1.6. Lo spazio domestico nella costruzione del personaggio femminile moderno. Il motivo della donna sul letto nel cinema di Anna Magnani

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Il caso di Anna Magnani offre una fenomenologia sempre feconda sulle possibiltà di osservare l’opera di un’attrice come la testimonianza creativa di un autore. La sua politica di attrice (Moullet, 1993; Brenez, 2013; Carnice Mur, 2015) afferma non soltanto un compendio di figure e personaggi che diventano essenziali per capire il paesaggio filmico del neorealismo italiano, ma anche un manifesto sulla creazione del personaggio in un momento in cui dalle cinematografie nate dal dopoguerra europeo spuntano i ritratti della femminiltà moderna (Sieghlor 2000; Jandelli 2007; Pravadelli 2015). Dal punto di vista figurativo, troviamo nei suoi film delle immagini ricorrenti che si ripetono intorno alla sua presenza. Intendiamo queste immagini come motivi visuali (Balló & Bergala, 2016) che accompagnano la costruzione dei personaggi dall’attrice di film in film, e che a volte diventano delle vere unità di significazione narrativa e simbolica composte intorno alle sue figure. Il motivo più costante che troviamo a questo riguardo è quello della donna sdraiata sul letto. Un’immagine composta intorno a dei momenti significativi delle sue eroine realiste, che esprimono l’angoscia, la calma, la tristezza o la gioia della solitudine nell’intimità della propria camera. Pur non essendo in apparenza il motivo più rilevante in un senso narrativo, è quello più frequente e probabilmente quello che rege un maggior simbolismo nella carriera di un’attrice che ha esplorato e rappresentato le idee degli affetti e del desiderio oltre la narrativa melodrammatica classica e dell’amore romantico.  Attraverso il motivo della donna sul letto, questo studio cercherà di delineare il significato e l’importanza che prendono i luoghi dell’intimità legati allo spazio domestico nella costruzione del divismo di un’attrice per cui la rappresentazione della femminilità è stata fondamentale nella sua politica di attrice. 

The case of Anna Magnani offers an always fertile phenomenology on the possibilities of observing the work of an actress as the creative testimony of an author. Her actress policy (Moullet, 1993; Brenez, 2013; Carnice Mur, 2015) affirms not only a compendium of figures and characters that become essential for understanding the filmic landscape of Italian neo-realism, but also a manifesto on the creation of the character at a time when portraits of modern femininity were emerging from post-war European cinema (Sieghlor 2000; Jandelli 2007; Pravadelli 2015). From a figurative point of view, we find recurring images around her films. We understand these images as visual motifs (Balló & Bergala, 2016) that accompany the construction of characters by the actress from film to film, and that sometimes become true units of narrative and symbolic signification composed around her figures. The most constant motif we find in this regard is that of the woman lying on the bed. An image composed around significant moments of his realist heroines, expressing the anguish, calm, sadness or joy of loneliness in the intimacy of their own room. Although it is apparently not the most relevant motif in a narrative sense, it is the most frequent and probably the one that holds the most symbolism in the career of an actress who explored and portrayed the ideas of affection and desire beyond classical melodramatic fiction and romantic love.  Through the motif of the woman on the bed, this study will attempt to delineate the meaning and importance of the places of intimacy linked to domestic space in the construction of the stardom of an actress for whom the representation of femininity was fundamental in her politics as an actress.

Il caso di Anna Magnani offre numerose possibilità di osservare nel percorso di un’attrice la testimonianza creativa di una autrice. La sua politica di attrice (Moullet, 1993; Brenez, 2013; Carnicé Mur, 2015) mostra non soltanto un compendio di figure essenziali del paesaggio filmico del neorealismo italiano, ma appare anche come un manifesto della creazione del personaggio in un momento in cui nelle cinematografie europee del dopoguerra affiorano i tratti della femminilità moderna (Sieghlor, 2000; Jandelli, 2007; Pravadelli, 2015). Dal punto di vista figurativo, troviamo nei suoi film una serie di immagini ricorrenti che muovono intorno alla sua presenza, generando una certa familiarità tra il mondo drammaturgico legato ai suoi gesti e la memoria degli spettatori. Ne sono esempi il motivo della pietà, quello della donna che corre, l’attrice nel suo camerino, o la donna sul letto. Vorrei leggere queste immagini attraverso il prisma della prospettiva teorica con la quale autori come Casetti e Di Chio (1994) o Balló e Bergala (2016) osservano i motivi visuali nell’analisi filmica, ovvero unità iconografiche che nutrono di senso l’universo filmico, diventando esse stesse unità autonome di significazione narrativa e simbolica. In questo caso, i motivi visuali appena elencati accompagnano la costruzione del personaggio di Anna Magnani di film in film, definendo una serie di tratti di familiarità e iconicità nel suo ventaglio di eroine quotidiane, così da offrire un ritratto profondo e non stereotipato dell’identità femminile del suo tempo.

