2.3. Desideri sotto la pelle: figure femminili nel cinema di Valerio Zurlini

di

     
Categorie



Questa pagina fa parte di:

  • [Smarginature] Pelle e pellicola. I corpi delle donne nel cinema italiano →

1955. Tosca, Mafalda, Gina, Silvana, Loretta: le ragazze di San Frediano corrono intorno a Bob e, senza saperlo ancora, corrono verso il boom [fig. 1]. Quando, negli anni dei Pane e amore, la commedia si appresta a spostarsi in città, queste povere ma belle della Firenze popolare e corale di Pratolini, interpretate da Rossana Podestà, Giovanna Ralli, Marcella Mariani, Giulia Rubini e Luciana Liberati, con la loro esuberante vivacità anticipano nel lungometraggio d’esordio di Zurlini i ruoli di Marisa Allasio e di Alessandra Panaro, e inaugurano l’interesse del regista per le figure femminili. Se il film è ʻdedicatoʼ al giovane rubacuori dalle presunte fattezze del divo hollywoodiano e agli altri Bob come lui, sono queste donne poco più che adolescenti, con i loro corpi snelli, i loro desideri confusi e l’unica certezza di voler conquistare l’amore di Andrea, a tessere un racconto che ne metterà piuttosto in luce le menzogne, i facili inganni, l’inettitudine. Ma nessun matrimonio allieterà il finale di questa unica commedia di Zurlini, che termina davanti a un treno e in una stazione, uno dei luoghi più cari al regista bolognese, segnato dall’impossibilità dei rapporti e dalla ineluttabilità del commiato: Bob non partirà con la facoltosa stilista e, forse, non lascerà mai il vicolo e la sua officina, mentre, forse ancora, una di quelle ragazze ha già preso in mano la valigia con la speranza di mutare il suo destino. Anche in Italia, intanto, sono arrivati i 45 giri, sta per arrivare il juke-box e i bar diventano un’altra cosa: Guendalina dell’omonimo film (1957) e i suoi amici ci passano i pomeriggi, e la spiaggia è ormai il luogo delle vacanze, delle canzoni e degli incontri. Zurlini avrebbe dato molto a questo suo ritratto di adolescente, che Ponti preferì invece affidare a Lattuada. Il ʻnoiʼ dei giovani di cui scrive Capussotti si declina qui in un conflitto che non è solo generazionale ma di classe, passando attraverso i corpi e il corpo, poi a lungo amato, di Jacqueline Sassard. Come le altre giovani straniere del cinema italiano del decennio a venire, Sassard vestirà ruoli inconsueti e ribelli in una modalità ritenuta meno offensiva rispetto a quelle norme patriarcali ormai troppo strette per le ragazze della ʻprima generazioneʼ, indicando piuttosto nuovi modelli di indipendenza e libertà per le giovani spettatrici. Nel film che Zurlini riesce a girare soltanto cinque anni dopo, Sassard-Rossana è una delle ragazze di una comitiva in vacanza a Riccione. In quell’estate del ʼ43 che racconta Estate violenta (1959), primo capitolo della ʻtrilogia adriaticaʼ, e che era stata anche del regista, i giovani, scrive Morreale, somigliano a quelli degli anni Sessanta e di un filone balneare che proprio in quegli anni riprende vigore, ma il registro zurliniano è, come sempre e per sua stessa ammissione, disperato. Se Rossana, che vorrebbe le attenzioni di Carlo – un ventenne figlio di un gerarca che come i suoi amici è riuscito a tenersi a distanza da una guerra che qui sembra lontana, ma che non manca di apparire in tutta la sua violenza –, è una ragazza spigliata e di carattere che crede di sapere cosa significhi ʻfumare una sigaretta in dueʼ [fig. 2], la Roberta di Eleonora Rossi Drago (una delle ex-ragazze di Miss Italia), vedova di una medaglia d’oro, madre di una bambina e figlia di una donna tirannica e austera (come non ricordare Perdutamente tua?), scopre per la prima volta nei suoi trent’anni la passione e l’amore. In questo melodramma borghese e d’autore, che intreccia il familiare e il materno, il bellico e il noir e che sembrerebbe privilegiare il protagonista maschile in un racconto di formazione dove, come accadrà nei film successivi, l’impossibilità dell’incontro tra i soggetti, condannati, come dice Canova, a non poter sperare, si misura sul piano dell’età e/o anche della classe sociale (La ragazza con la valigia, 1961) e dove la sfera privata non sfugge dal misurarsi con gli imperativi del sociale e della storia, è la figura sensuale e altera di Roberta ad acquistare un rilievo inatteso. Così la sequenza del ballo, un momento ricorrente e decisivo nella filmografia del regista, non è in realtà che il punto di implosione, sulle note di Temptation e poi di Mario Nascimbene, di un racconto di rumore e furore che ha inizio con gli esiti devastanti di una guerra osservata prima che vissuta, e che diviene elemento intrusivo e scatenante già nel corso del primo incontro sulla spiaggia. In questa storia tracciata dagli sguardi il paesaggio, San Marino e la progettata visita al Castello di Gradara che fu di Paolo e Francesca, è il teatro necessario alla messa in scena di un crescendo di emozioni leggibile sulla pelle. Un teatro scarno, deserto, vuoto come nelle inquadrature di Antonioni, a sottolineare lo spaesamento e la solitudine dei personaggi, ma che, come le marine ricorrenti nella trilogia, risuona della nostalgia di qualcosa di originario e di irrimediabilmente perduto. Qui gli occhi rivolti al cielo come nei film del maestro Rossellini non scoprono i miracoli delle stelle ma i bengala che illuminano la notte, pietrificando come in un incantesimo i giovani spettatori. E in questa ri-creazione di una relazione d’incanto, la notte, una notte che appartiene alla guerra e alla luna, si premura di nascondere e rivelare, affidando agli occhi di Roberta e al suo scambio di sguardi con Carlo che balla con Rossana [fig. 3], poi ai morbidi movimenti del suo corpo e delle sua braccia quando balla con lui, la regia del segmento che si conclude con l’atteso bacio in giardino sorpreso dall’arrivo della ragazza. Così la spiaggia deserta, divisa tra la notte e l’alba, diviene il luogo di incontri sempre più scandalosi e inaccettabili e Rossi Drago (già protagonista di Le amiche) può ricordare la Vitti di L’avventura con la sabbia tra i capelli [fig. 4]. Piste di sabbia, come le chiama Borri, a disegnare il percorso di Zurlini e del regista ferrarese, ma, nel caso del Nostro, esse riconducono al punto di partenza, a un ritorno spettrale che mai sarà così esplicito come nella Rimini di La prima notte di quiete (1972). Il 25 luglio manda per aria, insieme alla Casa del Fascio e alla carriera di Caremoli padre, l’inerzia vacanziera di Riccione e di un’intera classe sociale. La fuga in treno della coppia verso la villa di Rovigo e una presunta libertà naufraga sotto un rumore di bombe più violento del furore della passione. Se Roberta rinuncia al suo voler essere qualcos’altro oltre che madre [fig. 5], Carlo si avvia lungo i binari dell’incertezza, per raggiungere il ʻbrancoʼ o, futuro Dominici del terzo capitolo della trilogia, per starne fuori per sempre, straniero nella sua stessa casa, nella sua stessa terra. Addii.

