4.2. «Fissando il limite aeropoetico del visuale»: il linguaggio audiovisivo della poetica di Amelia Rosselli

di

     

Non c’è sperimentalismo nella poesia, c’è

sperimentalismo nella vita, c’è

sperimentalismo finché si fa una ricerca di se

stessi nell’esperienza.

Amelia Rosselli

 

Amelia Rosselli nasce nel 1930 a Parigi, dove i genitori, Marion Cave e Carlo Rosselli, si erano rifugiati dopo il confino a Lipari del padre. La sua infanzia è segnata da numerosi viaggi e trasferimenti, un nomadismo esistenziale forzato dalle contingenze storiche e dall’antifascismo della famiglia. Fuggiasca, profuga, orfana e straniera (Barile 2014, p. 131), la sua è una «formazione non italiana, anglo-francese-americana», come la definisce lei stessa durante l’intervista rilasciata a Renato Minore nel 1984 (Rosselli in Venturini e De March 2010, p. 65), interdisciplinare, e destinata a essere cosmopolita.

«Mi misi ad un certo punto della mia adolescenza a cercare le forme universali», così scrive Amelia in Spazi Metrici (1962), saggio teorico sulla metrica sollecitatole da Pier Paolo Pasolini e pubblicato in coda a Variazioni Belliche nel 1964. La redazione di questo saggio mette in gioco l’ampio patrimonio culturale e di studi da lei coltivato negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento (Carpita 2013), e che spazia dalla letteratura all’etnomusicologia, dalla pittura astratta (in particolare Mondrian) alla psicologia della Gestalt e la filosofia orientale. Sono anni decisivi, questi, anche per le sperimentazioni a cavallo fra le arti esercitate dalla giovane Rosselli che, in quel periodo, alla teoria e alla pratica musicale affianca la scrittura a le arti visive: pittura, fotografia e ripresa cinematografica si rivelano esperienze estetiche determinanti per la stesura di Spazi Metrici, e permeano tutta la sua opera. Una modernissima «avanguardia personale» (Paris 2020, p. 129), ai margini, ma tutt’altro che marginale, della letteratura.

L’interesse giovanile di Amelia per le arti visive è attestato dai disegni e dalle pitture degli anni 1952-53, esposti in parte dapprima a Firenze e, nel 1962, in occasione della mostra Piccolo formato-Mostra di Natale presso la Galleria Il Numero di Roma. Il Fondo Manoscritti di Pavia conserva 99 disegni, realizzati a matita e carboncino (i più) e a tempera, e alcuni di essi sono inclusi nel documentario del 2005 di Stella Savino Amelia Rosselli… e l’assillo è rima [figg. 1-2].

«E’ solo un altro metodo, da dentro a fuori; tutto in vista della scrittura»: così scrive al fratello John in una lettera del dicembre 1953, per rassicurarlo in merito ai suoi molteplici interessi e alle sue eclettiche attività. Di fatti, grazie al cugino Alberto Moravia, e agli amici Rocco Scotellaro e Carlo Levi, era stata introdotta negli ambienti intellettuali romani e aveva conosciuto, tra gli altri, Piero Dorazio, Achille Perilli e Giulio Turcato (del gruppo Forma 1), Roberto Bazlen, Niccolò Gallo e Giovanni Giudici.

Nel volume del 2012 curato da Jennifer Scappettone, Locomotrix, Selected Poetry and Prose of Amelia Rosselli [fig. 3], sono state pubblicate quattro fotografie scattate dalla poetessa tra il 1962 e il 1965, che a tutt’oggi risultano le uniche disponibili al pubblico.

Del resto, è stato osservato che la pratica fotografica di Rosselli è legata alla sua spiccata sensibilità fenomenologica ed epistemologica nei confronti della realtà (Carletti 2020). In sostanza, la macchina fotografica e la cinepresa sono i dispositivi che hanno nutrito e assecondato l’originale e problematico sguardo fenomenologico riscontrabile nella produzione poetica di Rosselli, i «modelli cognitivi» (Carletti 2020, p. 174), che hanno ispirato la concezione del suo sistema metrico.

