1.2. Sulle tracce di un’iconografia di Barbablù tra XVII e XIX secolo

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Trasformare in immagini un racconto verbale è un processo articolato che implica, da parte dell’illustratore, una serie di scelte interpretative; è un atto critico che va ben oltre il semplice passaggio di contenuti da un medium all’altro (Scharcz 1982; Nikolajeva 2006; Woźniak 2015). In alcuni casi l’operazione è resa ancor più complessa dall’assenza di rappresentazioni precedenti, costringendo di fatto il disegnatore a creare nuovi modelli figurativi attingendo dal patrimonio iconografico tradizionale. Il caso di Barbablù ne è un esempio.

Nel 1953 la Morgan Library di New York acquistò una copia manoscritta dei racconti di Perrault, precedentemente ignorata. Il volume, rilegato in marocchino rosso con lo stemma della nipote di Luigi XIV, Élisabeth Charlotte d’Orléans, a cui fu dedicato dall’autore, porta il titolo Contes de ma mère l’Oye e, datato 1695, precede di due anni la prima edizione a stampa. Miniature a guazzo di autore anonimo illustrano il frontespizio e aprono alla lettura delle rispettive storie (La bella addormentata, Cappuccetto Rosso, Il gatto con gli stivali, Barbablù e Le fate).

L’immagine di apertura [fig. 1.], poi ripresa quasi integralmente nell’edizione originale, riproduce in qualche modo l’ambiente e la circostanza in cui questi racconti del tempo passato prendono vita: uno spazio domestico, in una fredda serata invernale illuminata dal bagliore del fuoco e da una bugia posata sulla spoglia mensola del camino. Una vecchia nutrice, il cui profilo si staglia sullo sfondo di una porta chiusa, è assisa su uno sgabello e, nel filare la lana col suo fuso, dipana anche i suoi racconti catturando l’attenzione del suo pubblico: due fanciulli i cui abiti raffinati – si noti il manicotto della giovinetta – ne attestano l’elevato rango sociale e un gentiluomo, forse l’autore, seduto vicino al camino che osserva la narratrice in azione. Come ben postilla Louis Marin, siamo di fronte ad una «mise en scène de l’oralité dans ses représentants canoniques, la toute puissante maîtresse de la voix narratrice et ses destinataires, enfants et adolescents, fille et garçons, dans la fascination de l’écoute» (Marin 1992, p. 20; Heidmann 2014).

Nell’edizione a stampa del 1697, intitolata Histories ou Contes du temps passé, avec des moralité, il frontespizio e le incisioni alla testa di ogni racconto sono di Antoine Clouzier, il quale segue alla lettera i disegni del manoscritto.

Relativamente a Barbablù, nel manoscritto del 1695 l’anonimo disegnatore sceglie di illustrare il momento più drammatico di tutta la storia, in una scena che, costruita sapientemente, consente di visualizzare due momenti simultanei del racconto; mentre il protagonista sta per punire con la decapitazione la consorte si assiste al contemporaneo sopraggiungere dei fratelli di lei, evento che preannuncia il positivo epilogo. Clouzier riprende fedelmente la stessa composizione che affonda le sue radici iconografiche in una scena di martirio di una santa. Tra le molte opzioni possibili, pare interessante associare l’immagine del manoscritto Morgan al martirio di Santa Barbara la cui traduzione a stampa ebbe particolare diffusione in area nordica. Nello specifico l’ispirazione sembra derivare da una xilografia colorata a mano di un maestro tedesco del XV secolo e databile tra 1480 e 1490, un’iconografia quindi tradizionale e popolare – e dunque familiare anche per i lettori – qui riadattata dal contesto sacro a quello profano. [fig. 2]

Nel 1729 esce l’edizione inglese delle favole di Perrault – Histoires, or Tales of the Past Times nella traduzione di Robert Samber – in cui le incisioni di Clouzier sono riproposte senza variazioni ma stampate in controparte. Successivamente, oltre alle illustrazioni del testo a stampa, si trovano anche rappresentazioni di scene singole come il bel disegno acquarellato del 1817 di Auguste Garneray (1785-1824), prolifico disegnatore di costumi d’opera e illustratore di testi letterari: con un’attenzione quasi lenticolare nella resa dell’architettura gotica [fig. 3], Garneray rappresenta la moglie di Barbablù inginocchiata e con le mani giunte, mentre implora la sorella con una delle frasi più famose della storia di Perrault: «Anne, ma soeur Anne, ne vois-tu rien venir?», trascritta in lettere capitali al di sotto della cornice. Al centro della composizione Anna, vestita di blu, guarda fuori dalla finestra volgendo le spalle all’osservatore.

