1. Autobiografia e (auto)terapia
Giovanna Brogna/Sonnino è un’autrice versatile e dall’ampio orizzonte culturale che ama sconfinare tra tecniche e linguaggi spesso incrociati tra loro.[1] Alla fine degli anni Settanta, dopo la formazione storico-artistica tra Firenze e Catania, Brogna/Sonnino si trasferisce a Roma, dove si interessa al mondo del cinema e della televisione grazie alla specializzazione come cineoperatrice.[2] Negli stessi anni si dedica alla fotografia ma la sua prima mostra è del 1986. All’attività lavorativa per la RAI si affianca quella altrettanto prolifica di autrice e produttrice indipendente che mai abbandona l’imprinting del cinema dato dall’insieme di narrazione e ritmo. Con Mathelika e Drifting Pictures Brogna/Sonnino realizza film, docufilm e documentari e parallelamente si cimenta nella sceneggiatura, attività emblematica di un immaginario conteso tra gli ambiti della visualità e della scrittura.[3] Bruno Di Marino coglie precocemente l’importanza di questo nesso nel video Parliamone (1998):
un esperimento vicino all’estetica televisiva […], dove le frasi pronunciate da una galleria di persone qualunque, vengono impaginate in modo raffinato, creando uno stretto connubio tra immagine e parola attraverso l’uso del lettering […] qui la parola scritta si modifica parallelamente ai corpi dei performer in un rapporto indissolubile di significante/significato. [4]
Con questi linguaggi espressivi Brogna/Sonnino sperimenta un originale intreccio iconotestuale che si basa sul rapporto simbiotico tra arte, vita e terapia ed è riconducibile alla pratica dell’accumulazione terapeutica di oggetti d’affezione attraverso l’archivio. Lo sguardo sull’archivio è infatti presente nei suoi diversi (e forse complementari) progetti, accomunati dalla logica dell’atlante e dal prelievo di immagini preesistenti, che consentono all’artista di pervenire alla definizione della propria identità.[5]
Tutte queste tematiche confluiscono con esiti particolarmente interessanti in Lettere al Dott. B. Questo ‘lavoro’ – termine provvisorio che si cercherà di definire in seguito – del 2019, oltre a inserirsi in un filone di studi centrale nelle arti visive dei nostri tempi, in quanto esempio del ricorso all’archivio come pratica artistica autobiografica, è come il principio dell’intensa attività di Brogna/Sonnino che si articola nei libri d’artista, nei fototesti e nei cosiddetti ‘vassoietti’ e ‘altarini’ fino alla sua casa-museo catanese.[6]
Lettere al Dott. B. è una raccolta di lettere battute a macchina dai contenuti vari (aneddoti, sogni, malattie, delusioni sentimentali, viaggi, paure, incontri), indirizzate al suo psicanalista e accompagnate da materiale eterogeneo come cartoline, ritagli, documenti e fotografie realizzate prima dell’avvento del digitale, in cui è tutt’altro che secondario il ricorso alla forma atlante. Per la nostra artista la creazione di un archivio di ricordi personali è una tecnica di lavoro condotta in maniera sistematica ma è anche una strategia di sopravvivenza affidata al processo dinamico in cui si manifestano tanto il mal d’archivio messo a fuoco da Jacques Derrida quanto la tensione verso la forma atlante che ha ispirato opere decisive,[7] dall’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg ad Atlas (1962-2013) di Gerhard Richter.[8]
Dal 1979 al 1987 Brogna/Sonnino si affida per una sindrome di depersonalizzazione al dottore Piero Bellanova, oggi considerato uno dei padri fondatori della psicanalisi italiana, maturando in questi anni l’idea della malattia come gesto estetico e metafora esistenziale.[9] Questa scelta è favorita dai comuni interessi culturali con il dottore Bellanova che è inserito nel milieu artistico nazionale per aver sposato Anna Madami, nipote di Mario Sironi, e ha coltivato la passione per la pittura, la musica, il cinema e la poesia, con particolare attenzione alle sperimentazioni iconotestuali futuriste. È infatti amico e sodale nonché medico personale di Filippo Tommaso Marinetti; insieme nel 1939 firmano il Manifesto futurista del romanzo sintetico (con Luigi Scrivo) e il Manifesto dell’arte tipografica (con Luigi Scrivo e Alfredo Trimarco).[10]
La connessione con Bellanova ha dunque una valenza centrale nell’iconotesto di Brogna/Sonnino che, nel corso della propria terapia psicoanalitica, compila con continuità un ricco epistolario. La narrazione ha inizio il 23 aprile 1979, giorno del ventiquattresimo compleanno dell’artista – «oggi iniziamo l’analisi e oggi è il mio compleanno. Sembra una buona combinazione in questo mare agitato in cui cerco di tenermi a galla»[11] – e si conclude con un cambio di destinatario il 20 maggio 1987, quando l’autrice ha trentadue anni. La lettera – che significativamente si chiude con l’affermazione «devo ricordare, perché niente è più presente di questo presente»[12] – viene infatti indirizzata alla moglie dello psicanalista all’indomani della morte di quest’ultimo. Ai fini della nostra riflessione poco importa che il dott. B. non abbia mai ricevuto le lettere a lui destinate – «Per telefono le ho detto: “Le ho scritto delle lettere” e lei: “ma io non le ho ricevute”, “perché non gliele ho mai mandate”»[13] – tuttavia occorre sottolineare come questo dialogo, negato o sospeso, sia invece un monologo nella ricerca spudoratamente autobiografica di Brogna/Sonnino.