D’altra parte, come è noto, la natura fenomenologica è insita nel linguaggio stesso della Settima Arte, e «lo stile moderno» del cinema (e degli audiovisivi) la dispiega produttivamente, indicando proprio nella relazione con le altre arti una delle direttrici privilegiate dal punto di vista teorico e realizzativo (De Vincenti 2013). Queste pratiche ‘moderne’ evidenziano infatti un confronto tra linguaggi espressivi diversi che si esercita tramite l’esaltazione della qualità riproduttiva del dispositivo e, al contempo, il risalto della dimensione metalinguistica dell’opera. Un gesto congiunto, questo, che è presente nei «processi deformanti» (Carletti 2015) e stranianti grazie ai quali Rosselli esibisce il suo linguaggio poetico e sul quale riflette, nello stesso tempo: «osservare questo mutamento della mia osservazione e dell’incontro delle cose con me o delle persone o degli spazi e del movimento e del tempo» (Rosselli in Venturini e De March 2010, p. 236), così spiega in merito alla scrittura di Diario in tre lingue e a quella dell’intero volume che contiene gli scritti giovanili Primi Scritti (1952-1963). Una pratica flagrantemente meditativa e scientifica, quella dell’osservazione, che parte dal «punto di visione» dell’io, come Amelia annota proprio nel Diario: quel «fluire», che è la «sintesi tra mondo estrov. e mondo introv.» (Rosselli 2012, p. 646, troncature delle parole dell’autrice).

In occasione di un’intervista rilasciata nel 1987 per il numero 1 di ‘Videor’, videorivista diretta da Elio Pagliarani ed edita da Orazio Converso [figg. 4-5-6-7], Rosselli ricorda come segue il processo creativo che condusse alla stesura di Diario in tre lingue:

Io camminavo per il quartiere lungo il fiume, prendendo appunti a mano su quadernetti a righe o…come si dice… a quadretti, naturalmente; e cercando di sentire lo spazio della camminata: il famoso problema di Olson, il campo se vuoi magnetico, in un certo senso. […] È chiamato Diario in tre lingue in Primi Scritti. Allora ho preso una tranche de vie, come si dice; ho preso otto quaderni, ne ho trattenuti, trascritti com’erano a macchina da scrivere, e buttati gli altri perché mi stavo arenando anche lì. E Diario in tre lingue è interessante per alcuni perché ancora junghiano, ancora poundiano, ancora montaliano, ma c’è questo problema del campo magnetico. E fu scritto, mi pare, tra i ventiquattro e i venticinque o ventisei anni. Ma ho dovuto buttar molti, se no proprio era un eccesso inutile. Ma era interessante questo uscir di casa e osservare quello che ti capitava e scrivere allo stesso tempo, non proprio ciecamente (Rosselli in Venturini e De March 2010, p. 205).

Dopo una lunga e straziante peregrinazione e sette camere in affitto, la «figliola col cuore devastato» (Rosselli 2012, p. 48) era finalmente approdata a Trastevere nel 1954, con l’acquisto dell’appartamento di Lungotevere Raffaello Sanzio. È questo il luogo d’elezione per la sua ricerca di originalità espressiva, una ricerca stilistica e linguistica che Primi Scritti (1952-1963) riassume, come dichiara lei stessa (Rosselli 2012, p. 1393).

Tra le numerose riflessioni, che a prima vista sembrano casualmente associate nelle pagine del Diario, Amelia annota: «il tuo contenuto deve provocare lo spazio» (Rosselli 2012, p. 645). Una frase che suggerisce un nucleo tematico pregnante, centrato sulla questione del rapporto tra contenuto e forma, una questione che Rosselli dichiaratamente condivide con il poeta newyorkese Charles Olson [«il famoso problema di Olson»], un artista di riferimento anche per Stan Brakhage, filmmaker di punta del più avanzato e radicale cinema sperimentale statunitense.

In quel periodo a Trastevere la stessa Rosselli sperimenta una cinepresa in affitto, come si apprende nell’intervista rilasciata a Milo De Angelis e Isabella Vincentini nel 1992:

Il Trastevere offriva molto con le sue case per me allora bellissime: affittai una cinepresa, fissando il limite aeropoetico del visuale. Mi interessavano i problemi di spazio legati ai problemi di scrittura: l’inquadratura non fotografica ma mentale, spaziale, dinamica; una visione architettonico-geometrica. Poi ho abbandonato la cinepresa e anche la fotografia e ho continuato con la poesia, e i problemi di architettura dinamica sono diventati i problemi di Spazi metrici (Rosselli in Venturini e De March 2010, p. 148).

Fu «l’esperienza della ripresa», precisa Amelia in quell’occasione, unitamente allo studio della metrica classica, a condurla «a una poesia apparentemente tridimensionale su carta, e tutt’altro sul piano dinamico» (Rosselli in Venturini e De March 2010, p. 149). E nell’introduzione a Spazi Metrici, scritta trentuno anni dopo il saggio, Rosselli così approfondisce in merito a quelle sue ricerche sperimentali:

Tanto complesso mi pareva il problema che avevo perfino correlazionato la questione metrica a problemi di fotografia spaziale, vivendo la poesia senza scriverla, e ‘filmando’ mentalmente ed emozionalmente ogni realtà attorno, quasi pensassi in forme approssimativamente cubiche, il sentire seguendo la vista in senso anche energetico (Rosselli 2012, p. 1278).

