Sulla scia di chi si è imbattuto nel personaggio di Pinocchio e non ha potuto fare a meno di ‘dialogare’ con lui si colloca Stefano Bessoni, scarabocchiatore (come lui stesso ama definirsi), regista e animatore romano, che nel 2014 ha proposto un’interessante e intensa riscrittura figurativa e testuale dell’originale collodiano con il suo Pinocchio. Anatomia di un burattino.
Già nel 1997 Bessoni aveva riletto l’opera di Collodi in forma di videoteatro con Pinocchio apocrifo, contaminando le avventure del burattino con influenze lombrosiane e shelleyane. In quell’occasione la ribellione della creatura forgiata dalle mani di Geppetto rimandava alla creazione in vitro dell’Homunculus di Paracelso o al perturbante Frankestein di Mary Shelley.
È lo stesso Bessoni a dichiarare della pagine del suo blog come l’anatomia, la teratologia, la patologia e altre forme di scientificità ossessiva facciano da sfondo a un nucleo di personaggi «riprodotti secondo una logica molto vicina a quella dell’uomo tardo medievale, come se Pinocchio fosse stato scritto, anziché da Carlo Lorenzini, da un sanguigno commediografo elisabettiano, per poi passare nelle mani di pittori come Bosch o Bruegel». Il primo Pinocchio bessoniano, muto e infelice, mostra i tratti del ‘delinquente nato’ di Cesare Lombroso, e su tutti aleggia il fantasma di Antonin Artaud che trasmuta il mondo in un luogo crudele e spietato, fatto di dolore e thanatos.
Come tutte le riscritture di Bessoni, anche Pinocchio. Anatomia di un burattino si muove sul piano grafico e narrativo, facendo compiere al lettore un viaggio non nel paese dei balocchi, ma in un sottosuolo macabro e misterioso. Non tradisce il testo originale ma, sulla falsariga di Calvino, ci ricorda che Pinocchio è il primo esempio italiano di letteratura gotica, un’opera di vagabondaggio e di fame, di locande mal frequentate, sbirri e forche, che andrebbe accostata alla letteratura di Hoffmann o di Poe. Bessoni va pertanto a ridestare con le sue tavole tutte quelle apparizioni che hanno un che di misterico e di alchemico, e il suo Pinocchio risulta così «influenzato dagli studi di biologia, dagli interessi per la zoologia e per l’anatomia, da diverse opere letterarie e dalle camere delle meraviglie» (Wonder Cabinets, 2016).
Diciassette tavole del volume sono dedicate alla prima parte di Pinocchio (quella che arriva all’ultimo episodio pensato da Collodi nel 1881 e che si conclude con il burattino impiccato all’albero), mentre undici ne illustrano la seconda.
Sfogliando le pagine del volume facciamo anzitutto la conoscenza di un Geppetto ingobbito, sdentato e dal naso rubizzo, che veste i panni di una sorta di Sgatti, becchino di fine Ottocento [fig. 1]. Geppetto (il cui vero nome è Giuseppe Bartolomeo Zacchìa, con allusione al Dott. Zacchìa, personaggio presente nel film Frammenti di scienze inesatte realizzato da Bessoni nel 2005) vuole costruirsi un burattino in grado di far tutto, e le prime tavole si concentrano difatti sul processo di assemblaggio di Pinocchio, in cui il falegname-demiurgo, con le sue lunghe mani affusolate, fabbrica uno ad uno o pezzi per il suo ‘meraviglioso’ burattino [fig. 2]. Seguono le tavole con gli altri personaggi dell’opera collodiana, sempre accomagnate dal testo, ora riformulato ora sintetizzato rispetto all’originale: il primo è il linguacciuto grillo verde smeraldo, elegante nel suo abito da gran sera [fig. 3]; ritroviamo poi i burattini (Arlecchino, Pulcinella e Mister Punch), che nel Gran Teatro riconoscono in Pinocchio il loro fratello, e Mangiafoco, con le gambe sottili e una folta chioma scura, i cui occhi cattivi e incavati mostrano un segno di cedimento solo quando sente il pianto di Pinocchio che teme di essere bruciato [fig. 4]. Tra queste prime tavole a sorpresa figura anche Cesare Lombroso, intento a esaminare il cranio di Pinocchio e pronto a esclamare: «Questo burattino è un eclatante esemplare di delinquente nato! Povero Geppetto, non poteva certo immaginare a quale deviato elemento avrebbe dato vita» (Bessoni, 2014) [fig. 5]. Le ultime quattro tavole di questa prima parte sono dedicate all’incontro con il Gatto e la Volpe, criminali sventurati che, come scrive Manganelli, non possono derubare Pinocchio in modo semplice (quasi un destino superiore lo impedisse) e finiscono con l’impiccarlo [fig. 6]. Queste creano il passaggio alle tavole riguardanti la Fata turchina, una smunta fanciulla dalla chioma enorme e profonde occhiaie [fig. 7], che Bessoni usa anche come immagine di copertina: un po’ fata e un po’ strega, la Fata è qui – sempre secondo le parole di Manganelli – donna magica, incantatrice, madre sadica, madre premurosa (Manganelli, 2002, pp. 100-101).
