3.3. Le donne e gli home movies. Esistenze (e resistenze) davanti alla cinepresa

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  • [Smarginature] «Ho ucciso l'angelo del focolare». Lo spazio domestico e la libertà ritrovata →
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Possono le donne nel film amatoriale contribuire a definire esse stesse una narrazione propria, e per certi versi imprevista, della propria maternità? Oggetto dell’intervento sono Laura, moglie del filmmaker Luca Ferro, e Grazia, moglie del cineamatore Giuseppe Lenzi. Pur nella diversità che le contraddistingue, in un’alternanza di ambienti esterni e domestici, visioni bucoliche e lavoro di cura, due vissuti prendono forma in un diverso porsi rispetto alla cinepresa, al loro partner e all’esperienza che stanno vivendo.

In amateur films, can women define their own, and in some ways unexpected, narrative of their own motherhood? The subjects of the intervention are Laura, wife of the filmmaker Luca Ferro, and Grazia, wife of the amateur film maker Giuseppe Lenzi. Despite the diversity that distinguishes them, in an alternation of external and domestic environments, bucolic visions and care works, two experiences take a shape in a different position regarding to the camera, their partner and the experience they are living.

1. Cinema amatoriale, questione di donne

Nel cinema amatoriale, e forse ancor di più nell’ambito specifico del film di famiglia, le figure maschili sembrano stagliarsi predominanti. Il cineamatore è per definizione un uomo, marito e padre, regista e operatore, nonché, sovente, proiezionista e imbonitore. I fondi filmici oggi conservati negli archivi sono d’altra parte ad essi in genere intitolati, nascondendo l’equivoco di fondo di una prassi cineamatoriale dai ruoli spesso più fluidi di quanto a prima vista possa sembrare. Non era infatti raro, all’interno della famiglia, che la cinepresa passasse di mano in mano e che dietro ad essa si alternassero anche delle donne, spesso le stesse mogli e madri impresse sulle pellicole (Bianchi 2019).

Fondi filmici privati con soggetto produttore segnatamente femminile sono d’altra parte numericamente minori, ma affatto assenti e anzi oggetto di interessanti analisi attorno al medium cineamatoriale come «mezzo di scrittura del sé» (Filippelli 2015). Non a caso Carla Lonzi aveva eletto il formato ridotto a mezzo utile per esprimere la densità di un consapevole autoritratto, poiché «Il nastro stretto eppure accogliente della pellicola pare[va] offrirsi come spazio disponibile e poroso, capace di rendere conto anche dell’aria, e delle più riposte e minime pieghe delle esistenze femminili» (Cardone 2011, p. 55). E in effetti ancora oggi le immagini amatoriali si presentano tanto infarcite di presenze femminili da meritare una specifica parola chiave, ‘donne’ appunto, ad esempio in Memoryscapes, catalogo online di Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia.

Protagoniste effimere e misconosciute della narrazione filmica in tanta parte delle immagini private, le donne sono spesso immortalate nel compiere quei gesti «che non diventano un prodotto ma solo un accudire. Gesti nell’aria come quelli degli equilibristi, gesti fatti di aria» (Lonzi 1978, p. 767). La felice intuizione lonziana ha in effetti recentemente ispirato Giulia Simi e Michele Manzolini nella realizzazione di Il gesto delle donne, piccolo e prezioso atlante di gestualità ed esistenze dedite al lavoro minuto e di cura, domestico o lavorativo, raccontate attraverso un montaggio di pellicole amatoriali. Scorrendo le immagini colpisce molto l’attenzione al dettaglio, forse enfatizzato dalla selezione dei curatori, eppure così presente nelle immagini amatoriali. Gesti lievi ma sapienti, ripresi da vicino o vicinissimo, si alternano ai ripetuti sguardi in camera delle donne ritratte, coinvolgendo così lo spettatore nella prossimità dialogante tra chi veniva filmato e chi, dietro la cinepresa, le filmava (Caneppele 2022, pp. 115-16). Questa è d’altra parte una delle caratteristiche più proprie del cinema amatoriale, cifra ed essenza di un dialogo muto ma denso di significati, a saper ben guardare. Appare dunque necessario riconoscere un’attorialità – diversa da quella cinematografica ma comunque consapevole: nessuno scorda mai la cinepresa! – a chi muovendosi e animandosi si fa filmare (Caneppele 2022, pp. 100–103). Ciò permette in effetti di assumere queste donne come soggetto, ‘imprevisto’ (Lonzi 1974) eppure molto presente, della pratica cineamatoriale. Tramite questo sovvertimento del punto di vista, rivolgendolo cioè a chi in sostanza sceglie come mostrarsi rispetto a chi sceglie cosa mostrare, si possono forse scrivere delle storie ancora tutte da immaginare. Anche per quanto riguarda il cinema amatoriale, dunque, parlare di donne significa «portarne alla luce le vite e le esperienze [in un] compito arduo e necessario, che convoca saperi differenti, che chiama in causa e a confronto discipline vicine – eppure separate e spesso non comunicanti» (Jandelli, Cardone 2011, p.6). Sarà dunque a due soggetti imprevisti quanto visibili, al loro porsi davanti alla cinepresa, agli sguardi e alla gestualità, che guarderà questa analisi.