La donna che corre per strada, forse il motivo più ritornante nell’universo Magnani, sottolinea da una parte il carattere dinamico delle sue eroine coraggiose, lontane dalla passività e tese all’azione e alla lotta; dall’altra, determina l’importanza degli spazi di azione di queste eroine, che di solito travalicano le frontiere della sfera domestica. Anche se spesso veste i panni della madre di famiglia, la donna magnaniana si sente attirata dallo spazio pubblico che anche lei vuole occupare, allontanandosi dallo stereotipo della casalinga e - di conseguenza - venendo raramente inquadrata in spazi più tradizionali.

Dal canto suo, il motivo dell’attrice in camerino allude a una conoscenza pregressa del gesto recitativo della diva Magnani da parte del pubblico, annullando l’effetto immersivo della finzione per puntare l’attenzione sulla performance come processo autoriale. Entrambi i motivi pongono in risalto la dimensione più discorsiva della performance, che mette a tema molti degli stereotipi che danno forma alla sua leggenda. Mentre la critica internazionale costruiva sulla apparente spontaneità della star italiana il mito neorealista della ‘donna al naturale’, l’arte di Magnani nutriva già un’idea che si rivelerà feconda: l’identità, sia per quel che riguarda la femminilità dei personaggi da lei interpretati sia per la sua personalità divistica, non è altro che un processo di natura performativa, legato all’azione creativa dell’artefice sulla propria immagine.

Lo studio dei motivi visuali descritti sopra è molto importante rispetto alla costruzione della femminilità in Magnani, specialmente se si considerano gli spazi domestici che di solito circondano le sue figure. Anche se immerso in una estetica spesso legata alla quotidianità propria del realismo, il lavoro di Magnani rende visibile una femminilità non conforme che pensa e sente controcorrente e che trova nel motivo visuale della donna sul letto un inedito spazio di visibilità. Si tratta di un’immagine iconica nell’arte, dai rimandi erotici ed esistenziali (Bou, 2016), che richiama la solitudine dell’insonne come anche il corpo desiderabile dell’odalisca, e che si rivela centrale nella costruzione dell’eroina magnaniana come soggetto desiderante. La figura della donna sul letto dà origine a una prolifica costellazione di immagini dell’universo magnaniano in cui ricorre uno stesso concetto, ossia l’intimità del personaggio. L’importanza del motivo è pertanto feconda nella sua apparente semplicità: elemento quotidiano della domesticità, rende visibile quello che il cinema e in generale le arti plastiche hanno esplorato soltanto di rado, ovvero la vita interiore della donna nella sua intimità, non come corpo desiderabile ma come mente che desidera; come soggetto, non sempre stabile, dotato di una propria storia ed esperienza [fig. 1].

Se prendiamo la femminilità moderna come uno degli snodi di fondo della performatività di Anna Magnani, troviamo nel motivo del letto la testimonianza progressiva della sua evoluzione figurativa. Nel periodo di transizione fra neorealismo e modernità, il letto accompagna l’emancipazione drammaturgica della sua figura, da madre neorealista a soggetto di desiderio: dalla figura della madre stanca che allatta in L’onorevole Angelina (1946) alla vittoria morale della moglie ribelle in Bellissima (1952), fino al monologo autoconfessione dell’amante sofferente in L’amore (1948) [fig. 2].

