3.3. Da Collodi a New Orleans: Pinocchio Parade (2014). Una favola contemporanea musicata e animata

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  • Il corpo plurale di Pinocchio. Metamorfosi di un burattino →

Pinocchio Parade propone una rilettura inedita delle avventure del burattino inventato da Carlo Collodi (al secolo Carlo Lorenzini) più di centotrenta anni fa. Grazie anche alle memorabili versioni cinematografiche, da quella animata da Walt Disney ai film di Comencini e Benigni, Pinocchio è ancora oggi la favola italiana più conosciuta al mondo. Capace di stigmatizzare vizi e virtù dell’anima umana, e di descrivere allo stesso tempo mentalità e abiti tipici della provincia italiana di fine Ottocento, sul romanzo si sono posati sguardi molto diversi a seconda della latitudine e dell’epoca che l’ha riletto. Pinocchio Parade è un progetto a più voci nato nel 2014 e andato in scena nel Festival MoliseCinema di Casacalenda (2014) e al teatro Out Off a Milano (2017): la musica originale è di Giancarlo Schiaffini, compositore, trombonista e tubista di fama internazionale, già autore di diverse performance multimediali a tema; le immagini sono frutto della fantasia di Cristina Stifanic, artista visuale di origine croata ma di nazionalità italiana che lavora spesso sulla contaminazione di linguaggi del mondo dei mass media; l’animazione e il montaggio sono di Ilaria Schiaffini, docente universitaria di storia dell’arte contemporanea, che ha già curato anche in passato l’aspetto visivo di performance musicali. La musica è improvvisata dal vivo (Giancarlo Schiaffini con trombone e live electronics) su una base registrata (Silvia Schiavoni alla voce, Claudia Bombardella alla fisarmonica e al sax baritono, Luca di Volo al clarinetto piccolo e sax alto, Beate Springorum al violino e alla viola, Vincenzo Cavallo al violoncello, Stefano Scodanibbio al contrabbasso, Mohssen Kasirossafar allo zarb e al daf).

Pinocchio Parade mantiene l’impianto narrativo del romanzo di Carlo Collodi, dal quale seleziona dodici episodi salienti richiamati da brevi estratti di testo che intercalano le immagini del video come le didascalie del cinema muto. Consapevole del forte impatto che la variante disneyana ha avuto nell’immaginario collettivo, grazie anche alla sua precedente collaborazione al Pinocchio ideato da Karole Armitage per il Maggio Musicale Fiorentino del 1998, Giancarlo Schiaffini ha voluto operare una revisione degli stereotipi del burattino attraverso la rilettura testo integrale del 1883. La balena è tornata a essere il Pesce-cane, la fata la Bambina dai capelli turchini, mentre il ruolo di Lucignolo, assurto ad antagonista negativo di Pinocchio nella traduzione americana per il grande pubblico, è stato fortemente ridimensionato. La scelta delle musiche è decisamente eclettica per sottolineare l’universalità del racconto, in sintonia con le preferenze già espresse dal compositore in altre opere multimediali. Su una base di suoni materici ed elettronici, vengono citate forme musicali molto varie: habanera, raga, saltarelli, monferrine, tarantelle ecc. Il tutto è integrato da musica informale e in parte improvvisata per trombone, voci, strumenti ed elettronica. La ricchezza e la varietà di materiale sonoro vogliono rappresentare in qualche modo la dinamicità dell’avventurosa vita del burattino-bambino, fra morte e resurrezione, battaglie perdute e vinte, proprio come in un romanzo d’appendice. D’altronde la prima edizione di Pinocchio apparve come romanzo a puntate e di tale genesi mantiene, infatti, incongruenze e ripetizioni: ad esempio la morte e poi l'inspiegabile resurrezione della Bambina, così come dello stesso Pinocchio.

Le immagini di Cristina Stifanic si intonano perfettamente al carattere stratificato e globalizzato della musica. In linea con i prelievi eterocliti e casuali di certe ricerche post-avanguardistiche dell’arte contemporanea e della Found Photography, i suoi montaggi pescano tra fonti molto distanti: fotografie pubblicitarie e stampe ottocentesche e primo-novecentesche, citazioni di opere d’arte (Giacometti, Hokusai, Böcklin) e fotografie americane dell’inizio del XX secolo compongono immagini dall’impronta surreale, dove la civiltà dei consumi e dello star system occhieggia tra le maglie di un universo oramai tramontato.

