2.5. Intellettuale. Il Vangelo secondo Matteo di/su Pier Paolo Pasolini

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«Mi ringraziò a lungo, salutandomi, per l’occasione che gli avevo dato di ripensarsi ‘dentro’ una sua opera. Era l’intenzione di quel mio atto dal titolo Intellettuale». Riferendosi a Pier Paolo Pasolini, l’artista Fabio Mauri ricorda con queste parole, adesso accolte nel volume Il diaframma di Pasolini, la performance che si tenne il 31 maggio 1975 in occasione dell’inaugurazione della Galleria d’Arte Moderna di Bologna. Quella sera nell’atrio della Galleria, Pasolini, seduto in rigida posa su una sedia, lasciò che gli fosse proiettata sul torace, coperto da una camicia bianca, la prima parte del suo Vangelo secondo Matteo. Lo scrittore si prestò alla realizzazione della performance e divenne – attraverso il proprio corpo – un inconsueto supporto mediale, mezzo di trasmissione delle immagini, stabilendo con l’opera da lui stesso ideata un legame fisico, di suggestiva intimità.

Come era accaduto con il regista Miklós Jancsó, sul quale Mauri aveva proiettato sempre nel 1975 il suo film Salmo rosso nell’ambito dell’azione intitolata Oscuramento, anche Pasolini, già amico dell’artista dai tempi della prima giovinezza, decise di partecipare ad un atto performativo che lo identificò visivamente e senza nessuna mediazione con una delle sue creazioni filmiche. È l’immagine che procede dal piano concettuale e si fa corpo a catalizzare l’attenzione dell’artista e a racchiudere il senso di quella singolare operazione intellettuale:

l’identità d’autore, resa materialmente evidente, si riconferma in modo efficace ed elementare. Autore ed opera formano una scultura di carne e di luce, una unità compatta. Dimostrano, con la forza di una ‘visione’, d’essere una cosa sola.

Le dichiarazioni di Mauri, tratte dalla monografia Fabio Mauri. Ideologia e memoria, insistono su quest’aspetto indubbiamente centrale, ma di importanza non esclusiva se associato ad altri momenti e luoghi di svolgimento della performance.

Ad assistere alla proiezione erano amici, giovani e persone che attratte dall’avvenimento si trovavano stipate lungo il corridoio o sedute sul pavimento. Facendosi largo in mezzo alla gente, tra il pubblico si era ricavato un posto anche uno spettatore che ricoprì un ruolo ben definito; su invito di Fabio Mauri, Antonio Masotti, allora fotografo della Galleria di Bologna e assistente di Italo Zannier presso il DAMS, immortalò in una sequenza di scatti memorabili l’evento che si stava consumando sotto i suoi occhi. Si tratta di documenti confluiti in una collezione privata che hanno fissato una volta per tutte istanti e frammenti di un accadimento artistico di per sé effimero; sono immagini sulle quali è ancora possibile contemplare, in una significativa alternanza di luce e ombra sulla figura eretta di Pasolini – il volto e le gambe al buio, il busto illuminato come uno schermo –, la proiezione dei primi piani di Enrique Irazoqui, Cristo ribelle nella lettura pasoliniana del Vangelo, o di Susanna Colussi Pasolini, incarnazione autoreferenziale della pietà della Vergine.

Oltre che a isolare il fluire delle scene e dei personaggi sulla silhouette immobile dell’autore, la sequenza accoglie anche una foto realizzata da un diverso angolo di visuale, uno scatto che ritrae Pasolini di spalle visibilmente accerchiato dal pubblico e quasi trafitto dal fascio di luce emanato dal proiettore. L’immagine si pone come la spia di una dimensione metatestuale che ad un’osservazione più attenta è possibile ravvisare anche nelle fotografie eseguite con inquadratura frontale ed è lo stesso Masotti a fornire alcuni chiarimenti, tratti ancora dal volume Il diaframma di Pasolini:

osservando attraverso il mirino della macchina fotografica, vidi che dietro alla ‘postazione’ di Pasolini e separate da porte a vetri, vi erano alcune figure estranee all’accadimento che non vedevano la proiezione essendo dietro allo ‘schermo’, ma che si muovevano e assumevano pose e gesti che in alcuni momenti davano la sensazione di entrare a far parte di quello che stava accadendo nelle immagini proiettate.

