Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, Milano, Electa, 1967

di

     
Categorie



Questa pagina fa parte di:

Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, a cura di Lanfranco Caretti, introduzione di Riccardo Bacchelli, illustrazioni di Fabrizio Clerici, Milano, Electa, 1967, 3 voll.

Trascelti tre vertici nella tradizione iconografica del poema (Doré, Fragonard e l’incisore guidato da Ruscelli per l’edizione cinquecentesca impressa da Valgrisi), Clerici si propose di offrire un Furioso ‘nuovo’, intenzionalmente «commento grafico» più che ‘illustrazione’, a partire da un inedito formato: 158 tavole autonome e 47 rapidi disegni nel volume col testo. Le litografie individuano molte zone del poema mai illustrate prima, indugiando sulla drammaticità delle scene spesso sottolineata da un andamento a spirale nella composizione, con corpi umani e animali tesi in espressive inarcature. Il segno aderisce volentieri al tono disomogeneo delle ottave, passando da liquidi paesaggi in stile orientale a virtuosismi analitici nella resa di chiome, abiti e criniere imparentati con la grafica di Arcimboldo e con la precisione del calligrafismo ottocentesco. Anche il colore, intervenendo sempre sulle già nette linee del disegno con poche ricorrenti tinte, risponde alle esigenze degli episodi: evidenzia la traiettoria di un incantesimo di Malagigi, il sangue della testa mozzata di Orrilo, la figurina di Bradamante nell’antro di Merlino. In due casi una larga campitura inquadra l’intera scena: la prima, rosso chiaro, fa invisibile Angelica, la seconda, dorata, distingue le arpie ‘vere’ di Senapo da quelle allegoriche che minacciano l’Italia accecata. Se per gran parte dei profili dei cavalieri, sottili e allungati, si è parlato delle influenze di El Greco e Scipione, i numerosissimi cavalli citano esplicitamente i taccuini leonardeschi, i cui bozzetti tornano anche nei motivi delle spade e delle scale. La memoria visuale di Clerici, tratto distintivo già in pittura, fa convergere su Ariosto le ispirazioni più disparate: così la follia di Orlando ricalca il teschio di un celebre autoritratto di Böcklin, navi e torri riprendono le tele di Brueghel, l’eremita del canto secondo risponde all’iconografia medievale di Balaam e i tratti esplosivi del Don Chisciotte illustrato da Dalì tornano, magari più giustificate, nella furia di Orlando contro gli eserciti di Alzirdo e Manilardo. Le architetture fantastiche evocano quelle ideali tra rinascimento e barocco (con letterali citazioni da Dietterlin), mentre l’insistente motivo della caduta di uomini e animali dialoga col Fetonte michelangiolesco, le cui naiadi sembrano aver suggerito all’artista la postura di Astolfo trasformato in mirto. Agli scontri impaginati alla maniera delle grandi mischie cinquecentesche (con il fantasma delle battaglie di Anghiari e di Cascina, e la loro fortuna, a suggerire più di un modulo compositivo) si contrappongono ritratti in primo piano dei personaggi, caricati di drammaticità o rivelati nella loro ambiguità da intrecci di segni e macchie di colore. Gli amori, meno indagati, non sono però assenti e vengono evocati nella loro più inesplorata intimità. I cavalieri messi in scena nel ciclo di tavole spesso sono stati considerati dalla critica troppo tragicamente sforzati per rispondere all’ironia e alla levità delle ottave, ma si alleggeriscono immediatamente se accettati come automi, burattini post-dechirichiani sulle assi di un mirabolante teatro barocco come al centro di un tribunale letterario che chiede al pubblico un giudizio immediato. Non a caso Clerici inviò a Ferrara per il centenario di Ariosto la tela Krak des Chevaliers – immediatamente successiva al suo Furioso e stilisticamente contigua – in cui gli stessi cavalieri figurano stremati, come dopo una lunga recita, intorno a un palco delimitato a sinistra da un piccolo cumulo di loro compagni ormai inanimati come giocattoli dismessi. All’operazione di assoluta godibilità costituita dalle tavole – cólta ma leggibile, con tanto di indicazione precisa dei versi illustrati – si accosta la più libera ed enigmatica serie dei disegni impaginati col testo, non sempre immediatamente riferibili ai canti che accompagnano. Alcuni degli stilizzati personaggi che vi compaiono sembrano estranei alla finzione, inseriti come pubblico intradiegetico di astanti settecenteschi à la Panini; altri trasfigurano in ibridi egizi con teste zoomorfe. Altri ancora, come un mostro somigliante a un’arpia con lunghe ali, ricorrono senza apparente riferimento al testo, invitando forse a una lettura a chiave delle immagini. Sia nell’ultima illustrazione che in quella che corona l’introduzione di Bacchelli, in ogni caso, sembra distinguibile una navicella prima attorniata da figure varie e infine condotta a un approdo abitato, che bene allineerebbe il personalissimo percorso di Clerici con il viaggio ariostesco «nel mar per tanta via».

Bibliografia

Fabrizio Clerici. I disegni per l’Orlando Furioso, a cura di G. Briganti, Bologna, Grafis, 1981.

C.L. Ragghianti, Per una nuova monumentale edizione illustrata dell’Orlando Furioso, «La Rassegna della Letteratura Italiana», n. I, 1968.

R. Carrieri, L’Orlando Furioso visto da Clerici, «Epoca», 28 luglio 1969.