In La ragazza con la valigia, sarà ancora un adolescente borghese a salire sul treno che lo riporta a casa quando un’altra storia d’amore impossibile è finita. Ma il regista chiuderà il film con i passi sconsolati e consapevoli della protagonista che si allontana dalla stazione nella notte. Le devastazioni del boom ora possono essere commentate in maniera più esplicita e tuttavia Zurlini, a volte con un’ironia amara, di nuovo ricorre a un registro epifanico. Così Aida-Claudia Cardinale ci appare da lontano, quando un treno che corre in senso opposto ha tagliato l’inquadratura, sulla spider di Marcello Fainardi, giovane aristocratico che cerca solo il modo di scaricare lei e la sua valigia. Una valigia che racchiude la sua vita girovaga e in cerca di fortuna. Ma la ragazza, un po' furba e un po' innocente, ha un nome che celebra una passione immortale, una condizione di schiavitù (il suo corpo per gli sguardi maschili è solo una delle merci da scambiare dietro il miraggio di una carriera da balera o di un provino che non verrà mai) e, naturalmente, il melodramma. Quando riappare a Lorenzo, il più giovane Fainardi, sullo scalone della villa sulle note celesti dell’opera verdiana come sul palcoscenico di un teatro, ma anche come la Phyllis di La fiamma del peccato, dà inizio a un gioco di innocente purezza intriso di sensualità e, insieme, a un inutile sogno di riscatto [fig. 6]. Di nuovo i momenti del ballo, quando lei (come l’Adriana di Io la conoscevo bene (1965) o come la Vanina di La prima notte di quiete col suo fidanzato-padrone) si abbandona tra le braccia del lusingatore di turno sotto gli occhi desideranti e delusi di Lorenzo, per scoprire subito dopo, sedendogli accanto, l’intensità di un sentimento che raggiunge il suo cuore (e l’immancabile giradischi diffonde le note di Impazzivo per te) [fig. 7]; e dell’incontro sulla spiaggia, quando lei ha capito tutto e ha lasciato Parma per tornare a Rimini e riprendere la sua vecchia vita e Lorenzo è venuto a cercarla, sono quelli di una verità che strappa il velo sociale del dover sopravvivere e di tutta la sua violenza, e quello sempre sottile che avvolge i sentimenti [fig. 8]. E ancora addii in La prima notte di quiete, dove è il maturo professore a innamorarsi della giovanissima allieva quando entrambi sembrano provenire dal passato (la straordinaria somiglianza di Sonia Petrova e Sassard) al pari di quella ricerca di una primordiale purezza perduta che conduce, in Zurlini, all’impossibilità dei rapporti. Qui è Dominici a essere protagonista, nelle derive di una pulsione distruttiva che lo conduce fino a una morte non voluta ma cercata, mentre, alla guida dell’auto che dovrebbe portarlo da Vanina che ha preso un treno per cominciare anche lei una nuova vita, il passato continua, come nei noir, a stargli addosso; e con esso il rimorso per l’abbandono di Monica, una Lea Massari non meno devastata da un desiderio di felicità, che Daniele non ha saputo darle e che riversa su partner occasionali. Il ʼ72 non è il ʼ43 e la conquistata libertà sessuale delle donne deve fare i conti con un universo maschile abietto e asservito al denaro. I film di Zurlini, in questa sua via che dalla realtà porta all’astrazione, sono tutti film politici. E se egli si definisce comunista e cristiano, si tratta di un cristianesimo in cui, come già in Rossellini secondo Rohmer, la carnalità dei corpi è inscindibile dal regno dello spirito. In un film che coraggiosamente riapre una pagina della nostra storia – il ruolo degli italiani nella guerra contro la Grecia –, Le soldatesse (1965, dal romanzo di Pirro, ma dietro tutto e come sempre Tolstoj), il racconto del viaggio di un gruppo di prostitute affidate a un tenente italiano che deve distribuirle tra i vari campi a beneficio dei nostri militari, assume, come è stato detto, la delicatezza di una confessione. Ebe, Elenitza, Eftichia, Aspasia, Toula con la loro presenza, le loro storie, sentimenti, corpi, gesti compongono un nuovo coro questa volta segnato dal dolore, dall’umiliazione, dalla perdita della maternità, dall’amore nascente e dall’occorrere della morte. Ma sono loro a conservare quei brandelli di innocenza, di dignità e di solidarietà che le smarcheranno dal mondo maschile, violento e corrotto del fascismo e della guerra; e a donare via via al tenente che si innamora di Eftichia, che infine raggiungerà i partigiani sulle montagne separandosi da lui, una nuova, impotente, consapevolezza. Nostalgia dell’origine dicevamo: l’immagine fugace di una madre che ricorda il giorno in cui il figlio ha lasciato la casa per mai più farvi ritorno apre, quando lo sguardo non riesce ad amare altro che il deserto, il film definitivo e ultimo di Zurlini: Il deserto dei tartari (1976).