Lettere al Dott. B. non è la cronaca di una psicoanalisi, coinvolta nella narrazione solo come riflesso della prospettiva della paziente, né un epistolario di stampo classico: è semmai un diario visivo, risultato dell’attenzione che l’artista riserva al processo terapeutico connesso alle azioni a tratti compulsive dell’archiviare e del collezionare.[14] Tutto ciò si riversa nel suo racconto per immagini basato su strategie narrative insolite ed eccentriche e oggetti transizionali che fungono da strumenti di esternalizzazione e proiezioni della mente dell’artista.[15] Efficace sinestesia di parole e immagini, che ricorre all’oggetto libro inteso come forma espressiva, Lettere al Dott. B. rientra nella categoria del libro d’artista.[16] Non è irrilevante che un’opera di questo tipo scaturisca dall’incontro con Bellanova fortemente voluto, psicanalista di alto profilo ed esponente del Futurismo, avanguardia con cui condivide in special modo le ricerche condotte sul confine tra letteratura e arti visive e in campo tipografico. La critica è infatti concorde nell’individuare una sorta di archeologia del libro d’artista nei volumi Zang tumb tumb (1914) di Marinetti, tradizionale nella forma ma innovativo per metodi di stampa e composizioni tipografiche, e nel cosiddetto Libro imbullonato (1927) di Fortunato Depero.[17]
Con Lettere al Dott. B. la matrice narrativa della ricerca di Brogna/Sonnino si invera e materializza dunque nella forma duttile del libro d’artista, espressione plastico-poetica, secondo la definizione di Mirella Bentivoglio, «con una maggiore accentuazione dell’una o dell’altra delle componenti (comprendendovi quella tattile e fonica) […] per i rapporti che sollecitano tra materia, colore, forma, struttura, parola».[18] Si è mosso in questa direzione l’approccio curatoriale di Giuseppe Mendolia Calella, che lo seleziona per il progetto espositivo Edito/Inedito cogliendone da un lato la natura di libro d’artista, in un confronto in chiave terapeutica con Prenez soin de vous (2007) di Sophie Calle, e dall’altro la natura performativa poiché lo presenta con un’audio di voci femminili invitate a leggere alcune lettere.[19]
Oltre alle analogie con il lavoro di Calle per via del comune approccio autobiografico, è importante segnalare altri modelli estremamente significativi per l’uso concettuale della fotografia sempre accompagnata da una componente testuale.[20] Brogna/Sonnino apprezza ritratti, anamorfosi, sovrimpressioni ed esposizioni multiple di Duane Michals e in special modo le sue sequenze fotografiche, che si avvalgono di testi e annotazioni.[21] È proprio nelle sequenze di Michals che l’artista scorge il fondamento della sua «idea letteraria della fotografia» poiché per lei «fotografare è come scrivere appunti personali».[22] Val la pena di citare pure le affinità con lo scrittore francese François-Marie Banier e le sue fotografie dipinte, caratterizzate dalla sovrapposizione di scritte a mano dello stesso autore come La chambre de Picasso à Vauvenargues (2007), e gli assemblaggi di fotografie, poesie, pensieri e disegni, come il volume Imprudences (2016).[23] Il ricorso alla scrittura è costante anche nei diari di Peter Beard, che includono ritagli di giornali, disegni e fotografie, veri e propri collage da cui il celebre fotografo estrapola scritti con cui presenta le sue fotografie.[24]
Per metodi e strategie il lavoro di Brogna/Sonnino trova un precedente importante in Hannah Höch,[25] artista radicale e pioniera del fotomontaggio in ambito dadaista; quando invece il collage assume una dimensione installativa si presta al raffronto con Annette Messager,[26] per la pratica del diario affidata al libro d’artista e la connotazione feticista assunta dalla raccolta di materiali poveri. Ciò che avvicina questi artisti è infatti la volontà di superare i confini del medium fotografico in favore di un linguaggio a cavallo tra più media.
La fascinazione di Brogna/Sonnino verso questo approccio si manifesta nel docufilm Riprendimi [perryfarrel], scritto, diretto e prodotto nel 2006.[27] L’icona rock Perry Farrel, che spazia tra molteplici generi musicali, viene eletta ad alter ego della città di Catania per la tendenza a mixare qualità diverse e per la scelta della marginalità come valore.[28] Secondo l’artista infatti certe riflessioni scaturiscono dal non stare al centro ed è proprio il ritorno in Sicilia a mettere in moto il processo dell’archivio come risposta alla perdita d’identità.
Il filone autobiografico si manifesta anche nella narrazione del sé del film Strike a light (2001) – affidata al racconto di undici donne – che è scandita da un montaggio vivacissimo ed enfatizzato da hit degli anni Settanta.[29] La musica, già prepotentemente presente con Matt Jonhson - The The nel primo film di Brogna/Sonnino Non è romantico? (1992),[30] è l’elemento catartico del suo esordio letterario Chiarmastramma (2012), romanzo d’ambientazione catanese inscindibile dalla colonna sonora che apre il volume e include Chopin, i Beatles e i Nirvana.[31] Anche nel già citato Riprendimi [perryfarrel] sono numerosi i rimandi trasversali ad altri lavori della stessa autrice, come le installazioni della sua casa-museo, e Liriche e frammenti di Anacreonte, centrali in Lettere al Dott. B.