Per poi concludere coerentemente, nel paragrafo finale dello scritto, con la sollecitazione a «sensibilizzare il poeta ad altre discipline, quali quella dell’operatore cinematografico, la fisica moderna, l’aerodinamica». Una sollecitazione che rinvia dunque alla viscerale matrice esperienziale della poetica rosselliana, che coinvolge a pieno il corpo il movimento nello spazio e nel tempo e, in particolare, il senso della vista, l’osservazione. Un corpo-dispositivo, macchina da presa pensante e vivente, che elabora i dati dell’esperienza e crea in versi (Rosselli in Cortellessa 2007, p. 227): «non pensavo che lo scrivere potesse esistere fuori dall’esperienza: l’esperienza veniva prima e la forma si trovava nell’esperienza, nell’esperienza del vivere», dichiara Rosselli in un’intervista rilasciata a Luciana Corda (Venturini e De March 2010, p. 224).

La sua poetica riverbera così le immagini di un linguaggio audiovisivo ‘mentale’ e irriducibilmente embodied. Un cinema che ‘fa corpo’ con la poesia, proprio perché la poesia, come il cinema, «is an approach to experience» (Deren, Poetry and the Film Symposium, NYC 1953).

 

Bibliografia

L. Barile, Laura Barile legge Amelia Rosselli, Roma, Nottetempo, 2014.

C. Carpita, ‘«Spazi metrici»: tra post-webernismo, etnomusicologia, Gestalttheorie ed astrattismo. Sulle fonti extra-letterarie del ‘nuovo geometrismo’ di Amelia Rosselli’, Moderna: semestrale di teoria e critica della letteratura, vol. XV/2, 2013.

E. Carletti, ‘Il chiarore che deforma – Processi deformanti nella poetica di Amelia Rosselli’, altrelettere, dicembre 2016, <https://www.altrelettere.uzh.ch/article/view/al_uzh-27> [accessed 31 January 2021].

E. Carletti, The Photographic Eye: Poetry and the Visual in 1950s and 1960s Italian Experimental Writers, A thesis submitted in fulfilment of the requirements for the degree of Doctor of Philosophy, Faculty of Arts and Social Sciences, The University of Sydney, 2020.

A. Cortellessa (a cura di), La furia dei venti contrari. Variazioni Amelia Rosselli, con testi inediti e dispersi dell’autrice, con il DVD Amelia Rosselli… e l’assillo è rima di Rosaria Lo Russo e Stella Savino e un CD con la lettura integrale della Libellula di Rosaria Lo Russo, Firenze, Casa Editrice Le Lettere, 2007.

G. De Vincenti, Lo stile moderno. Alla radice del contemporaneo: cinema, video, rete, Roma, Bulzoni, 2013.

R. B. Elder, Olson’s Energetic of Embodied Existence, in Id. The Films of Stan Brakhage in The American Tradition of Ezra Pound, Gertrude Stein and Charles Olson, Waterloo, Wilfrid Laurier University Press, 1998.

P. Giovannetti, G. Lavezzi, La metrica italiana contemporanea, Roma, Carocci, 2010.

S. Giovannuzzi, Amelia Rosselli: biografia e poesia, Novara, Interlinea, 2016.

W. Maas (a cura di), ‘Poetry and the Film: A Symposium’, Film Culture, 29, 1963, in versione digitale all’indirizzo <www.ubu.com/papers/poetry_film_symposium.html> [accessed 1 September 2021].

R. Paris, Miss Rosselli, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2020.

E. Pagliarani, O. Converso (a cura di), ‘Videor no. 1’ <https://player.vimeo.com/video/257854437?autoplay=1> [accessed 6 September 2021].

A. Rosselli, L’opera poetica, a cura di S. Giovannuzzi, con la collaborazione, per gli apparati critici, di F. Carbognin, C. Carpita, S. De March, G. Palli Baroni ed E. Tandello, che ha firmato anche il saggio introduttivo, Milano, Mondadori, 2012.

J. Scappettone, Locomotrix, Selected Poetry and Prose of Amelia Rosselli, Chicago and London, University of Chicago Press, 2012.

E. Tandello, La fanciulla e l’infinito, Roma, Donzelli, 2007.

A. Trivelli, Sulle tracce di Maya Deren. Il cinema come progetto e avventura, Torino, Lindau, 2003.

M. Venturini, S. De March (a cura di), È vostra la vita che ho perso. Conversazioni e interviste 1964-1995, Firenze, Le Lettere, 2010.