Nel 1862 i Contes sono illustrati da uno dei maggiori protagonisti della cultura figurativa francese di metà Ottocento, Gustave Doré (1832-1883), artista proteiforme ma soprattutto disegnatore dalla vena fantasmagorica, che illustrò tutti i più grandi classici da Dante a Cervantes, ma anche i contemporanei da Balzac a Poe (Gustave Doré 2014). Negli stessi anni in cui si dedica ai Contes, Doré lavora anche alla Divina Commedia dantesca creando immagini iconiche, tenebrose e visionarie, che traducono con grande efficacia narrativa la forza e la drammaticità della cantica infernale (Battaglia Ricci 2018, pp. 186-192). Tra i racconti di Perrault, Barbablù è quello che forse gli consente di esprimere al meglio la sua capacità di evocare atmosfere gotiche e bruscate, utilizzando modalità espressive e tecniche narrative diverse. La prima illustrazione, forse la più nota, rappresenta il momento in cui Barbablù diffida la moglie dall’utilizzare «la petit clai du cabinet». La scena, in cui la giovane sposa si presenta di tre quarti mentre accarezza curiosa la chiave tenuta dal marito che la sovrasta con il suo manto voluminoso e il suo sguardo luciferino, si avvicina a certe composizioni di Rembrandt come il Festino di Baldassarre della National Gallery di Londra (1635). L’episodio della visita della sposa ai tesori del castello è allestito in una sontuosa stanza ridondante di oggetti preziosi e sovradimensionati, dominata dall’armatura di un minaccioso cavaliere e da un lampadario d’impianto architettonico. Anche in questo caso Doré sembra guardare alle incisioni di Rembrandt in cui l’effetto del riverbero delle superfici metalliche è reso con pari intensità, come nell’acquaforte con la Presentazione al tempio del 1654 (inv. RP-P-OB-100) [fig. 4] Se per la scena dei fratelli a cavallo che si approssimano, in una corsa forsennata, al castello, il maestro francese guarda e recupera le atmosfere dei paesaggi seicenteschi fiamminghi alla Paul Bril, per la morte di Barbablù sembra addirittura affondare la sua ricerca iconografica nella pittura veneziana d’inizio Cinquecento, richiamando la famosa scena dell’Uccisione di San Pietro Martire di Giovanni Bellini (Londra, National Gallery, 1505-1507).

Di tono meno aulico e tutta improntata sulla moda orientalista ormai imperante, è un’edizione della sola storia di Barbablù pubblicata a Londra nel 1880. Le illustrazioni di autore anonimo che accompagnano il testo potrebbero in realtà essere riferite alla mano di Alfred Crowquill (1804-1872), pseudonimo di Alfred Henry Forrester. Disegnatore di favole per bambini, di lui esiste al Victoria and Albert Museum di Londra (inv. SD 278) un disegno che può essere, a mio avviso, considerato il prototipo per l’immagine di copertina della pubblicazione del 1880.

Quasi contemporanea la versione illustrata di Walter Crane, grande illustratore, fervente socialista ed esponente di rilievo del movimento Arts and Crafts di William Morris (O’Neill 2010, Andrea 2016). In The Claims of Decorative Arts (1893), Crane sosteneva che l’arte decorativa non fosse minore alla pittura o alla scultura, e che non si potesse perseguire un’arte alta laddove non c’era bellezza nelle cose di tutti i giorni. La sua attenzione al dettaglio e all’ornato, insieme alla sua formazione artistica in ambito preraffaellita, si traducono in illustrazioni elegantissime e sontuose, ricche di citazioni tratte dalla pittura rinascimentale italiana, in cui il rapporto testo-immagine si capovolge, rendendo quest’ultima il vero tramite comunicativo a discapito del testo relegato entro eleganti cartigli. Lo stile preraffaellita amalgama e rende unitaria la scena con la giovane sposa che pensosa tiene tra le mani la chiave proibita [fig. 5] – come proibita è la mela colta da Eva sullo sfondo –, una scena costruita giustapponendo modalità compositive e citazioni dirette di opere notissime. Dietro alla protagonista che sta scendendo le scale si apre una sorta di finestra che lascia intravedere le fantesche di palazzo affaccendate nei lavori domestici. Quella sorta di finestra su una realtà altra – reale o fittizia – è una formula tipica dei cosiddetti bodegones spagnoli d’inizio Seicento, ripresa anche da Diego Velázquez in alcune opere giovanili (La cena in Emmaus, 1617, Dublino National Gallery of Ireland), mentre la giovane inserviente accovacciata sul baule aperto che ci volge le spalle è citazione diretta dalla Venere di Urbino di Tiziano (Uffizi, 1538). La scena della supplica è a mio avviso esemplata, per la posizione delle due figure principali, sulla Consegna delle chiavi che Pietro Perugino affrescò nella cappella Sistina tra il 1481 e il 1482, mentre l’interno vuole ricordare una ricca dimora fiorentina del rinascimento così come si può vedere, ad esempio, nel riquadro con la Nascita del Battista dipinta da Ghirlandaio nella cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella (1485-1490). Da ultimo, in questa raffinata sequenza di citazioni, non sfuggirà come il sembiante di Barbablù sia chiaramente ispirato alla ritrattistica di Hans Holbein il Giovane: si veda, ad esempio, il bel ritratto di Simon George del 1535 [fig. 6].