Per analizzarne le intersezioni tra iconico e verbale è opportuno sottolineare anche le implicazioni fototestuali di Lettere al Dott. B. Se in virtù del confine labile tra letteratura e arte l’opera trova espressione immediata nel libro d’artista, la sua definizione di autobiografia fototestuale in forma di romanzo epistolare illustrato dispiega uno scenario non meno stimolante.[32] Oltre a evidenziare come la forma libro contenga implicitamente l’idea di narrazione, è opportuno fare riferimento alla strategia fototestuale di Roelli Testu Paris del 1989.[33]
Si tratta di un lavoro di particolare interesse in virtù dell’associazione tra frammenti di dialogo tratti da Les enfants terribles (1929) di Jean Cocteau e la serie di fotografie in bianco e nero scattate nel backstage della sfilata parigina di Roelli Testu e successivamente fotocopiate. In anni orientati alla commistione di parola e immagine, non solo nel cinema ma anche nella fotografia e nella forma libro, la ricerca di Brogna/Sonnino si apre dal 1987 anche all’uso artistico della fotocopia di oggetti. È appunto il caso della camicia di Roelli Testu Paris, la cui etichetta funge da didascalia/titolo dell’opera, ma anche dei guanti, delle rose e delle posate che, con diverse finalità, l’artista fotocopia sia da un verso che dall’altro e accompagnano anche Lettere al Dott. B., forse come indizio dei temi del doppio e della depersonalizzazione.
La ricerca d’equilibrio tra fotografia e scrittura si palesa nella doppia esposizione che apre il volume: un autoritratto che emerge dalle mani raccolte dell’artista e sovrasta la scritta battuta a macchina, evidenziata in verde, Amo e non amo, sono pazzo e non sono pazzo. / Lettere al Dott. B. 1979-1987. Al tema del doppio e dello sdoppiamento – da leggere in continuità con la sindrome di depersonalizzazione all’origine della terapia ed è veicolato dallo sguardo di chi osserva ed è osservato – corrisponde così la citazione di Anacreonte, con funzione di sottotitolo, che si reitera nella fotocopia strappata e sovrapposta con nastro adesivo alla lettera del 20 maggio 1979. È un’efficace sintesi dell’universo esistenziale dell’autrice che si interroga sulle dicotomie sentimentali e su quelle mentali, anticipando il frequente uso della contraddizione come misura di un sentire personale estremamente empatico. L’amore e la follia investono più volte la narrazione di questo diario che fa dell’attraversamento uno strumento d’indagine; questo epistolario fuori dal comune è infatti portatore di una visione singolare ma non univoca, in cui il linguaggio visivo e la relazione profonda tra l’immagine e la parola concorrono alla scrittura autobiografica. Segue un dialogo serrato tra testo e immagine di cui sono protagonisti ritratti e autoritratti giovanili, rimando esplicito ai viaggi in Sicilia affidati alle sequenze di polaroid al limite della dinamica cinematografica, ma anche fotocopie del quaderno con appunti sui sogni, ritagli, poesie di Emily Dickinson, citazioni scritte a mano di Dante e Leopardi. Ricordi d’infanzia e documenti personali, come l’atto di nascita e il libretto universitario fotocopiati, si mescolano a mappe, acquerelli, fumetti, negativi, copertine di libri (Tre donne di Altman, La sessualità del matrimonio di Van De Velde, Franny e Zooey di Salinger), riproduzioni di opere d’arte (La culla di Berthe Morisot, il Polittico di Gand), locandine di film (Manhattan di Woody Allen), pubblicità, biglietti di concerti (Rolling Stones, Joe Jackson Band, Alvin Lee Band, David Bowie, Patti Smith, Frank Zappa), fotografie tratte dall’album di famiglia e che fungono da ready-made, come nel caso del ritratto della madre bambina su cui l’artista decide di non intervenire o dell’accostamento fra il ritratto del padre e una fotografia da lui scattata insieme alla fotocopia della stessa fotografia. Risulta determinante anche il ricorso a cancellature nere o bianche e a parti evidenziate con diversi colori (l’azzurro per la sfera onirica, il rosa per le affermazioni dell’autrice, il verde per le citazioni di altri), strumenti funzionali alla narrazione che torna a essere sinonimo di cura. Il diario visivo si chiude con un insolito dittico oggettuale, la fotocopia di una rosa, in memoria di Bellanova.
Cara signora B.
Suo marito è morto stanotte […] Forse mi dispiace non avergli portato una rosa, come facevo i primi tempi, ma a volte avevo fretta, a volte non lo facevo perché pensavo che lui pensasse che avessi qualcosa da farmi perdonare e io non volevo sentirmi in colpa verso di lui. Ma tanto lui lo sapeva e il mio fiore è stato sempre nel suo vasetto d’argento sulla scrivania[34]
Dall’intreccio fra dimensione narrativa e visiva emergono, più o meno esplicitamente, diversi riferimenti letterari che vanno dall’archetipo del romanzo moderno all’espressione della soggettività sotto forma di epistolari come in Pamela, o la virtù premiata (1740) di Samuel Richardson e I dolori del giovane Werther (1774) di Johann Wolfgang Goethe ma non solo. All’avanguardia futurista, già richiamata a proposito della duplice veste di Bellanova psicanalista e letterato, si aggiungono i modelli diretti: Armance (1827) di Stendhal e Franny e Zooey (1961) di J. D. Salinger. Dalle poesie di Dylan Thomas (Conceive these images in air) e di Katherine Mansfield (Now I am a plant, a weed) emerge invece l’attenzione riservata alla fragilità del vissuto quotidiano. All’identificazione con la natura corrispondono infatti la perdita di punti di riferimento univoci e il rifiuto dell’esistenza umana quale valore assoluto. A Mansfield, con cui non sono poche le assonanze anche in tema di marginalità, è dedicata la mostra catanese Voci dell’aria, tenutasi a Palazzo Biscari nel 1987, il cui titolo è tratto dall’omonimo poemetto:
Giunge allora il prezioso momento
Che per un’origine a me sconosciuta
Le minime voci dell’Aria
Vincono il mare e il vento.[35]
Senza eroismo e per assecondare il senso di precarietà di tutte le cose Brogna/Sonnino impiega un approccio diretto, prediligendo soggetti comuni, narrazioni quotidiane e luoghi sentimentali. Spicca Catania, che – sotto un vulcano più volte omaggiato attraverso video, fotografie e un altarino composto di cartoline dell’Etna e oggetti di famiglia – è emblematica di una visione fragile e precaria che non vuole misurarsi con l’eterno.
