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Nel 1964, ad un anno dall’uscita della celebre hit musicale La partita di pallone, il nome di Rita Pavone compare tra le pagine del testo Apocalittici e integrati. Umberto Eco sottolinea e analizza il fascino ambiguo esercitato da Rita Pavone, la «prima diva della canzone che non fosse donna; ma non era neppure bambina», una «ragazza che camminava verso il pubblico con l’aria di domandare un gelato, e [dalla cui bocca uscivano] parole di passione» (Eco 2016).

Negli anni in cui la canzone leggera italiana si popola prima di personaggi, e solo in un secondo momento di canzoni, Rita Pavone si afferma immediatamente come idolo dei giovanissimi, mito in grado di incarnare gioie e affanni di un’intera generazione.

«Io non sarò mai una vamp», afferma la cantante torinese nel corso di un’intervista rilasciata a Radiocorriere TV nel 1966, «a ventun anni suonati non arrivo a un metro e mezzo in punta dei piedi. Quarantadue chili con le scarpe, sono tutta un triangolo. Non mi viene una curva neanche per scommessa. Pensi che vergogna: alla Rinascente mi vesto ancora nel reparto bambini!». Sul suo aspetto minuto, sulle sue movenze esagitate e a tratti scomposte, e su quei lineamenti riconducibili a una androginia infantile si è scritto molto, e in tanti si sono cimentati nella ricerca di epiteti che cogliessero appieno l’essenza della cantante.

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