L’intervento della fotografia nel corso dell’azione contribuì, dunque, ad amplificare e a potenziare il gioco di sguardi e l’intreccio delle prospettive tra autore, attori e pubblico, estendendo l’essenza performativa dall’interazione lineare di Pasolini con la propria opera all’intero spazio che in quel momento faceva da scenario all’evento, diventandone parte integrante. L’opera andò incontro ad una significativa scomposizione e avviò con la realtà circostante un’interazione a tutto tondo: le sequenze del film si rifransero sullo schermo umano che per primo le aveva prodotte restando invisibili al poeta-regista, mentre il sonoro, volutamente mantenuto a volume elevato, consentì di seguire e di ricostruire le scene nella stessa misura in cui disorientò l’autore, per via di una presenza ridotta dei dialoghi rispetto all’elemento musicale, tratto tipico del cinema pasoliniano.

Del resto, la produzione dello scrittore non è estranea alle suggestioni provocate dalle funzionali oscillazioni tra interno ed esterno del testo. Si pensi al III Episodio di Calderón, nel corso del quale il dialogo tra la protagonista Rosaura e i genitori, Re Basilio e Lupe Regina, dinamizza i contorni di un’insolita ambientazione, il celebre dipinto di Velázquez Las Meninas. Alludendo all’interpretazione del quadro contenuta nel primo capitolo del foucaultiano Le parole e le cose e seguendo passo passo il dispiegarsi di un’ekphrasis, Pasolini riprodusse sulla pagina scritta il movimento, veicolato dagli sguardi dei personaggi, che sostiene la dialettica tra la parte esterna alla cornice dell’opera, invisibile ma partecipe della struttura del dipinto attraverso uno specchio collocato nella sua parete di fondo, e lo spazio interno, quello nel quale Velázquez aveva ritratto se stesso nell’atto di dipingere. La componente metapittorica delle Meninas, il circuito chiuso della sua geometria compositiva e contemporaneamente aperto al coinvolgimento dei soggetti collocati al di qua della soglia del visibile, sul piano del reale, erano confluiti nel dramma del ’73 per sancire, attraverso una metaforica sostituzione della figura del pittore con quella dell’autore della tragedia e dei rispettivi personaggi, l’impossibilità di una via di fuga dal mondo borghese.

Di questa posizione liminale dell’autore Pasolini ha elaborato diverse, affascinanti declinazioni, fino a giungere nella fase matura del suo lavoro a un’esposizione di sé e del proprio corpo più marcata che negli anni precedenti. Un’interessante dimensione performativa è riscontrabile, ad esempio, nel servizio fotografico commissionato a Dino Pedriali nell’ottobre del 1975, pochi mesi dopo la realizzazione di Intellettuale. Stando alle dichiarazioni del fotografo romano, lo scrittore aveva espresso una serie di richieste relative non soltanto all’ordine di successione degli scatti, ma anche alla scelta del punto di vista e delle modalità di ripresa. Le foto ritraggono l’autore a Sabaudia e tra le camere ristrutturate della Torre di Chia, ultimo rifugio e sede di stesura di alcune parti di Petrolio. È proprio alle pagine magmatiche di quest’opera narrativa che, probabilmente, gli scatti di Pedriali avrebbero dovuto fare da corredo visivo, stabilendo una palese compenetrazione tra l’immagine dell’autore e la propria opera.

Il corpo di Pasolini come artefice di una dialettica che attenua il discrimine tra realtà e finzione, sia essa letteraria o artistica, risuona quasi come un leitmotiv negli anni Settanta e si lega ad una determinata assunzione di responsabilità; non prende le distanze l’ultimo Pasolini dal suo messaggio, ma lo fa diventare materia, esponendosi in carne e ossa.

 

Bibliografia

P.M. De Santi, A. Mancini (a cura di), Il diaframma di Pasolini, Pisa, Titivillus, 2005.

P.P. Pasolini, Calderón, Milano, Garzanti, 1973, ora in Id., Teatro, a cura di W. Siti, S. De Laude, Milano, Mondadori (I Meridiani), 2001.

P.P. Pasolini, Una vita futura. La forma dello sguardo, a cura di F. Mauri, Roma, Associazione Fondo Pier Paolo Pasolini, 1985.

P.P. Pasolini, Petrolio, a cura di M. Careri, G. Chiarcossi, Torino, Einaudi, 1992, ora a cura di S. De Laude, Milano, Mondadori, 2005.

D. Pedriali, Pier Paolo Pasolini, Roma, Magma, 1975.

D. Pedriali, Pier Paolo Pasolini, Monza, Johan & Levi, 2011.

Fabio Mauri. Ideologia e memoria, a cura dello Studio Fabio Mauri, Torino, Bollati Boringhieri, 2012.