L’artista trova un varco di accesso al mondo semplice e rurale descritto da Collodi attraverso il potere evocativo che alcuni oggetti quotidiani sono in grado di suscitare, come la tovaglia dell’Osteria del Gambero Rosso, le monete dell’Albero dei miracoli, l’abbecedario venduto da Pinocchio per andare al Teatro dei Burattini [fig. 1]. Simili oggetti, che acquistano una speciale enfasi visionaria grazie all’isolamento ipertrofico dell’immagine grafica o fotografica, interagiscono sulla scena con i protagonisti che via via si avvicendano: Pinocchio-Bambino, Pinocchio-Burattino, Pinocchio-asino, la Fata, Mangiafuoco [fig. 2], il Gatto e la Volpe, gli Assassini. Stifanic infrange uno dei dogmi della illustrazione tradizionale, quello della riconoscibilità iconografica del personaggio: anche in conseguenza del prelievo di immagini trovate, Pinocchio è rappresentato da fotografie di bambini diversi (e appartenenti a epoche e contesti diversi [fig. 3]), e anche come burattino prende dapprima l’aspetto canonico delle sue prime illustrazioni grafiche per rivestirsi poi da Homme qui marche giacomettiano [figg. 4-5]; la fata, d’altra parte, oscilla tra l’immagine di Solvi Stubing nella pubblicità «Chiamami Peroni: sarò la tua birra!» e il lirismo fiabesco di un icastico volto di bambina-albero, suggestione, quest’ultima, nata dal mito delle fate che popolano i boschi dell’Altipiano di Asiago [fig. 6].

I personaggi umani o semi-umani si contendono la scena con un ricco e suggestivo bestiario fantastico, che potrebbe trovare la sua collocazione originaria nei libri illustrati per l’infanzia: il pulcino fuoriuscito dall’uovo che Pinocchio vorrebbe mangiare, la gallina del pollaio che egli è costretto a sorvegliare come cane da guardia, il colombo e le api industriose dell’isola omonima, il serpente minaccioso disteso lungo la strada che porta alla casa della fata, naturalmente il pesce-cane, a cui si aggiungono i dinosauri e i pachidermi senza tempo che abitano il Paese dei Balocchi. Questi elementi sono accostati non senza stridore a relitti della civiltà urbana e post-industriale: maschere antigas, luci psichedeliche, monitor televisivi, donne patinate attraenti nella loro esibita artificialità, persino un capelluto e giovane Michael Jackson portato da un cigno su uno specchio d’acqua, sullo sfondo di una böckliniana isola dei morti. Il sapore fiabesco del racconto collodiano si scontra continuamente con la presenza di un contesto metropolitano non privo di durezze: la solitudine della civiltà post-industriale diventa lo scenario estraneo e ostile, a tratti incomprensibile, entro cui si muove l’eroe del racconto [fig. 7]. L’incoscienza attribuita a Pinocchio dal giudizio moralistico collodiano si tramuta piuttosto in inconsapevolezza e ingenuità: ne esce un Pinocchio fragile e curioso, alla fine vitalisticamente trionfante in una danza a suon di saltarello su un tappeto di ossa, ricordo dei troppi genocidi dell’età moderna [fig. 8]. Illuminato da una luce livida giallo-blu, il bambino balla con il burattino in un ritmo popolare e trascinante, giocosamente evidenziato dal montaggio sincronico delle immagini.

Musica e animazione visiva trascinano lo spettatore per poco meno di un’ora in un caleidoscopio ricco e densamente stratificato. Una struggente Habanera introduce l’intervento salvifico della Bambina dai capelli turchini e poi ancora risuona festosa e al contempo malinconica nel Paese dei Balocchi, dove la giostra rètro è abbandonata, uno dopo l’altro, da animali e bizzarri personaggi che incredibilmente la abitano; ricordi di melodie popolari dei primordi del jazz, in uso durante i funerali della popolazione nera di New Orleans, puntellano l’impiccagione di Pinocchio, che riemerge nell’insegna luminosa da motel americano insieme a tenere gambe infantili sospese da terra; il terribile Mangiafuoco è accompagnato da una base di scacciapensieri su cui si improvvisa secondo modi tradizionali; suoni di basso tuba evocano infine il canto dei cetacei per l’episodio del pesce-cane.

La contaminazione ironica e giocosa, perseguita in parallelo dalla musica e dalle immagini in una complessiva sintonia d’intenti, conferisce ai singoli episodi connotazioni emotive e associazioni extra-testuali, le quali, tuttavia, per la diversa familiarità che mettono in campo, sono in grado di offrire nuove chiavi d’accesso. I molteplici déjà vu indotti dalle metamorfosi visivo-musicali estendono così su scala globale la latitudine dei possibili adattamenti di una storia tipicamente italiana, custodita nelle memorie infantili di ciascuno di noi come antico patrimonio di formazione.