 

2. Due di due. Dalla biografia all’autobiografia relazionale

Grazia è una studentessa di lettere moderne presso l’Università di Siena quando conosce il futuro marito Giuseppe Lenzi, di professione geologo, cineamatore appassionato e prolifico. Laura si sta invece laureando in psicologia quando incontra Luca Ferro, filmmaker e teorico del cinema privato. Grazia e Giuseppe hanno un rapporto lungo e a tratti burrascoso per buona parte degli anni Sessanta prima di decidere di sposarsi nel 1968. Laura e Luca si conoscono invece da poco quando decidono di metter su famiglia. Seppure non coetanee, nella prima metà degli anni Settanta Grazia e Laura vivono quasi in contemporanea l’esperienza della maternità, dando alla luce i rispettivi primogeniti. Alla loro esistenza di donne e madri si affianca però anche la dimensione di compagne, interagenti nella vita come sulla pellicola con i rispettivi partner. Il film di famiglia, che si caratterizza per essere opera corale e comunitaria, negoziazione continua di ruoli e significati, particolarmente ben si presta a un’ulteriore applicazione della prospettiva di autobiografia relazionale, di racconti di sé che «si basano interamente sulla relazione con altri soggetti» (Piana 2021).

Va notato inoltre come, per un cinico scherzo del destino, in particolare per la prospettiva che vuole assumere questa analisi, siano i due uomini a restituirci anche oggi informazioni e personalità di Grazia e Laura che, entrambe decedute, non possono più essere intervistate. Le due donne, rese caducamente immortali dalle pellicole filmate dai rispettivi mariti, paiono tuttavia ancora suggerirci molto della loro esistenza, le cui tracce cercheremo di seguire attraverso lo studio delle immagini che di loro ci sono arrivate. Sarà nella duplice relazione, nei confronti del mezzo filmico e dell’affinità negoziale che con il partner attraverso questo si istaura (Cati 2011), che cercheremo di definire qualche dettaglio di queste due esistenze. Fulcro dell’analisi saranno in particolare due pellicole che si concentrano attorno all’evento della maternità, snodo denso di implicazioni relazionali e culturali. La prospettiva che si cercherà di assumere sarà dunque quella dell’autobiografia relazionale, seguendo l’intuizione che anche ‘porsi davanti alla cinepresa’ sia un atto di scrittura del sé (Cati 2007a).

 

3. Corpo materno, corpo di donna

In attesa dei loro rispettivi primogeniti Chiara e Martino, Grazia e Laura dominano incontrastate la scena di due film. Già il titolo assegnato convoca un’interessante distinzione nell’impostazione relazionale delle due coppie. Con Ed ora ci sono anche io!! (1970) Giuseppe Lenzi incardina l’esperienza genitoriale sulla nascita della figlia mentre, specularmente, con Trascorrere con Laura (1974-2021) Luca Ferro raccoglie le immagini della maternità della moglie in un contesto più ampio, seguendo la «suggestione di accostare al naturale fluire del ciclo dell’acqua quello delle nostre esperienze». Oltrepassando l’intenzionalità dei mariti, è tuttavia sulle due donne e sul loro agire davanti alla cinepresa che ci vorremmo, come detto, soffermare.

