8.3. Il caso di Rita Pavone. Un’attrice intermediale e intergenerazionale nel cinema musicale italiano degli anni Sessanta

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Nel 1964, ad un anno dall’uscita della celebre hit musicale La partita di pallone, il nome di Rita Pavone compare tra le pagine del testo Apocalittici e integrati. Umberto Eco sottolinea e analizza il fascino ambiguo esercitato da Rita Pavone, la «prima diva della canzone che non fosse donna; ma non era neppure bambina», una «ragazza che camminava verso il pubblico con l’aria di domandare un gelato, e [dalla cui bocca uscivano] parole di passione» (Eco 2016).

Negli anni in cui la canzone leggera italiana si popola prima di personaggi, e solo in un secondo momento di canzoni, Rita Pavone si afferma immediatamente come idolo dei giovanissimi, mito in grado di incarnare gioie e affanni di un’intera generazione.

«Io non sarò mai una vamp», afferma la cantante torinese nel corso di un’intervista rilasciata a Radiocorriere TV nel 1966, «a ventun anni suonati non arrivo a un metro e mezzo in punta dei piedi. Quarantadue chili con le scarpe, sono tutta un triangolo. Non mi viene una curva neanche per scommessa. Pensi che vergogna: alla Rinascente mi vesto ancora nel reparto bambini!». Sul suo aspetto minuto, sulle sue movenze esagitate e a tratti scomposte, e su quei lineamenti riconducibili a una androginia infantile si è scritto molto, e in tanti si sono cimentati nella ricerca di epiteti che cogliessero appieno l’essenza della cantante.

Rita ʻla zanzaraʼ, il ʻPel di carotaʼ della musica leggera italiana, raggiunge il successo a partire dalla prima metà degli anni Sessanta, proprio grazie a questa sua immagine così lontana dai canoni femminili dell’epoca. Sono in particolare le apparizioni televisive a darle rilievo, anche attraverso il confronto e l’accostamento con personalità del mondo dello spettacolo visibilmente distanti dalla sua figura. Dai medley con Mina a Sabato Sera, fino ai divertenti siparietti e ai duetti canori con Aldo Fabrizi a Stasera Rita, emerge infatti la tendenza a individuare, mostrare e infine capovolgere le singolarità che stanno alla base del personaggio di Rita Pavone. È in particolare l’incontro/scontro messo in scena in uno sketch da Pavone e Fabrizi nel 1965 a restituire le peculiarità e le diversità che contraddistinguono i due. «Qui per la coppia Fabrizi-Pavone ci vuole Michelangelo Antonioni, perché noi non comunichiamo», è quanto dice l’attore romano prima di cimentarsi in un’ironica esibizione di balletti e motivi ʻyé-yéʼ, che si alternano alle strofe di Vecchia Roma cantate da Rita Pavone.

Il rovesciamento dei ruoli, o più in generale il vestire panni insoliti e agli antipodi rispetto a quelli consueti, sono pratiche spesso utilizzate nelle performance della giovane cantante torinese. Nelle sue apparizioni televisive, in particolare nelle commedie musicali e nei ʻmusicarelliʼ, Pavone ha spesso dismesso gli abiti da maschiaccio attribuitigli dai media, per vestirne di nuovi e particolari. Il mero mutamento formale è inoltre accompagnato da notevoli modifiche e modulazioni di quello che possiamo definire il suo stile recitativo. Il caso più emblematico è forse quello rappresentato da di Rita la zanzara, musicarello del 1966 che porta la firma di G. Brown, pseudonimo della regista Lina Wertmüller. Qui Pavone interpreta il doppio ruolo di una giovane e vivace studentessa liceale e della misteriosa e affascinante cantante beat Lida. Il camuffamento è alla base anche del film musicale ad ambientazione western Little Rita nel West di F. Baldi (1967) e di La feldmarescialla. Rita fugge… lui corre… egli scappa di Steno (1967); oltre ad essere condizione essenziale nelle numerose imitazioni proposte dalla cantante nel corso delle trasmissioni televisive Stasera Rita e Ciao Rita. Da Minnie Minoprio a Raffaella Carrà, passando per Sylvie Vartan e Shirley Bassey, Pavone si cimenta con l’emulazione dei modelli femminili all’epoca più in voga, nonché con quelli più distanti dal suo personaggio.

L’attenzione unanime che a partire dai primi anni Sessanta le rivolge l’intero sistema mediale non si deve però soltanto alle sue singolari caratteristiche femminili; la cantante torinese, infatti, fu soprattutto un modello per le generazioni dei più giovani. Fu l’esponente di una schiera di adolescenti ʻcapelloniʼ, di accaniti lettori di riviste giovanili come Big, e di consumatori seriali di musica beat.

Per questi giovani, ma anche per i cosiddetti ʻmatusaʼ, Rita Pavone ebbe una funzione latamente educativa. La cantante infatti fu chiamata spesso dalla televisione, dal cinema e dalle riviste giovanili per ʻistruireʼ le nuove generazioni o avvicinare le precedenti ai nuovi balli, alle nuove forme di divertimento, ai nuovi linguaggi e mode. Le sue canzoni spesso contengono delle vere e proprie istruzioni per l’uso, degli insegnamenti volti a introdurre nuovi balli (Il Geghegé, 1963), giochi (Plip, 1965) e oggetti di consumo (il giocattolo introdotto con Palla Pallina nel 1968).

Negli anni che vanno dall’esordio ai primi Settanta, Rita Pavone è si afferma come uno dei casi più interessanti e particolari dello spettacolo italiano; il suo essere ʻartista intermedialeʼ a trecentosessanta gradi la rende un ʻoggetto di studioʼ particolarmente ricco e fecondo, in grado di raccontare e far comprendere i molteplici aspetti del contesto storico e culturale dell’epoca.

 

 

Bibliografia

U. Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Milano, Bompiani, 2016.

R. Pavone, Tutti pazzi per Rita. La mia vita, i miei sogni, la mia voglia di cantare, Milano, Rizzoli, 2015.

P. Capuzzo (a cura di), Genere, generazione e consumi. L'Italia degli anni Sessanta, Roma, Carocci, 2003.

S. Arcagni, Dopo Carosello. Il musical cinematografico italiano, Alessandria, Falsopiano, 2006.

M. Buzzi, La canzone pop e il cinema italiano. Gli anni del boom economico (1958-1963), Torino, Kaplan, 2014.

L. Spaziante, Dai beat alla generazione dell'iPod. Le culture musicali giovanili, Roma, Carocci, 2010.