Che si tratti di cinema, fotografia o installazione, nella narrazione del quotidiano Brogna/Sonnino non ricorre a mediazioni e si concentra sugli oggetti, spesso assemblati in combinazioni insolite, secondo ossessioni personali che invitano a ridiscutere lo sguardo di chi osserva e di chi è osservato. In merito alle questioni relative all’interazione con il fruitore, non ancora adeguatamente indagate, è opportuno segnalare che Lettere al Dott. B., in quanto libro d’artista, richiede di essere maneggiato e sfogliato invitando così al superamento del confine tra ciò che è arte – e quindi convenzionalmente intoccabile – e ciò che invece è un oggetto d’uso, in più copie e dal costo contenuto.[36] Per la sua stessa natura, duttile e aperta, Lettere al Dott. B. si apre a interessanti prospettive performative, di cui è un esempio il talk promosso da Aldo Premoli per la rassegna Palazzolo Ospitale (2020) in cui si è optato per l’aggiunta di un intervento audio-visivo, proiettato su un pezzo di stoffa acquistato nel più antico negozio di tessuti del piccolo centro siciliano, consistente nel montaggio di tracce audio con brani tratti dal volume e Super8 realizzati dal padre dell’autrice e dall’autrice stessa. Riguardo alla fruizione di Lettere al Dott. B. è illuminante la riflessione di Michele Cometa sulla fototestualità:
Il fototesto declina a suo modo questi elementi di base, per cui sarà opportuno distinguere in via preliminare tra retoriche dello sguardo poiché l’atto della fruizione è nel fototesto molto più complesso e variegato della sola lettura, retoriche del layout, poiché la questione del supporto mediale, del dispositivo e dunque dell’impaginazione è essenziale per comprendere il funzionamento dei fototesti, e retoriche dei parerga, poiché il sistema di integrazioni testuali dell’immagine e di integrazioni visuali al testo rende la lettura del fototesto un’esperienza molto più complessa di quella di un qualunque testo prevalentemente verbale.[37]
2. La forma-archivio
I rimandi tra narrazione e visualità non esauriscono tuttavia la natura eclettica della ricerca di Brogna/Sonnino, per cui si rende necessaria un’ulteriore riflessione sull’archivio in relazione alla postproduzione, secondo una definizione derivante dal linguaggio audiovisivo, noto alla nostra artista. Il riferimento a questa prassi – che implica la tendenza ad accumulare e combinare elementi eterogenei, già indagata da mostre celebri come The Art of Assemblage (1961) – consente di focalizzarsi sull’attitudine all’appropriazione attraverso l’accumulazione e l’archivio. Questa nuova forma di cultura, indagata da Nicolas Bourriaud che la definisce «cultura d’uso o dell’attività»[38], si manifesta, per un verso, nella tendenza ad attingere a un repertorio di immagini preesistenti (ipertesti verbo-visuali) e, per un altro, nella realizzazione di opere a partire da oggetti esistenti, successivamente installati o semplicemente presentati (Offerings).
Postproduzione e archivio, già individuati come elementi caratterizzanti Roelli Testu Paris e Lettere al Dott. B., tornano in altri due libri di Brogna/Sonnino: In Sicilia non si butta niente (2017) e Quo vadis baby? (2018). Il primo, che nel titolo ben sintetizza l’ossessione della raccolta continua e del non buttare via nulla, è una rielaborazione di foto analogiche in bianco e nero legate a ricordi di viaggi in Sicilia. L’artista scansiona i vecchi negativi degli anni Ottanta e Novanta, ricorrendo a tecniche e procedimenti non professionali che simulano gli effetti del passare del tempo e, dopo aver accartocciato le fotografie, le pone all’interno di una scatola dal formato A5.[39] Quo vadis baby?, omaggio a Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, è un’autobiografia visuale, un «archivio non ragionato di possibilità visive»[40] affidato a collage di appunti vari, fotografie e autoritratti degli anni Ottanta e Novanta che confluiscono in centosessanta immagini formato A4, suddivise in gruppi da ottanta e raccolte in due scatole.
La tendenza, per certi versi compulsiva, a creare accumuli seriali si manifesta anche nella serie Offerings, vassoietti in cui l’artista assembla oggetti quotidiani di poco valore ma legati a ricordi personali; archivi in miniatura, attraverso cui l’autrice condivide con il prossimo la propria gratitudine verso le piccole cose della vita. Interessante per la dimensione visivo-testuale il Vassoietto per Tomasi di Lampedusa.
Accompagnato dall’appunto di Brogna/Sonnino «strappare e fotografare», il vassoietto è una sorta di ex voto, adagiato su una base di appunti accartocciati e fiori secchi, che attraverso il frammento del racconto Lighea, celebra la necessità di fermare il proprio passato: «[…] il cratere era stato fatto a pezzi; nel frammento più grosso si vedono i piedi di Ulisse legato all’albero della nave. Lo conservo ancora […]».[41]
La spinta a comporre un archivio personale di ricordi raggiunge dimensioni macroscopiche nella casa-museo di Brogna/Sonnino in via Plebiscito a Catania, dove convergono approcci metodologici di discipline differenti che vanno dal montaggio cinematografico allo scavo archeologico.