Nelle undici tavole dedicate alla seconda parte di Pinocchio non vengono considerati i capitoli dal XIX al XXIX, ovvero quelli che narrano le peripezie di Pinocchio dalla scoperta del furto delle monete d’oro fino al ritorno alla casa della bambina morta dai capelli turchini, che gli prometterà che il giorno dopo non sarà più un burattino. Le tavole e il testo di Bessoni si riallineano all’originale negli ultimi capitoli: dall’incontro con il pescatore verde che vuole friggere il burattino in padella a quello con Lucignolo, «tanto malandrino quanto svogliato a scuola» (Bessoni, 2014), alla trasformazione in asini. Dopo che lo sciagurato peregrinare e il ricongiungimento con Geppetto, l’ultima illustrazione mostra il cadavere del burattino tenuto in braccio, come in una macabra Pietà, da un ragazzo in carne e ossa, chiudendo così l’agile volumetto. «Lo sdoppiamento», secondo Veronica Bonanni, «pare alludere a una reincarnazione, a un passaggio dello spirito di Pinocchio da un corpo a un altro» (Bonanni, 2012); ma in questo caso, se osserviamo bene, lo scheletro è girato verso di noi e ci fissa, quasi a farci intendere che Pinocchio non potrà mai perdere la sua vera natura di burattino [fig. 8].
Va inoltre osservato che tutti i personaggi si muovono su sfondi indefiniti, con pochi colori (qualche accenno di verde, di celeste e di rosso, quest’ultimo presente però solo nelle tavole in cui compaiono i burattini e Mangiafoco), in cui cambiano solo le sfumature (dal grigio all’ocra). D’altra parte lo stesso Collodi fa muovere il suo burattino in uno spazio che non ha una precisa definizione e molti illustratori lo seguiranno in questa scelta (si vedano per esempio le illustrazioni di Enrico Mazzanti, quelle di Emanuele Luzzati o ancora il Pinocchio di Mimmo Paladino).
Bessoni ha creato con questa rilettura per immagini la sua personale ‘visione’ di Pinocchio: il suo burattino trickster è un essere innaturale, un diverso che cerca il suo posto all’interno di una società che lo chiama a sé e lo respinge allo stesso tempo. Ma se un burattino può resistere, proprio perché di legno, alle sofferenze inferte dal mondo, cosa ne sarà di Pinocchio una volta divenuto bambino? Forse è proprio per non dover rispondere a questa domanda che Collodi scrive la parola ‘fine’ prima che avvenga questa ulteriore ‘metamorfosi’, e forse per questo motivo, con la sua ultima tavola, Bessoni ci riconsegna insieme l’immagine del bambino e del burattino, come se quest’ultimo potesse proteggere l’altro ricordandoci, con uno sguardo perturbante, che lui non può morire.
Edizione di riferimento
S. Bessoni, Pinocchio. Anatomia di un burattino, Modena, Logos edizioni, 2014.
Bibliografia
V. Bonanni, 'Riscrivere la fine di Pinocchio. Tra parola e immagine', Between, n. 4, novembre 2012.
I. Calvino, 'Ma Collodi non esiste', la Repubblica, 19-20 aprile 1981, ora in Id., Saggi 1945-1985, Milano, Mondadori, 1981, vol. I, pp. 173-179.
C. Collodi, Opere, a cura di D. Marcheschi, Milano, Mondadori, 2006.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, introduzione di S. Bartezzaghi, prefazione di G. Jervis, con un saggio di I. Calvino, Torino, Einaudi, 2014.
W. Fochesato, 'Stefano Bessoni', Andersen, n. 329, gennaio-febbraio 2016, pp. 6-9.
G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Milano, Adelphi, 2002.
S. Scattina (a cura di), 'Incontro con Stefano Bessoni', Arabeschi, 7, 2016, pp. 6-24, <http://www.arabeschi.it/collection/incontro-con-stefano-bessoni>.
'Gli scarabocchi di Stefano Bessoni', Wonder Cabinets,