppure il genere crime – poliziesco, però, è esente da criticità, come la difficoltà a mettere in scena modelli femminili capaci di vivere pienamente più dimensioni, ricadendo nello stereotipo – che interessa tanto le italiane quanto le colleghe straniere – della donna interamente votata al lavoro a detrimento della vita privata o, ancora, la mancata tematizzazione del carattere maschilista delle istituzioni di polizia e delle disuguaglianze di genere sul posto di lavoro.

 

Bibliografia

D. Garofalo, V. Roghi (a cura di), Televisione. Storia, immaginario, memoria, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2015.

E. Giomi, S. Magaraggia, Relazioni brutali. Genere e violenza nella cultura mediale, Bologna, Il Mulino, 2017.

A. Grasso, Storia critica della televisione italiana, Milano, il Saggiatore, 2019.

A. Grasso, Storia della televisione Italiana, Milano, Garzanti, 2004.

F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia: un secolo di costume, società e politica, Venezia, Marsilio, 2001.

B. Proietti, M. Giannotti, Dallo sceneggiato alla fiction: sessant’anni di storia Tv, Roma, Rai Eri, 2016.