Nella casa/atelier catanese, che l’artista definisce l’archivio della sua vita, si impone la presenza della scatola, elemento già citato, derivante da sperimentazioni d’avanguardia quali la Boîte-en-valise (1935-1941) di Marcel Duchamp e il Musée d’art Moderne, Département des Aigles (1968) di Marcel Broodthaers. Ma si pensi anche alle scatole-feticcio realizzate da Joseph Cornell negli anni ’30, alle ricerche maturate in seno al movimento Fluxus e alle Time Capsules (1974-1987) di Andy Warhol. Da contenitore destinato a conservare accuratamente frammenti di vita, la scatola si espande nell’ambiente guardando almeno al precedente illustre del Merzbau (1923-1936) di Kurt Schwitters. Quale rilettura in chiave contemporanea della Wunderkammer, l’abitazione e studio di via Plebiscito, che ha assunto la forma di casa-museo nel 2010, può essere considerata un’estensione su larga scala di quella spinta archivistica che uniforma la ricerca sin qui indagata ed è assimilabile all’esperienza del Museo dell’innocenza di Orhan Pamuk, ben noto alla nostra artista.[42] La casa-museo diviene la macro-cornice della narrazione autobiografica di Brogna/Sonnino, archiviata tematicamente e affidata ai vassoietti denominati Offerings e alle installazioni che l’artista definisce ‘altarini’ (2003-2012), tappe temporali o affettive della sua vita (foto, acquerelli, vestiti, agende, mobili) dal titolo Il futuro è ora, Niente durerà in eterno, Ci sono cose che non si possono aggiustare, Io sono un marchio debole.
Analogamente ai testi visivi, che fanno sì che il rapporto io/mondo confluisca nella forma libro, anche la casa-museo è la prova del tentativo di convertire il caos in ordine. Nella ricerca di Brogna/Sonnino il ricorso alla terapia si manifesta nella duplice accezione della psicanalisi e della pratica artistica, che va dal collezionare oggetti alla sincera condivisione della propria condizione esistenziale spesso votata a narrazioni ingenuamente ironiche.
Tutto concorre a creare un archivio del proprio vissuto, espressione concreta ma effimera della continua ricerca del senso nelle cose piccole e quotidiane. Lettere al Dott. B. è esso stesso una forma di archivio se «creare archivi»[43], espressione cara all’artista, significa dare una risposta al senso quotidiano di precarietà attraverso la custodia della propria storia e la costruzione della propria identità. Dall’archivio come «inutile/utile esercizio per esorcizzare il senso di precarietà della vita»[44] scaturisce l’opera eclettica e interdisciplinare della nostra artista/collezionista Brogna/Sonnino, una strategia complessa che deriva dall’ibridazione di modelli visivo-testuali e genera letture e visioni multidirezionali.
1 Questo contributo muove dal desiderio di vagliare le possibili tangenze tra le differenti aree di ricerca (fotografia, cinema, arti visive) di Giovanna Brogna/Sonnino che ringrazio per la fiducia accordatami. Per un costante aggiornamento della sua attività si rimanda al profilo Instagram giovannabrogna/sonninoarchives, che già nel titolo è indicativo dell’attenzione per l’archivio, forma specifica della sua produzione artistica da cui questo scritto prende le mosse.
2 Si coglie un importante riflesso della sua formazione storico-artistica nella produzione di documentari per RaiSatArt e Rai Educational come Parliamone (Let’s talk about it) (1998); Minimalia al P.S.1 di N.Y. (1999); Opere su carta (1999); Lorenzo Lotto (2000). Pregevoli anche le fotografie di opere d’arte che includono una delle danzatrici di Edgar Degas e la fontana di Isamu Noguchi nel Queens, riprodotte in S. Gesù (a cura di), È pericoloso sporgersi. Giovanna Brogna/Sonnino. Foto Video Installazioni, Catania, Giuseppe Maimone Editore, 2009, pp. 56-57, 60-61, 110-111. Si vedano anche G. Perretta (a cura di), Giovanna Brogna. Ragionevole alleanza, catalogo della mostra, Comune di Catania, 1990; F. Di Castro, G. Cannilla (a cura di), La casa di vetro/The Glass House. Fotografie di tredici autori italiani, catalogo della mostra, Roma, Guido Novi Editore, 1991.
3 Degna di nota la selezione della sua prima regia e sceneggiatura Non è romantico? (1992) al Festival Scrittura e Immagine. Premio Internazionale Ennio Flaiano di Pescara. Per la sinossi cfr. S. Gesù (a cura di), È pericoloso sporgersi. Giovanna Brogna/Sonnino. Foto Video Installazioni, pp. 108-109.
4 B. Di Marino in AA. VV., Linea d’Ombra SalernoInFestival. Terza edizione. 16_19 Aprile 1998, Salerno, Edizioni 10/17, 1998, p. 83.
5 L’attenzione verso la problematica identitaria emerge già nella sua prima regia, datata 1992: Giovanna Brogna utilizza Sonnino in sostituzione del proprio cognome e dal 2009 ricorre all’associazione Brogna/Sonnino. È per questa ragione che alcuni lavori sono firmati e conseguentemente citati come Giovanna Brogna, altri come Giovanna Sonnino e altri ancora come Giovanna Brogna/Sonnino.