 

 

Bibliografia

A. Borri, ʻIl gioco delle piste di sabbia. Dentro il paesaggio di Zurliniʼ, in E. Di Mauro, C. Mancini, Destino e finitezza. Su Valerio Zurlini, Ancona, Affinità Elettive, 2011, pp. 95-106.

G. Canova, ʻEstate violenta di Valerio Zurliniʼ, Fata Morgana, 30, 2016, pp. 15-21.

E. Capussotti, Gioventù perduta. Gli anni Cinquanta del cinema e dei giovani in Italia. Firenze-Milano, Giunti, 2004.

J. A. Gili, ʻEntretien avec Valerio Zurlini [1978]ʼ, in S. Toffetti (a cura di), Valerio Zurlini, Torino, Lindau, 1993, pp. 31-54.

L. Micciché (a cura di), La prima notte di quiete di Valerio Zurlini: un viaggio ai limiti del giorno, Torino, Lindau-Associazione Philip Morris, 2000.

E. Morreale, L’invenzione della nostalgia. Il vintage nel cinema italiano e dintorni, Roma, Donzelli, 2009.

M. Nicoletto, Valerio Zurlini. Il rifiuto del compromesso, Alessandria, Falsopiano, 2016.

S. Piccone Stella, La prima generazione. Ragazze e ragazzi nel miracolo economico italiano, Milano, Franco Angeli, 1993.

S. Tarquini, ʻDelicato come una confessione. Le soldatesseʼ, in E. Di Mauro, C. Mancini, Destino e finitezza. Su Valerio Zurlini, cit., pp. 53-64.

V. Zurlini, Pagine di un diario veneziano. Gli anni delle immagini perdute (1983), Fidenza, Mattioli 1885, 2009.