Nella traduzione in immagini della favola di Perrault, il medium del dipinto è decisamente quello meno utilizzato. Tra i pochi esemplari individuati, segnalo due tele di Charles Hunt (1803-1877), pittore vittoriano specializzato in scene di genere e incisore di cavalli e competizioni sportive (Hickman 2017). Nei due dipinti, databili al 1865 e passati all’asta da Sotheby’s nel 2017,[1] Hunt rappresenta il Matrimonio e l’Uccisione di Barbablù [fig. 7] all’interno di spazi domestici abitati unicamente da bambini che stanno mettendo in scena la favola di Perrault. Tutti collaborano alla realizzazione della mise en scène: chi cuce gli abiti di scena, chi li stira, chi porge lo specchio a Barbablù che sbircia preoccupato il suo profilo crinito. Per terra si notano delle] pagine strappate di un libro con delle illustrazioni, che tanto somigliano a un’edizione popolare della favola utilizzata per trarre ispirazione. Nella seconda scena, la giovane sposa liberata dal giogo mortale è ancora inginocchiata e in perfetto asse con la porta che lei stessa ha spalancato rivelando il terribile segreto del marito.

Infine, tra le varie declinazioni che la storia ha offerto agli artisti, c’è l’originalissima versione proposta dal grande artista americano Winslow Homer (1836-1910), pubblicata su Harpers Weekly del 1868 [fig. 8]. Nella pagina della diffusa rivista, più che raccontare la storia, si suggeriva come creare un gustoso siparietto per allietare amici e conoscenti nelle calde sere d’estate sulle note dell’opera Barbe-bleue di Offenbach. «The clever artist, Mr. Winslow Homer – si legge nell’incipit dell’articolo – has graphically illustrated a tableau of this sort representing Blue Beard and his wives, and one which is peculiarly attractive at this period, when the music of Offenbach’s sparkling opera may be heard on every street corner». Sostanzialmente il tableau vivant si componeva di una prima scena in cui la giovane sposa aveva appena ricevuto la chiave – gigantesca – della stanza proibita; a quel punto il sipario si sarebbe sollevato mostrando le teste mozzate delle mogli precedenti appese per i capelli, interpretate da sette attrici il cui corpo era celato da un tendaggio da cui, appunto, fuoriusciva solo il capo.[2]

 

Bibliografia

K. Andrea, ‘Learning from “good pictures”: Walter Crane’s picture books and visual literacy’, Word & image, 32, 4, October-December 2016, pp. 327-339.

L. Battaglia Ricci, Dante per immagini. Dalle miniature trecentesche ai giorni nostri, Torino, Einaudi, 2018.

Gustave Doré: l’imaginaire au pouvoir, catalogo della mostra (Parigi, Musée d’Orsay, 18 febbraio-11 maggio 2014; Ottawa, Musée des beaux-arts du Canada, 13 giugno-14 settembre 2014), a cura di P. Kaenel, Parigi, Musée d'Orsay, 2014.

U. Heidmann, ‘Ces images qui (dé)trompent… Pour une lecture iconotextuelle des recueils manuscrit (1695) et imprimé (1697) des contes de Perrault’, Féeries, 11, 2014, pp. 47-69.

J. Hickman, The engravings of Charles and George Hunt, 1820-1880: racing, coaching, hunting, landscapes & caricatures, edited and designed by H. Robertson, Norwich, Unicorn Press, 2017.

L. Marin, Lectures traversières, Paris, Édition Albin Michel, 1992.

M. Nikolajeva, How picturebooks work, London, Routledge, 2006.

M. O’Neill, Walter Crane: the arts and crafts, painting, and politics, 1875-1890, New Haven, Yale University Press, 2010.

J. Scharcz, Ways of Illustrator: Visual Communication in Children’s Literature, Chicago, ALA, 1982.

M. Woźniak, ‘Uno specchio deformante: le illustrazioni delle fiabe come lettura dell’altro’, in B. Ronchetti, M.A. Saracino, F. Terrenato (a cura di), La lettura degli altri, Roma, Sapienza Università Editrice, 2015, pp. 123-142.

 


1 https://www.sothebys.com/en/auctions/ecatalogue/2017/european-art- n09648/lot.33.html#.

2 Ringrazio Laura Tosi per avermi segnalato che in una scena di The Piano (Jane Campion, 1993) viene riproposto questo stesso tableau vivant, probabilmente ispirato proprio alle vignette di Winslow Homer pubblicate su Harpers Weekly.