Nei film hollywoodiani dell’attrice (1954-1960), influenzati dalla corrente psicoanalitica che segna quel giro d’anni, il letto si squaderna in tutto il suo complesso simbolismo e svela i tabù più cupi nei confronti delle pulsioni dell’eros e del thanatos. Da La rosa tatuata (The Rose Tattoo, 1954) a Pelle di serpente (The Fugitive Kind, 1959) il letto diventa il simbolo del vigore vitale della donna magnaniana nella sua maturità, molto legata alla pienezza sessuale. Così, il motivo visuale del giaciglio accoglie scene legate al desiderio e alla fertilità della moglie innamorata e dell’amante vorace, o alla depressione e pulsione di morte della donna in astinenza [fig. 3].

Infine, gli anni Sessanta e Settanta segnano un periodo crepuscolare caratterizzato dai nuovi spazi del miracolo economico, ostili al personaggio magnaniano, e dalla migrazione della diva del cinema alla TV. In questi film, il letto è sinonimo di perdita e di malinconia, ma anche di speranze di futuro. Accanto al dolore di Mamma Roma (1963) sul letto vuoto del figlio morto e alla nostalgia di Iolanda (1945: un incontro, 1971), la donna nubile che rimpiange la vita a due nel suo letto di ragazza cinquantenne, emerge anche la gioia di Anna (L’automobile, 1971), la prostituta ormai in pensione che nell’intimità del suo letto sogna di comprarsi una macchina per viaggiare e scoprire nuovi orizzonti [fig. 4].

Il ricorrere del motivo del letto nel cinema di Magnani, sempre legato al desiderio di crescita ed espansione del personaggio per via della sofferenza o del piacere, è decisamente interessante per la sua dimensione simbolica pervasiva e variegata. Nello spazio del letto diventano rituali non soltanto i grandi misteri della vita, come la nascita e la morte, ma anche le esperienze più estreme, sconosciute e fantastiche legate alle pulsioni della psiche umana. Dall’orgasmo alla depressione, dal delirio della febbre alle fantasie del mondo onirico, il letto rappresenta una sorta di ‘scoglio figurativo’ che il cinema accoglie come un fecondo fuori campo legato alle profondità dell’inconscio.

La rappresentazione del letto come metonimia dello spazio domestico è ugualmente problematica. Centro di procreazione della famiglia proletaria, il talamo matrimoniale rimane il nucleo meno visibile del tempio casalingo, censurato per le sue connotazioni erotiche e sessuali e rimpiazzato nella sua iconicità da altri spazi meno allusivi come la cucina o il focolare. È probabilmente tale assenza del letto nell’immaginario cinematografico a definire la donna comune come padrona dello spazio domestico esclusivamente nel suo carattere di fattrice e nutrice, corpo inteso soltanto come donatore di vita e piacere. La donna sul letto di Magnani sottolinea invece la fecondità del talamo come frontiera figurativa, spazio privilegiato di eroine del quotidiano che esplorano gli orizzonti del soggetto moderno opponendosi agli stereotipi. Oltre che spazio del corpo che produce vita e piacere, il letto diventa il palcoscenico del soggetto che desidera essere padrone di sé stesso.

Ancora, attraverso lo studio dei motivi visuali, troviamo figure che sfuggono ai limiti imposti dal simbolismo dello spazio domestico, ma che cercano di restaurare il valore accogliente dello spazio privato. Lì dove la donna che corre rifiuta il focolare come limite cercando l’apertura della strada, la donna sul letto apre un nuovo orizzonte nella frontiera figurativa dell’intimità. Alla maniera di un work in progress, il cinema di Anna Magnani ci suggerisce il bisogno delle sue donne di risignificare la casa, svuotandola delle sue connotazioni oppressive per riempirla del loro desiderio. Significativamente, il lavoro domestico non è mai l’azione principale delle sequenze nelle quali appaiono. Quando il realismo della storia reclama l’apparire delle cure e delle faccende casalinghe, i gesti meccanici di pulire e rassettare, cucire o allattare, diventano sempre azioni secondarie. In Roma città aperta (1945) Pina mette in ordine la casa mentre narra la sua complessa storia personale di donna in guerra. In Bellissima, Maddalena Cecconi usa le sequenze che la vedono impegnata nelle cure materne e domestiche per raccontare allo specchio della toilette e agli oggetti in cucina le sue speranze frustrate di diventare attrice. Angelina Bianchi piange i suoi sogni perduti quando allatta e scrive un programma politico mentre lavora con la macchina da cucire. Così, la cucina e la toilette, la camera da letto e la stanza dove si cuce perdono la loro dimensione simbolica per diventare palcoscenico della costruzione dei personaggi che raccontano la loro storia. Quando Mamma Roma piange sola in cucina il destino tragico di suo figlio, lo fa in un monologo cupo che si dipana mentre lei trangugia una magra colazione a base di pane e latte, con la stessa disinvoltura meccanica con cui Jeanne Dielman sbucciava le patate nel film di Chantal Akerman (Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles, 1975). Entrambe le figure si oppongono al simbolismo della casa e ne contrastano la funzione di istituzione opprimente e deprimente, trasformandola nel palcoscenico del loro dolore.

