Il lettore di Fototesti. Letteratura e cultura visuale (Quodlibet, 2016) si confronta con questioni sulle quali i visual studies riflettono da anni, a partire perlomeno dal pioneristico Iconotextes di Alain Montandon (1990), cui il volume è non a caso dedicato: in che modo il Novecento ha rappresentato se stesso nella combinazione intermediale del fototesto? Più in generale, quale concezione ha la società occidentale della rappresentazione? Ma, soprattutto, che funzione reciproca assumono la componente fotografica e la componente verbale una volta che si siano fissate nella materialità del prodotto fototestuale? A tali domande, come affermano i curatori Michele Cometa e Roberta Coglitore, il volume tenta di rispondere nutrendo anche l’«ambizione di cogliere alcuni aspetti delle retoriche, verbali e visuali, che il fototesto inaugura» (p. 8).
Alla premessa seguono nove saggi, corredati da un ricco apparato iconografico, imprescindibile del resto in un’ampia ricognizione volta a indagare le tipologie di forme e retoriche in cui si possono incarnare i fototesti. I primi tre svolgono un ruolo di guida rispetto ai successivi. Nel primo capitolo Valeria Cammarata mostra l’esemplarità dei trompe l’œil di Georges Perec e Cuchi White sia in quanto portatori di attitudini sperimentali d’intermedialità che mettono in discussione canoni letterari e artistici pregressi, sia in quanto condensatori di tematiche che si riveleranno fondanti per una definizione del fototesto: ricostruzione memoriale, riflessione su soggetto e autobiografia, relazione immagine/verbo e rappresentazione/illusorietà. Se Roberta Coglitore si concentra sulla necessità di un «nuovo patto foto-autobiografico» affrontando la narrazione fototestuale del sé, Forme retoriche del fototesto di Michele Cometa viene a costituire il fulcro teorico del volume, nonché il punto di arrivo di numerosi studi condotti dall’autore sui dispositivi della visione, tra i quali quello sulla collaborazione col dedicatario Montandon, dal titolo Vedere. Lo sguardo di E. T. A. Hoffmann (2009). In particolare, lo studioso si focalizza sulle tre retoriche principali dei fototesti. Dato che la fruizione possiede una complessità maggiore della semplice lettura, anzitutto bisognerà individuare quelle che sono definibili come retoriche dello sguardo; in secondo luogo, per la centralità del supporto mediale, sarà opportuno distinguere alcune retoriche del layout, per poi, in ultima istanza, concentrarsi su quelle dei parerga, proprio in virtù della compresenza tra «integrazioni testuali dell’immagine e integrazioni visuali al testo» (p. 78). Col procedere dell’indagine, Cometa offre un quadro dettagliato delle forme in cui è possibile rinvenire i fototesti e analizza le modalità mediatiche nel loro relazionarsi.
In linea con i capitoli precedenti, il volume traccia poi attraverso sei case studies un percorso in cui le tappe storiche si intersecano con i fenomeni sociali e artistici che hanno segnato il secolo breve: dall’analisi del reportage Sia lode agli uomini di fama di James Agee e Walker Evans, trattato da Emanuele Crescimanno al fine di ricondurre il genere alle costanti fototestuali, alla rivendicazione dell’autonomia narrativa dell’immagine in Un settimo uomo di John Berger e Jean Mohr, indagata da Valentina Mignano, dal problematico rapporto tra verità storica e alterazione rappresentativa nella rivista sovietica SSSR na strojke analizzato da Gian Piero Piretto al ruolo rivestito nella narrazione della propria identità dalle immagini familiari nel Nuovo romanzo di figure di Lalla Romano, oggetto del capitolo di Novella Primo. Chiudono la rassegna dei «“classici” della fototestualità» (p. 8) la rivalutazione della prospettiva iconotestuale nelle opere di Vittorini, Pasolini e Sciascia operata da Maria Rizzarelli, che riaccende i riflettori sul sottovalutato aspetto figurativo di molta della produzione letteraria canonica, e il lavoro di Francesca Tucci sull’«arte di leggere le immagini» (p. 228) che l’Abicì della guerra di Bertolt Brecht intende insegnare.
È lecito chiedersi, in conclusione, se e in che modo il volume si dimostri all’altezza delle ambizioni enunciate dai curatori nella premessa. Il volume offre un campionario necessariamente parziale rispetto a una ricerca sistematica sul fenomeno complessivo dei fototesti ma riesce pienamente nell’obiettivo di mettere in luce alcuni decisivi aspetti delle retoriche verbo-visuali delle forme fototestuali e, pertanto, di conferire autonomia e riconoscibilità a un ambito culturale che altrimenti rischierebbe di rimanere confinato in una sfuggente dimensione ibrida.