Nel bel mezzo dell’inverno
vi era in me un’invincibile estate
Albert Camus
L’esposizione Frida Kahlo. Fotografie di Leo Matiz (in mostra alla galleria ONO Arte Contemporanea di Bologna dal 14 gennaio al 28 febbraio 2016) sorprende per intensità ed efficacia comunicativa. Le immagini dicono sempre qualcosa, sono concepite per comunicare, spesso però nella fotografia la forza dell’evidenza satura la percezione generando un surplus nozionale che riempie la vista ma indebolisce la riflessione: quando la foto ʻparla troppoʼ, secondo Barthes, non è pensosa, non suggerisce un senso, non induce a meditare. Qui, invece, gli scatti quasi solo in bianco e nero del fotoreporter colombiano Matiz, amico di Frida e del marito Diego Rivera, prendono la via di una comunicazione intima, evocativa, che non rivela, e tuttavia illumina la complessa interiorità della grande artista messicana.
Il percorso espositivo della mostra, articolato in 27 fotografie di diversi formati, alcune ai sali d’argento e altre al platino, non è quindi un vortice di suggestioni visive, ma piuttosto un intenso, quanto riflessivo, itinerario estetico, che consegna allo sguardo dello spectator l’immagine di una Frida inedita, ritratta dal fotoreporter dal punto di vista privilegiato dell’amicizia e della lunga frequentazione, all’interno dell’amata Casa Azul (casa azzurra) nel quartiere natale di Coyoacán a Città del Messico.
Le fotografie di Matiz risalgono al 1941 e al 1943, anni in cui Frida era già un’artista matura, affermata in Messico, negli Stati Uniti e in Europa (nel ʼ38 i suoi quadri erano stati esposti alla Julien Gallery di New York, e l’anno seguente André Breton aveva organizzato una mostra dedicata alle sue opere a Parigi), non più messa in ombra dall’ingombrante personalità del marito. Il mondo dell’arte finalmente riconosceva il talento di Frida, l’infinita versatilità delle sue opere che, come un diario visivo dai colori travolgenti, raccontano un'esistenza perennemente braccata dal dolore.
Di appuntamenti con la sorte avversa, infatti, Frida non ne mancò neanche uno: si può dire che la sua vita procedette per fratture esteriori e interiori, che le procurarono ferite indelebili. Il dolore costante creò in lei la necessità di analizzarlo ed espungerlo da sé, trasferendolo sulla tela; in questo tentativo catartico di oggettivare con la pittura i propri patimenti sta la sua forza, la sua ribellione al giogo della sofferenza.
L’atteggiamento caparbio, a tratti venato di ironia e leggerezza, con cui Frida seppe affrontare gli eventi tragici della sua vita, definisce il nucleo essenziale dell’artista, la cifra ʻeroicaʼ della sua identità biografica e intellettuale che si manifesta nei ritratti fotografici di Matiz.
Nella maggior parte delle istantanee esposte nella mostra, infatti, l’obiettivo è puntato sulla pittrice, e segnatamente sul suo viso. La persistenza iconica del volto di Frida che, sdraiata maliziosamente sull’erba o in piedi tra gli alberi del suo giardino, guarda direttamente verso la macchina fotografica, rende accessibile per l’osservatore l’abisso enigmatico del suo sguardo, che agisce da autentico campo magnetico all’interno dell’inquadratura.
Certamente Frida costruì la propria immagina pubblica come un’opera d’arte, indossando sempre gli abiti tipici della società matriarcali messicane, tuttavia i ritratti di Matiz non sono una mera registrazione di ciò che il sociologo Goffman ha definito la «presentazione del sé», e in essi non si avverte alcuna retorica dell’immagine, né una facile ostensione dell’artista codificata nell’orizzonte iconico della sua pittura.
Al contrario, le istantanee del fotografo colombiano appaiono come dei candid portraits immediati e disinvolti, attraversati da inattesi lampi di spontaneità e dinamismo che lasciano da parte ogni esibizione di arte fotografica.
Nella doppia veste di artista rivoluzionaria e donna tenacemente vitale, Frida si consegna allo sguardo fotografico con sorprendente naturalezza: ne risultano pertanto delle immagini leggere, e perciò capaci di fare emergere l’io profondo del soggetto ritratto.
La bellezza degli occhi penetranti e dei decisi lineamenti del volto, quella singolare commistione di seduttiva femminilità e tratti androgini, non è allestita, composta in una determinata posa, ma semplicemente espressa, come affiorata dall’interiorità per l’intervallo assoluto dell’atto fotografico.
Si ritrova la stessa pacatezza stilistica dei ritratti nelle istantanee della casa dell’artista, quella grande casa azzurra situata in un sobborgo di Città del Messico dove Frida nacque nel 1907 e trascorse l’intera giovinezza, e nella quale tornò a vivere con Diego nel 1940, dopo la morte dei genitori. Casa Azul, oggi trasformata in un museo che accoglie i lavori più importanti di Kahlo e di Rivera, per Frida fu un tempio privato, culla del proprio dolore e della propria creatività artistica (è qui che trascorse gli anni di maggior successo e prolificità), nonché spazio protetto di incontro e condivisione in cui ricevere i tanti amici, amanti, artisti del suo entourage.
L’obiettivo di Matiz ci permette di entrare nella camera da letto di Frida, dove al centro si staglia, con la potenza di una reliquia pagana, il suo busto in gesso dipinto con un’esplosione di fiori, simbolo esibito del binomio arte-sofferenza che caratterizzò in toto la vita dell’artista.
Lo sguardo fotografico è esteso ai diversi ambienti della casa: l’ingresso, la cucina, lo studio illuminato da ampie vetrate, con dentro gli strumenti del mestiere (tavolozza, pennelli, boccette di colori, e poi una sedia a rotelle, ferma davanti al cavalletto).
Osservando oltre la grana della carta fotografica si avverte una sorta di immobilità viva, l’occhio viene catturato da un particolare, che quasi sempre parla di dolore (il busto, la sedia a rotelle), ma l’immaginazione raggiunge ciò che le foto non mostrano: l’idea dell’artista che si muove tra quegli oggetti, che ammira il giardino da quelle grandi vetrate prende forma nella mente dell’osservatore. Si tratta forse solo di un abbaglio fuori-campo, un flash effimero destinato a spegnersi, ma la carica evocativa sprigionata dalle immagini è tale da alimentare l’illusione. Al di là degli slanci dell’immaginazione, in questi scatti di Matiz persiste una vibrazione antica, una soffusa nostalgia, l’eco vitale della presenza di Frida, vera essenza della nostra percezione fotografica.
La mostra di ONO Arte Contemporanea offre anche l’occasione di vedere i disegni preparatori che l’illustratrice Vanna Vinci ha realizzato per la biografia a fumetti dedicata a Frida Kahlo, attesa per i tipi di 24 ORE Cultura nell’autunno 2016. La storia e la personalità dirompente della grande pittrice messicana continuano quindi a ispirare i diversi linguaggi dell’arte, stimolando una costante pulsione memoriale tesa a cogliere l’essenza della sua identità e della sua creatività.