6 Su questo aspetto della sua ricerca mi permetto di rimandare a C. Costanzo, Lettere al Dott. B. Giovanna e l’arte come archivio (delle assenze), in G. Brogna/Sonnino, Lettere al Dott. B. 1979-1987, Siracusa, LetteraVentidue Edizioni, 2019 [pagine non numerate]. Per un inquadramento del tema archivio anche in rapporto alla fotografia è imprescindibile la lettura di H. Foster, ‘The Archive without Museums’, October, 77 (Summer, 1996), pp. 97-119; H. Foster, ‘Archives of Modern Art’, October, 99 (Winter, 2002), pp. 81-95; O. Enwezor, ‘Archive fever: Photography between the history and the monument’, in O. Enwezor (a cura di) Archive fever: uses of the document in contemporary art, exhibition catalogue, New York-Göttingen, International Center of Photography-Steidl, 2008, pp. 11-51. Fornisce una lettura critica della nascita dell’archivio come genere e delle sue ricadute sullo scenario contemporaneo internazionale C. Baldacci, Archivi impossibili. Un’ossessione dell’arte contemporanea, Monza, Johan & Levi, 2017, che ne propone anche una classificazione nelle forme atlante-mappa, album-diario, museo-Wunderkammer, schedario-database. Sulla pulsione archivistica oltre l’ambito artistico si vedano almeno M. Foucault, L’Archeologia del sapere. Una metodologia per la storia della cultura [1969], trad. it. di Giovanni Bogliolo, Milano, Rizzoli, 1971; J. Derrida, Mal d’archivio. Un’impressione freudiana [1995], trad. it. di G. Scibilia, Napoli, Filema, 1996.
7 Sulla forma atlante si rimanda all’ormai classica mostra Atlas: How to Carry the World on One’s Back e al relativo catalogo G. Didi-Huberman (a cura di), Atlas: How to Carry the World on One’s Back, exhibition catalogue, Madrid, TF Editores/Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, 2011.
8 Cfr. A. Warburg, Mnemosyne. L’atlante delle immagini, a cura di M. Warnke con la collaborazione di C. Brink, Torino, Aragno, 2002. Nell’ampia bibliografia sul principio atlante si vedano G. Didi-Huberman, L’immagine insepolta. Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia dell’arte [2001], trad. it. di A. Serra, Torino, Bollati Boringhieri, 2006; M. Cometa, Cultura visuale. Una genealogia, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2020. Per Atlas cfr. B. H. D. Buchloh (a cura di), Gerhard Richter [2009], trad. it. di A. Bergamin, Milano, Postmedia Books, 2020.
9 Non è casuale che il testo introduttivo di Lettere al Dott. B. sia firmato da Santo Di Nuovo, psicologo nonché conoscente diretto di Piero Bellanova, che coglie un’assonanza con il Libro Rosso di Carl Gustav Jung per «il dire e non-narrare, il non delineare la strada quanto piuttosto soffermarsi su ciò che dalla strada si vede. E in questa visione, il forte coinvolgimento soggettivo fa emergere dall’inconscio amore, follia e arte. In una miscela continua di razionale irrazionale, di sogno e realtà, di sanità e follia, di parole e di arte», cfr. G. Brogna/Sonnino, Lettere al Dott. B. 1979-1987. Si veda anche C. G. Jung, Il libro rosso. Liber Novus, edizione illustrata a cura di S. Shamdasani, trad. it. di G. Schiavoni, M.A. Massimello, G. Sorge, Torino, Bollati Boringhieri, 2010.
10 Per un profilo di Piero Bellanova si rimanda alla voce biografica redatta da L. Corda per la Società Psicanalitica Italiana, cfr. https://www.spiweb.it/spipedia/bellanova-piero/. Un inquadramento della sua militanza futurista viene presentato in M. Verdone, Drammaturgia e arte totale. L’avanguardia internazionale. Autori, teorie, opere, a cura di R. M. Morano, Roma, Rubbettino, 2005, pp. 73-77. Tra le sue opere d’avanguardia si ricordano Bombardata Napoli canta, Roma, Edizioni Futuriste di ‘Poesia’, 1943 (con copertina di Enrico Prampolini e tavole di Prampolini, Benedetta, Dottori e Crali) e Canzoniere futurista amoroso e guerriero, Savona, Edizioni dell'istituto grafico Brizio, 1943. Sono meritevoli di menzione anche gli interessi cinematografici e l’attività di consulente psicanalitico per film e documentari, presumibilmente favorita dall’incontro con il regista Bernardo Bertolucci, suo paziente. Dall’epistolario traspare il timore reverenziale di Brogna/Sonnino verso alcuni pazienti di Bellanova: «[…] Molte volte sono stata gelosa delle altre persone che si sdraiavano in quel lettino, donne alte e eleganti, gente molto più brava di me. Di uno sono stata particolarmente gelosa: B.B. e lei lo sa […] Anche se non farò mai dei film così belli come quelli del suo paziente di cui sono più gelosa, la prego di volermi bene lo stesso», cfr. Lettera del 10 maggio 1987.
11 Cfr. Lettera del 23 aprile 1979.
12 Cfr. Lettera del 20 maggio 1987, l’unica che si apre con «Cara signora B.».
13 Cfr. Lettera del 10 maggio 1987.
14 Si segnala per l’approccio originale all’analisi e alla resa del rapporto tra collezionista e opere d’arte il booth della Helly Nahmad Gallery presentato in occasione di Frieze Master 2014 London. L’installazione, intitolata The collector e accompagnata dal testo critico di Norman Rosenthal, ricostruiva l’appartamento di un collezionista immaginario, vissuto nel secondo dopoguerra, quale esito della sua ricerca spasmodica «through the visual poetry of the greatest artists of his time». Cfr. http://www.hellynahmad.com/ [accessed 20 March 2021].