Grazia si mostra impeccabilmente vestita e pettinata nelle ultime fasi della sua gravidanza, ripresa da Giuseppe mentre passeggia nel grande giardino di casa Lenzi, circondata da fiori e alberi lussureggianti. Molti i piani ravvicinati, che la descrivono intenta a godere, pur nella natura pacata e misurata del giardino, di una primavera rigogliosa e matrice simbolicamente affine alla sua condizione di donna incinta. Nello scorrere delle immagini il corpo materno di Grazia, da fulcro della scena, viene tuttavia progressivamente decentrato fino ad uscirne, seguendo un copione in verità abbastanza frequente nel film di famiglia (Cati 2007b). Quello di Grazia non rimane però un corpo muto. Sorvegliandone lo sguardo nel corso di questa pellicola, e soprattutto cercando di coglierne i mutamenti, lo sguardo di Laura pare in effetti procedere con un movimento uguale e contrario a quello imposto dallo sguardo del marito/cineamatore. Se la gestualità è colta e misurata, perfettamente consona alla rappresentazione condivisa di una maternità tanto attesa, nelle prime scene si era rivelato altrettanto partecipe anche lo sguardo, soavemente indirizzato verso la cinepresa e il marito [fig. 1]. Probabilmente esausta dopo il parto, il suo volto si fa tuttavia presto bieco e infastidito nelle immagini girate in ospedale [fig. 2], proprio mentre Giuseppe inizia a porre la bimba neonata al centro della scena. Grazia arriva a smettere quasi del tutto di guardare in camera durante le fasi del difficile allattamento, concentrata sulla bambina che non vuole nutrirsi e forse sempre più infastidita dal marito che invece continua a filmarla indefessamente non cogliendone il disagio. Ancora prima di uscire completamente dall’inquadratura nelle fasi dell’accudimento e del battesimo, in Grazia pare incrinarsi quel mutuo patto che lega i due coniugi nella rappresentazione della propria prole.

Contravvenendo al suo ruolo di madre-regista, colei cioè che fa sì che la rappresentazione infantile possa avvenire (Cati 2007b, p. 221) , Grazia arriva ad evitare di porre la piccola Chiara a favore di cinepresa e anzi ostacola le riprese dell’insistente marito [fig. 3], informandoci indirettamente della sua volontà di uscire dall’azione rappresentativa e memoriale degli eventi. D’altra parte, nell’arco di un decennio, il rapporto con l’uomo si sfalderà implacabilmente. Tra le ultime immagini filmiche di Grazia, suggestiva quanto potente è la sua figura di spalle che si allontana inesorabile dal marito che filma i figli mentre giocano sulle rovine di un tempio [fig. 4]. Il disinteresse nei confronti del marito/cineamatore, e dell’immagine famigliare che egli vuole trasmettere, è ormai pressoché totale.

Come Grazia, anche nel caso di Laura le immagini dell’attesa istaurano un forte rapporto con la natura. Come già accennato, è qui però l’acqua l’elemento dominante, il suo scorrere diventa vitale e prolifico, visivamente interpretato da un fontanile presso cui la donna, incinta, staziona lungamente [fig. 5]. Nella prima parte della pellicola, le immagini della gravidanza si alternano alle riprese di lei non ancora incinta completamente nuda in casa, luogo dell’intimità per eccellenza, ma anche nel patio e in giardino [fig. 6]. Momenti di semplice complicità la ritraggono mentre si veste guardandosi allo specchio o si depila le sopracciglia, cifra di un’intesa così salda da rendere superflua la posa.

Cani tra campi incolti e volti di amici si susseguono alternandosi al gesto di Laura che sfiora l’acqua e dettagli della fonte, suggerendo forse l’immagine della natura indomita e fedele della donna che, quasi d’improvviso, si spoglia nuda presso il fontanile mostrando così il corpo gravido nella sua interezza, tondo e magnifico. Nella seconda parte della pellicola appare infine Martino, dapprima neonato tra le braccia della madre che dolcemente gli sfiora il viso con la guancia e poi via via più grande, fino ad avventurarsi, ancora con la donna, presso il fontanile di campagna. A queste immagini si alterna però con costanza un primo piano del busto di Laura, di nuovo svestita e seduta sul fontanile, che si accarezza il ventre gravido mostrando i seni gonfi e il pube nudo. Alla complicità salda e quotidiana su cui si poggia l’intimo rapporto coniugale, sembra qui accostarsi un’altrettanto salda relazione di Laura con il proprio corpo materno, percepito in un naturale processo di cambiamento. La pellicola si chiude infine con un primo piano di Laura corrucciata [fig. 7], che pare guardare altrove sfuggendo di proposito il contatto con la cinepresa, e con un primissimo piano di lei sorridente che si stropiccia gli occhi guardando in camera [fig. 8]. Questi ultimi fotogrammi, sempre risalenti agli anni Settanta, sono il risultato di un’aggiunta operata dall’autore nel 2021, anno della scomparsa dell’amata moglie, e mostrano «i due volti di Laura», meno materni e complici ma che sicuramente meglio definiscono i tratti di una donna che non pare avere remore a mostrarsi per quel che sente.

