Nella figura di Pinocchio è insita una profonda ambiguità che la rende metamorfica e sfuggente alle classificazioni. Pinocchio è e non è allo stesso tempo: la sua è la storia della trasformazione di un pezzo di legno in bambino, ma è anche qualcos’altro di inspiegabile, una oscura e perturbante eccedenza di senso. Proprio sull’indagine della sfasatura tra significato di superficie (la storia del burattino) e significato nascosto (le innumerevoli altre storie possibili) si fonda il Pinocchio: un libro parallelo (1977) di Giorgio Manganelli [fig. 1]. Allo scrittore, ossessionato da Pinocchio (tanto da tenerne sempre una copia sulla sua scrivania), era stato affidato il compito di redigere un commento dell’opera collodiana, ma egli non può tenere a freno la sua immaginazione e scrive un libro autonomo, un ‘libro parallelo’ che sviluppa in tutte le direzioni le storie potenziali sommerse nell’originale attraverso una serie di divagazioni che risultano al medesimo tempo plausibili e improbabili. Per Manganelli un ‘libro parallelo’ non si configura semplicemente come una lamina che imita e trascrive l’originale, ma come un cubo, perché «esso è percorribile non solo secondo il sentiero delle parole sulla pagina, coatto e grammaticalmente garantito, ma secondo altri itinerari, diversamente usando i modi per collegare parole e interpunzioni, lacune e ‘a capo’». Se un libro viene inteso nelle sue tre dimensioni, allora «diventa così minutamente infinito da proporsi, distrattamente, come comprensivo di tutti i libri paralleli, che in conclusione finiranno con l’essere tutti i libri possibili». La regola aurea del ‘parallelista’ non può che essere formulata così: «Tutto arbitrario, tutto documentato». Nel testo originale sono presenti tutti gli indizi che, una volta sviluppati, conducono verso territori inesplorati, storie ulteriori, ambigue e contraddittorie [figg. 2-4].
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