15 Sulla narrazione come cura si veda M. Cometa, Perché le storie ci aiutano a vivere. La letteratura necessaria, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2017.
16 Sul libro d’artista si vedano G. Maffei, L. Dematteis, Libri d’artista in Italia. 1960-1998, Torino, Regione Piemonte, 1998; G. Maffei, M. Picciau (a cura di), Il libro come opera d’arte: avanguardie italiane del Novecento nel panorama internazionale, catalogo della mostra, Roma, Corraini, 2006; A. Roth, P. E. Aarons, C. Lehmann, Artists who make books, New York, Phaidon, 2017.
17 Si consulti R. Antolini (a cura di) Libri taglienti esplosivi e luminosi: avanguardie artistiche e libro tra futurismo e libro d’artista, un percorso di lettura dall’archivio Depero e dal deposito Paolo Della Grazia presso il Mart, catalogo della mostra, Rovereto, Nicolodi, 2005. Per visionare integralmente Depero Futurista cfr. https://www.boltedbook.com/page-by-page/ [accessed 20 March 2021].
18 M. Bentivoglio (a cura di), Il non libro, bibliofollia ieri e oggi in Italia, catalogo della mostra, Roma, De Luca, 1985, p. 9.
19 In occasione della mostra tenutasi nel 2020 presso Église (Palermo) sono stati esposti libri d’artista di Daniela Ardiri, Francesco Balsamo, Giovanna Brogna/Sonnino, Laura Cantale e Irene Catania in dialogo con quelli di Sophie Calle, Fischli & Weiss, Damien Hirst, Urs Lüthi e Pipilotti Rist. Per l’opera di S. Calle cfr. AA. VV., Pensa con i sensi, senti con la mente. L’arte al presente, La Biennale di Venezia. 52a Esposizione internazionale d’arte, catalogo della mostra, Venezia, Marsilio, 2007, 2 voll.
20 Sui risvolti di questa ricerca di S. Calle cfr. R. Pinto, Artisti di carta. Territori di confine tra arte e letteratura, Milano, Postmedia Books, 2016, pp. 91-131.
21 Cfr. M. Livingstone, The essential Duane Michals, London, Thames and Hudson, 1997.
22 Cfr. F. Crisafulli, ‘Le fotografie di Giovanna Brogna’, Arte Argomenti, 4, maggio 1991.
23 Cfr. F.M. Banier, Imprudences, Göttingen, Steidl, 2016; https://www.collater.al/francois-marie-banier/ [accessed 20 March 2021].
24 Offre una panoramica su questi aspetti N. Beard, D. Fahey (a cura di), Peter Beard, Köln, Taschen, 2019.
25 Cfr. A. Dawn, D. E. Butler, D. F. Herrmann (a cura di), Hannah Höch, exhibition catalogue, Munich, London, New York, Prestel, 2014.
26 Cfr. S. Duplaix (a cura di), Annette Messager. The messengers, exhibition catalogue, Munich, London, New York, Prestel, 2007.
27 Tra i riconoscimenti il Premio della giuria al Torino Film Festival del 2006, presieduta dal regista indipendente Corso Salani. Vale la pena di riportare la recensione di Salviano Miceli per Close-Up: «“Bisogna avere una visione periferica, l’unica possibile per vedere il centro”, quanto dice Perry Farrell si adatta in maniera straordinaria al lavoro della regista catanese. […] è una visione che parte dai margini, dai confini, siano essi geografici o concettuali, per arrivare poi al centro. Un lavoro libero da sovrastrutture e da obblighi cinematografici, una boccata d’ossigeno». Cfr. S. Gesù (a cura di), È pericoloso sporgersi. Giovanna Brogna/Sonnino. Foto Video Installazioni, pp. 102-103.
28 All’anagrafe Perry Bernstein, il frontman della band californiana Jane’s Addiction sceglie lo pseudonimo Perry Farrel per l’assonanza con peripheral, ovvero periferico.
29 Premiato per il miglior montaggio al Brooklyn Film Festival del 2002, al Festival di Cannes dello stesso anno viene recensito da Annick Rivoire per Libération: «émergent des longs à l’estétique originale, on pense ici à l’étonnant Strike a light, qui marque par la forme, un kaléidoscope d’images qui évite l’effet clip, et par le fon, un monologue à plusieurs voix, onze femmes racontant la misère sexuelle à l’heure du machisme latent». Cfr. S. Gesù (a cura di), È pericoloso sporgersi. Giovanna Brogna/Sonnino. Foto Video Installazioni, pp. 104-105. Come originariamente anticipato dal sottotitolo – Come sono diventata lesbica – il finale rivela un’apertura inaspettata dai non troppo celati riferimenti a J. Butler, Questioni di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità [1990], trad. it. di S. Adamo, Urbino, Laterza, 2013. Sulle intersezioni tra arte, fotografia e femminismo in Italia si consultino almeno H. Reckitt (a cura di), Arte e femminismo, London, Phaidon, 2005; R. Perna, Arte, fotografia e femminismo negli anni Settanta, Milano, Postmedia Books, 2013; C. Casero, Gesti di rivolta. Arte, Fotografia, Femminismo a Milano 1975-1980, Milano, Enciclopedia delle donne, 2020. Per un’interessante riflessione sulla necessità di ri-territorializzazione dei ruoli e degli spazi destinati alle artiste cfr. F. Capriccioli (a cura di), TERRITORIA di Giovanna Brogna, Myriam Laplante, Paola Lo Sciuto, Daphne Wright, catalogo della mostra, A. Cappella, testi di F. Capriccioli, A. Cappella, T. Macrì, P. Mania, Roma, Sala 1, 1993.
