2.3. Il Pinocchio parallelo

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  • Il corpo plurale di Pinocchio. Metamorfosi di un burattino →

Nella figura di Pinocchio è insita una profonda ambiguità che la rende metamorfica e sfuggente alle classificazioni. Pinocchio è e non è allo stesso tempo: la sua è la storia della trasformazione di un pezzo di legno in bambino, ma è anche qualcos’altro di inspiegabile, una oscura e perturbante eccedenza di senso. Proprio sull’indagine della sfasatura tra significato di superficie (la storia del burattino) e significato nascosto (le innumerevoli altre storie possibili) si fonda il Pinocchio: un libro parallelo (1977) di Giorgio Manganelli [fig. 1]. Allo scrittore, ossessionato da Pinocchio (tanto da tenerne sempre una copia sulla sua scrivania), era stato affidato il compito di redigere un commento dell’opera collodiana, ma egli non può tenere a freno la sua immaginazione e scrive un libro autonomo, un ‘libro parallelo’ che sviluppa in tutte le direzioni le storie potenziali sommerse nell’originale attraverso una serie di divagazioni che risultano al medesimo tempo plausibili e improbabili. Per Manganelli un ‘libro parallelo’ non si configura semplicemente come una lamina che imita e trascrive l’originale, ma come un cubo, perché «esso è percorribile non solo secondo il sentiero delle parole sulla pagina, coatto e grammaticalmente garantito, ma secondo altri itinerari, diversamente usando i modi per collegare parole e interpunzioni, lacune e ‘a capo’». Se un libro viene inteso nelle sue tre dimensioni, allora «diventa così minutamente infinito da proporsi, distrattamente, come comprensivo di tutti i libri paralleli, che in conclusione finiranno con l’essere tutti i libri possibili». La regola aurea del ‘parallelista’ non può che essere formulata così: «Tutto arbitrario, tutto documentato». Nel testo originale sono presenti tutti gli indizi che, una volta sviluppati, conducono verso territori inesplorati, storie ulteriori, ambigue e contraddittorie [figg. 2-4].

In questa prospettiva, una suggestione determinante si rivela la pubblicazione del saggio Pinocchio uno e bino (1975) del filosofo Emilio Garroni, che concentra l’attenzione sulla possibilità di leggere il libro come due romanzi in uno, poiché sia dal punto di vista filologico sia da quello narrativo risulta evidente una duplicità strutturale. Secondo Garroni, si può parlare di un Pinocchio i che comprende i capitoli I-XV e un Pinocchio ii che si svolge dal primo capitolo fino alla fine. Nel primo viene raccontata la rapida «corsa verso la morte» del burattino che fa di tutto per perdere la vita e che sembra riuscirci quando viene impiccato alla Quercia grande; nel secondo viene raccontata la storia della trasformazione del burattino in bambino, attraverso vari episodi fantastici e rocamboleschi, che hanno la funzione di modificare il senso del Pinocchio i attenuandone il crudo moralismo in maniera rassicurante e pedagogica.

Manganelli non poteva che restare affascinato da questa bipartizione intrinseca al testo, che consente non solo due letture dell’opera ma attribuisce anche una duplicità semantica alle parole del Pinocchio I, che può essere letto singolarmente o come nucleo del Pinocchio II. Dunque, tale espansione di plurimi ‘pinocchi’ interrelati porta Manganelli ad affermare che «questo ‘libro parallelo’ non sta né accanto, né in margine, né in calce; sta ‘dentro’, come tutti i libri, giacché non v’è libro che non sia ‘parallelo’». In qualche modo il libro manganelliano era già insito nell’originale, così come la pluralità semantica dell’originale sfugge anche a Collodi, costretto a ‘normalizzare’ la sua opera per renderla meno realisticamente crudele. Manganelli sfrutta le lacune semantiche, i sottintesi, le contraddizioni per immergersi in profondità nel testo, tra una parola e l’altra, dilatando le possibilità interpretative tendenzialmente all’infinito: l’inizio antifiabesco in cui il «C’era una volta...» non è seguito da «un Re» ma da «un pezzo di legno»; la volontà di morte di Pinocchio e il suo finto cadavere; l’ambigua figura della Bimba morta-Fata-Mammina. L’espansione semantica dà luogo a un Pinocchio ulteriore, che risulta identico e differente all’originale: infatti, pur perdendo i caratteri moralistici dell’educazione ottocentesca (rappresentati dal Grillo che viene ucciso da Pinocchio subito dopo avergli predetto un destino di morte), acquisisce nuovi significati legati da un lato alla contestazione giovanile degli anni Settanta e dall’altro all’insofferenza dello scrittore verso un dominio della critica strutturalista in ambito letterario.

Una tale apertura del testo verso innumerevoli interpretazioni e contaminazioni non poteva essere ignorata in campo artistico. Infatti più di un artista contemporaneo ha utilizzato il Pinocchio ‘parallelo’ come spunto per realizzare le proprie opere, lasciandosi condurre verso la dimensione cubica del libro. Quest’anno – per la prima volta in assoluto – è stata allestita una mostra che raccoglie le opere d’arte ispirate ai libri di Manganelli, intitolata Manganelli finxit. Arte come menzogna, a cura della figlia dello scrittore Lietta e di Vittorio Sgarbi, presso la Casa delle Poesia e il Collegio Raffaello di Urbino (13 aprile-30 giugno 2017). La mostra raccoglie opere d’arte ‘parallele’ che sviluppano la scrittura manganelliana, realizzate da artisti quali Nanni Balestrini, Paolo Beneforti, Paolo Della Bella, Franco Grittini, Giulia Maldini, Franco Nonnis, Gastone Novelli, Giovanna Sandri, Marisa Bello e Giuliano Spagnul.