L’uso dello spazio domestico come palcoscenico non si limita solo alle apparizioni di Magnani sullo schermo, ma rappresenta una parte fondamentale della costruzione della sua personalità divistica anche per quello che riguarda lo spazio privato. L’archivio fotografico della diva compone una costellazione parallela di immagini in cui troviamo interessanti usi della casa come una sorta di estensione dell’immagine della diva, anch’essa, a sua volta, controcorrente. Il suo domicilio romano, più volte aperto ai media, la mostra come un’intellettuale circondata da oggetti d’arte, libri e riconoscimenti del suo lavoro; o come una donna di affari, produttrice di sé stessa, raffigurata accanto al telefono della sua scrivania. La villa al mare del Circeo evoca invece la dimensione più mistica della creazione, mostrando l’attrice che, ritiratasi dalla vita mondana della città, ritrova sé stessa nella vicinanza con la natura e con il mare, ideando nuovi gesti e figure. Anche se Anna Magnani è stata una capofamiglia monoparentale, le immagini della maternità e gli affetti sono rappresentati sempre in giardino, sul terrazzo, accanto alla natura e al mare, e lontani da cucine, camerette dei figli o tavoli da pranzo, che rimangono spazi assenti nella costruzione della sua immagine casalinga.

Magnani amava giocare con le possibilità discorsive dello spazio privato. Non dimentichiamo che è l’attrice che il giorno della vittoria del suo Oscar ha ricevuto la stampa in vestaglia, nel suo letto, trasformando la sua stanza in una sala stampa con lo stesso divertimento con il quale Mamma Roma trasforma la sua piccola stanza da letto in una pista da ballo. Lo stravolgimento della funzione stereotipica dello spazio domestico ha un profondo senso politico, che suggerisce una feconda genealogia discorsiva nei confronti dell’arte creata da donne che hanno abbracciato la dimensione performativa più astratta o concettuale delle loro discipline. Rifiutando il vuoto del gesto tradizionale e la connotazione dello spazio domestico per riempirli di altri scopi, l’eroina magnaniana rinegozia il suo tempo, dialogando con la mistica della femminilità dal telaio di Penelope alla semiotica della cucina di Martha Rosler (Semiotics of the Kitchen, 1975). Contemporanee alle stanze-palcoscenico di Magnani sono le prime versioni delle Femme-Maison di Louise Bourgeois, i cui corpi affogano sotto il peso delle loro case. Lo stesso anno in cui Mamma Roma tenta di distruggersi buttandosi dalla finestra del suo appartamento romano, la poeta Sylvia Plath si suicida nella sua cucina di Londra, infilando la testa nel forno in un tragico parallelismo con le sculture di Bourgeois. Fuori scena, accanto al letto-sala stampa della diva premiata con l’Oscar, compaiono anche il letto-atelier di Frida Kahlo e il letto-autoritratto di Tracy Emin (My Bed, 1995), artiste che, dal canto loro, hanno trovato nel letto una frontiera di possibilità identitaria, uno spazio di creatività, l’orizzonte dove sognare l’infinità dell’arte all’interno della loro intimità. Con la sua personale appropriazione del motivo del letto, Magnani non soltanto dota il personaggio femminile di una stanza tutta per sé, ma restituisce alla casa la sua legittimità di spazio privato e personale, palcoscenico sul quale il personaggio recupera il diritto di farsi artefice di sé stesso. Nell’esplorare i limiti dello spazio domestico, Anna Magnani è diventata lei stessa una sorta di luogo di accoglienza. Un’artista che ha saputo dare forma a universi femminili sempre in espansione, nelle cui costellazioni visuali le creatrici e spettatrici del futuro si sentono un po’ come a casa.

 

 

 

Bibliografia

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