30 Cfr. S. Gesù (a cura di), È pericoloso sporgersi. Giovanna Brogna/Sonnino. Foto Video Installazioni, pp. 108-109.
31 Cfr. G. Brogna/Sonnino, Chiarmastramma, Catania, Giuseppe Maimone Editore, 2012.
32 Riguardo a questa forma specifica di iconotestualità si rimanda a M. Cometa, R. Coglitore (a cura di), Fototesti. Letteratura e cultura visuale, Macerata, Quodlibet, 2016; S. Albertazzi, Letteratura e fotografia, Roma, Carocci, 2017; G. Carrara, Storie a vista. Retorica e poetiche del fototesto, Milano-Udine, Mimesis, 2020. Per un approfondimento sui fototesti autobiografici cfr. R. Coglitore, ‘I dispositivi fototestuali autobiografici. Retoriche e verità’, Between, IV, 7, 2014, [accessed 28 March 2021]; R. Coglitore, ‘La verità dell’io nei fototesti autobiografici’, in M. Cometa, R. Coglitore (a cura di), Fototesti. Letteratura e cultura visuale, pp. 49-68; M. Rizzarelli, ‘Nuovi romanzi di figure. Per una mappa del fototesto italiano contemporaneo’, in G. Carrara, R. Lapia (a cura di), Narrativa italiana degli anni Duemila: cartografie e percorsi, numero monografico della rivista Narrativa, 41, 2019, pp. 41-54.
33 Una delle fotografie è stata pubblicata in G. Semeraro, C. Nissirio (a cura di), Photogrammatica. I Rassegna Internazionale di Arte Fotografica, catalogo della mostra, Roma, Athena Parthenos Il Fotogramma, 1990, p. 43.
34 Cfr. Lettera del 20 maggio 1987. La rosa è il leitmotiv delle ultime pagine di Lettere al Dott. B. sia come elemento della narrazione sia come soggetto della sequenza di polaroid e delle fotocopie della rosa che chiudono il libro.
35 Secondo Fabrizio Crisafulli l’artista «fa, con le immagini, un discorso intimo, letterario […] tiene quasi sempre la macchina in posizione orizzontale, quella più vicina alla visione dell’occhio, quasi che il ruotarla per lo scatto costituisca già per lei un artificio eccessivo […] utilizza l’available light […] per lasciare le cose al loro essere». Cfr. S. Gesù (a cura di), È pericoloso sporgersi. Giovanna Brogna/Sonnino. Foto Video Installazioni, pp. 12-13.
36 Questa peculiarità del libro d’artista è riferibile al fenomeno della scomparsa dell’aura teorizzato da Walter Benjamin nel 1936, cfr. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa [1955], trad. it. di E. Filippini, Torino, Einaudi, 2000.
37 M. Cometa, R. Coglitore (a cura di), Fototesti. Letteratura e cultura visuale, p. 78.
38 Cfr. N. Bourriaud, Postproduction. Come l’arte riprogramma il mondo [2001], trad. it. di G. Romano, Milano, Postmedia Books, 2004.
39 L’opera si inserisce nel progetto ACINQUE. Un archivio d’immagini e parole per la Sicilia, cfr. G. Mendolia Calella (a cura di), ACINQUE. Un archivio d’immagini e parole per la Sicilia, testi di G. Mendolia Calella, C. Lauf, A. Nicolosi, Catania, Moondi Edizioni, 2019; C. Costanzo, ‘ACINQUE. Un archivio di immagini e parole per la Sicilia - libri d’artista per (re)immaginare l’isola’, Kalós, arte in Sicilia (in corso di stampa).
40 Dalla presentazione di Quo vadis baby? firmata da V. L. Barbagallo e G. Mendolia Calella. Nel testo di G. Condorelli per la stessa occasione, Brogna/Sonnino viene assimilata al protagonista del racconto Funes el memorioso (1942) di Jorge Luis Borges. L’opera è stata presentata nel 2018 al festival A tutto volume 2018 di Ragusa, con allestimento di Copystudio e STUDIOGUM, e alla V mostra internazionale del libro d’artista di Noto.
41 Cfr. V. Medica (a cura di), Offerings. 38 vassoietti di Giovanna Brogna/Sonnino 2002-2012, catalogo della mostra, Palermo, 40due Edizioni, 2017, p. 33.
42 Cfr. O. Pamuk, Il Museo dell’innocenza [2008], trad. it. di B. La Rosa Salim, Torino, Einaudi, 2009. Per un approfondimento sulle consonanze tra fotografia e autobiografia nell’attività dello scrittore turco e sul legame tra il suo romanzo e la realizzazione dell’omonimo museo a Istanbul nel 2012 si vedano V. Trione, L’opera interminabile. Arte e XXI secolo, Torino, Einaudi, 2019, pp. 299-335; C. Pontillo, ‘Orhan Pamuk e Istanbul: percorsi e costruzione dell’io tra scrittura e fotografia’, Arabeschi, 16, luglio-dicembre 2020, pp. 122-132 [accessed 22 March 2021].
43 V. Medica (a cura di), Offerings. 38 vassoietti di Giovanna Brogna/Sonnino 2002-2012, p. 77.
44 Da una conversazione intercorsa con l’artista per la stesura di questo contributo.