Riguardo al Pinocchio parallelo, risulta di notevole interesse l’operazione compiuta nel 2007 da Marisa Bello e Giuliano Spagnul, che hanno lavorato in coppia per dare vita a dodici tavole – collage di materiali misti – attraverso cui raccontare le innumerevoli avventure ‘parallele’ del burattino. Nella presentazione dell’esposizione tenutasi per la prima volta presso la libreria Utopia di Milano, Spagnul associa la strategia esegetica di Manganelli all’immagine del gomitolo da districare, e così facendo espone il principio della propria tecnica compositiva: infatti, «sfilando un filo per volta, da questa nuova intricata matassa, si possono cercare significati, la cui autorità non si può imporre come esaustiva, abrogante degli altri possibili percorsi alternativi». Se già il Pinocchio collodiano era un groviglio ricco di significati potenziali, ancor di più il Pinocchio parallelo, mentre districa un filo per volta, produce ulteriori grovigli di senso in un’infinita trama di contaminazioni. Le tavole di Bello e Spagnul si caratterizzano così per una serie di fili di materiali diversi che attraversano le figure, imbrigliandole, disarticolandole oppure spezzandosi per lasciarle libere di agire [fig. 5].

Nella prima tavola, che s’intitola C’era una volta, si vede la prima metamorfosi delle molte che subisce Pinocchio, mentre da pezzo di legno parlante diventa faticosamente un burattino senza l’aiuto di Geppetto, quasi come se fuoriuscisse dal tronco in cui era imprigionato. Il catastrofico e provocatorio inizio della fiaba si fonda sull’assenza irrituale di un Re e sull’impertinenza dimostrata in nuce dal futuro Pinocchio, ancora pezzo di legno, che nel primo capitolo giunge quasi casualmente a casa di Mastro Ciliegia e che solo nel terzo capitolo nasce/si trasforma, quando la storia è già avviata senza essere davvero cominciata [fig. 6].

La figura di Mangiafoco attira particolarmente l’attenzione di Manganelli per il suo status assai ambiguo: Burattinaio-Orco che non incute timore nemmeno ai burattini di cui tira le fila. Nel 1981, d’altra parte, Manganelli sceneggia una ‘intervista impossibile’, per la regia di Monicelli, in cui Vittorio Gassman interpreta Mangiafoco. Secondo lo scrittore, il burattinaio è «una figura insanabilmente duplice», perché «nel Gran Teatro e nel rapporto con i burattini dovrebbe essere Orco; ma s’è visto che come Orco non è attendibile: la vociaccia è messa assieme con l’aiuto di un grave raffreddore, la barba ora è scarabocchio, ora grembiale. […] Un Orco schizoide». La stessa ambiguità domina anche il ritratto di Mangiafoco, che appare come un omone barbuto con volto mascherato che tenta di spaventare i burattini, ma in realtà li sorregge sulle spalle come un fratello maggiore e si scioglie nel momento in cui Pinocchio lo bacia sul naso. Quella del Gran Teatro è una messa in scena necessaria, in cui ognuno svolge il ruolo assegnato (il burattinaio-orco, i burattini-vittime), affinché il burattino-bambino possa dar prova della propria capacità di ribaltare le situazioni. Per Manganelli si tratta anche della messa in scena della parola nel Gran Teatro della letteratura, un mondo «inesauribilmente contraddittorio», dove «la esilità della esistenza teatrale non può produrre che morti esili, suicidi effimeri, lacerazioni senza disperazione» [fig. 7].

Altra figura determinante è quella della Fata, che appare sotto diverse spoglie femminili, diventando il vero motore della storia, soprattutto nella seconda parte del libro. Secondo Manganelli, in questa fiaba priva di Re essa si configura come la Regina incontrastata che si trasforma di volta in volta per seguire le numerose metamorfosi che dovrà subire l’amato burattino: «la Regina solitaria ed infeconda, la Signora degli animali, la vecchina, la donnina stanca sotto il peso delle brocche, la padrona della Lumaca, la Bambina morta; ma, anche, la metafisica adescatrice di un fratellino, un figlio». Per questa ragione, Bello e Spagnul le hanno dato le fattezze di un fata ‘alchemica’, simbolo del mutamento che conduce il burattino fino a una morte non definitiva: «una eredità il vecchio ha consegnato al nuovo Pinocchio, ed è eredità decisiva: egli non ha madre e non è orfano. La sua origine misteriosa è intatta. Il nuovo Pinocchio può cominciare a prepararsi ad un nuovo itinerario, ad una nuova notte di transito». Pinocchio è un personaggio che vive in transito, vive per morire e trasformarsi in qualcos’altro; perciò Pinocchio è ‘uno e bino', è il groviglio delle avventure possibili di una infinità di pinocchi ‘paralleli’ ancora da scoprire.

 

Bibliografia

E. Cavazzoni (a cura di), Album fotografico di Giorgio Manganelli. Racconto biografico di Lietta Manganelli, Macerata, Quodlibet, 2010.

E. Garroni, Pinocchio uno e bino, Roma-Bari, Laterza, 1975.

A. Maiello, ‘Pinocchio’, Riga, 25, 2006, pp. 456-470.

G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Torino, Einaudi, 1977, ora Milano, Adelphi, 2002.

G. Manganelli, Le interviste impossibili, Milano, Adelphi, 1997.

Manganelli Finxit. Arte come menzogna alla Casa della Poesia di Urbino’, «L’Altro giornale», <https://www.laltrogiornale.it/2017/04/manganelli-finxit-arte-menzogna-alla-casa-della-poesia-urbino> [accessed 31 may 2017]