Il contesto produttivo delle due pellicole non va certamente trascurato. Per quanto coevi, tra i due cineamatori appare una distanza: Giuseppe Lenzi è un cineamatore vero e proprio, seppur appassionato e tecnicamente capace, mentre Luca Ferro è un filmmaker che partecipa attivamente al contesto sperimentale degli anni Settanta (Simoni 2019). Inoltre, sebbene tra le maternità mostrate nelle pellicole corrano solo quattro anni, non va d’altra parte dimenticato che a separare anagraficamente le due coppie interviene quasi un decennio di differenza, per altro in Italia decisivo per la rimodulazione dei modelli relazionali e famigliari (Lombardi 2008; Barbagli 2000). Soffermandoci più nel dettaglio su Grazia e Laura, tuttavia, si è cercato di cogliere analogie e differenze nella gestualità relazionale che intrattengono con la cinepresa e con il partner, interpretandola come un contributo autoriale nella realizzazione della pellicola. «Ho ucciso l’angelo del focolare!» sembrano infine affermare entrambe, pur da prospettive e con motivazioni molto diverse. Se quella di Grazia è una ‘re-esistenza’, contro il marito innanzitutto e contro la sua istanza narrativa, quella di Laura pare invece orientata verso una complicità coniugale attraverso la quale ri-fondare il proprio rapporto di coppia lontano dalle logiche famigliari di istituzione borghese.

Entrambe godono della possibilità di imprimere sé stesse sulla pellicola, raccontandosi e inscenandosi, percependosi nello spazio e nell’immagine che di sé stanno lasciando. Entrambe interagiscono con la cinepresa, che guardano assiduamente, dialogando al tempo stesso con l’uomo che tramite questa le filma, o scegliendo di non farlo. Entrambe, con coscienza e arte, utilizzano il gesto e il proprio corpo per svincolarsi dalla condizione di oggetto di ripresa rendendosi soggetto attivo e consapevole, per quanto imprevisto. Consce che in fondo «su questi gesti è costruita la nostra vita» (Lonzi 1978, p. 767).

 

Bibliografia

M. Barbagli, ‘Sotto lo stesso tetto: mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo’, Biblioteca, Bologna, Il Mulino, 2000.

E. Bianchi, La Toscana a passo ridotto. Lo sguardo del turista cineamatore tra gli anni Trenta e gli anni Settanta, tesi di dottorato (dir. Cristina Jandelli), Università di Firenze, 2019.

P. Caneppele, Sguardi privati: teorie e prassi del cinema amatoriale, Milano, Meltemi, 2022.

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A. Cati, ‘Auto/Rappresentazioni. La messa in forma del sé nel film di famiglia’, Comunicazioni Sociali, n. 3, 2007, pp. 503-9.

A. Cati, ‘“Sorridi alla mamma!” Presenze materne nelle pratiche cine-amatoriali’, in M. Fanchi (a cura di), ‘Genere e generi. Figure femminili nell’immaginario cinematografico e culturale italiano’, Comunicazioni Sociali, n. 2, 2007, pp. 218-22.

A. Cati, ‘Figure del sé nel film di famiglia’, Fata Morgana, n. 15, 2011, pp. 35-44.

S. Filippelli, Le donne e gli home movies: il cinema di famiglia come scrittura del sé, Pisa, ETS, 2015.

C. JANDELLI e L. CARDONE ‘Perdute e ritrovate. Uno sguardo d’insieme’, in Bianco e nero, fasc. 2, 2011, pp. 5–14.

D. Lombardi, Storia del matrimonio: dal Medioevo a oggi. Le vie della civiltà, Bologna, Il Mulino, 2008.

C. Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Milano, Scritti di Rivolta Femminile, 1974.

C. Lonzi, Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Milano, Scritti di Rivolta Femminile, 1978.

F. Piana, ‘“Etnologia” degli affetti. La biografia familiare di Lina Sastri e le memorie sentimentali di Paola Pitagora’, in L. Cardone, F. Polato, G. Simi, C. Tognolotti, ‘Sentieri selvaggi’, Arabeschi, n. 18, 2021, [Accessed 6 September 2022].

P. Simoni, ‘Dimensione Super8. Le pratiche e le utopie del formato ridotto (Italia, 1965-1975)’, Immagine. Note di storia del cinema, vol. IV, n. 20, 2019, pp. 99-120.