Nella pittura con la scrittura. Pigmenti a calligrafie nell’opera di Giosetta Fioroni

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Un’attenta ricognizione del corpus delle opere di Giosetta Fioroni permette di individuare un approccio originale nei confronti degli strumenti espressivi. L’artista si avvale, infatti, di mezzieterogenei (la calligrafia, il collage, il fotomontaggio) e dell’utilizzo di codici afferenti al mondo della scrittura (la letteratura, il cinema, la fotografia) pur rimanendo pittrice. Si delinea, pertanto,una peculiare poetica che si esercita nel connubio tra pittura e scrittura, tra immagine e parola. All’intromissione di frammenti verbali, segnati da un evidente esercizio calligrafico, nelle tele si affianca presto l’assidua frequentazione della forma del libro d’artista, che dagli anni Settanta diventa per Fioroni lo strumento più affine al suo mondo polimorfico. Il saggio intende esplorare, quasi in senso evolutivo, questo specifico ambito di sperimentazione estetica che si manifesta nell’attitudine a combinare il fatto meramente letterario col fare pittorico nel medium per eccellenza della scrittura, il libro. Tale contributo propone un resoconto degli esempi più salienti di questo genere di opere su carta che nel caso di Fioroni si alimentano della corposa rete di rapporti che da sempre l’artista intrattiene con scrittori, pittori, artisti e critici, in un dialogo sull’arte e la vita che ha spesso i toni confidenziali di un rapporto epistolare.

A careful survey of the corpus of Giosetta Fioroni's works allows us to identify an original approach to expressive instruments. Actually, the artist takes advantages of heterogeneous means (calligraphy, collage, photomontage) and of the use of codes relating to the world of writing (literature, cinema, photography) while remaining a painter. Therefore, a peculiar poetics becomes definite and it is present in the union between painting and writing, between image and word. Next to the intrusion of verbal fragments, marked by an evident calligraphic exercise, in the canvases we find the assiduous presence of the form of the artist book, which since the seventies has become for Fioroni the most similar instrument to her polymorphic world. This essay intends to explore, almost in an evolutionary sense, this specific field of aesthetic experimentation that manifests itself in the aptitude to combine the merely literary fact with pictorial work in the writing medium par excellence, the book. This paper provides an account of the most salient examples of this kind of works on paper. In the case of Fioroni, these works develop thanks to the substantial network of relationships that the artist has always maintained with writers, painters, artists and critics, in a dialogue about art and life that has often the confidential tones of an epistolary relationship.

 

 

La mente fa la mano, la mano fa la mente.

Henri Focillon

 

1.Una biografia a più mani e a più forme.

 

I

e intanto che si muove sulla

spiaggia che si alza sulla spiaggia

seduta sulla spiaggia ritagliata e

che cammina col gomito sulla

pelle sollevata alzando e la spalla

intanto la testa girata dall’altra

parte sulla spiaggia bianca che si

ferma e muovendosi intorno sulla

pelle bianca e guardandola

mentre seduta il gomito sollevato

sulla spiaggia in questo modo si

creano delle ombre e sulla

III

e nasconde il mento sulla spalla

ritagliata restando ferma mentre

guarda ancora e intorno è

tutta bianca la spiaggia che si

muove intorno agli occhi alzati

che si muovono nascosti e guardando

allora in modo da formare

un netto stacco un leggero

liquido colorato sulla pelle per

farli apparire più profondi1

 

Nel 1965, durante una personale a La Tartaruga di Roma, Nanni Balestrini dedica a Giosetta Fioroni un breve componimento poetico. Nel primo e terzo verso della Quartina per Giosetta[1]il poeta tenta di restituire a parole l’immagine argentata di uno dei quadri esposti nelle sale, alludendo probabilmente a La ragazza della spiaggia e rievocandone altri della stessa serie. Sono questi i lavori che più identificano, per tecnica e originalità, il percorso artistico di Fioroni, che sperimenta con i suoi Argenti nuovi soggetti e nuovi strumenti espressivi oltre il dipingere.[2] Il tema scelto per queste celebri pitture ha una linea di ricerca personale distante dal popular americano e l’utilizzo del colore argento, non casuale, riporta alla mente le lastre di rame argentato usate agli albori della fotografia.[3]

Il tema di queste opere è anche implicitamente politico, dove per politico s’intende non solo il rapporto con un passato ancora discusso e rivisitato (come nelle opere Fascismo del 1967 e Narciso politico del 1968) ma un rapporto con il femminile ancora poco esplorato, che la società degli anni Sessanta è ormai pronta a riconoscere. Giosetta Fioroni lo fa attraverso l’universo della memoria,[4] ricordando nella sua pittura istanti di vita congiunti alla sua identità. Nella ragazza della spiaggia possiamo cogliere, così, i tratti di una visione trasversale, di una matrice originale, evocativa, del suo essere, insieme, donna e artista.

Il carattere di riservatezza, che ricaviamo dalle strofe della poesia e dall’immagine argentata, somiglia a quello della stessa Giosetta Fioroni e sembra suggerire l’idea, forse non cauta, di ritrovare una corrispondenza tra scrittura, pittura e pittrice, di poter dedurre dai racconti iconografici e lirici che le appartengono anche solo un riferimento biografico, a tratti richiamato e non definito. Nelle delicate movenze del verso liberamente sperimentale, la quartina descrive come in una fotografia, un momento, un movimento che ricorda la discrezione di Fioroni, come misura e non come assenza, simile a quelle ragazze che con distacco «guardano. Il sole che filtrava. Col gomito alzato. con gli occhiali che guardano muovendosi da destra verso la spiaggia»[5]. Questo modo delicato di essere Giosetta si mescola alla risolutezza di essere l’unica donna a far parte del gruppo dei pittori di Piazza del Popolo.

Goffredo Parise, compagno di vita, di luoghi e memorie, è certo che con l’argento l’artista sia in grado di evocare limpidi sentimenti che per delicatezza e pudore somigliano al temperamento di Fioroni, sono segmenti di tempo che restituiscono «per mezzo di un solo atteggiamento della mano, o la direzione di uno sguardo, tutte insieme le componenti di un carattere».[6] Si rintraccia, pertanto, una corrispondenza tra arte e vita, che fermenta una biografia a più mani e a più forme, narrata tra scrittura e pittura.

Quest’atteggiamento d’intromissione è una forma di scavo interiore ben leggibile nella performance La spia ottica che apre a Roma, nel 1968, la rassegna Teatro delle Mostre presso la galleria di Plinio De Martiis. La ricerca del suo essere donna e il bisogno di essere compresa, come tale e come artista, si fa reale. Giosetta Fioroni ricrea in una stanza chiusa la sua camera da letto, il suo personale cosmo, recitato da una donna che mentre compie gesti di abitudinaria quotidianità, è osservata e sa di esserlo, attraverso una lente da binocolo rovesciata su uno spioncino, una spia ottica. Senza parole ma con immagini vive, l’artista ci racconta ancora del suo mondo fingendolo col medium della performance. Maurizio Calvesi richiama un modo duchampiano di esprimersi e interpreta il buco da cui si osserva, come il desiderio dell’artista di spiare il grembo materno dalla vagina, leggendo l’evento come proiezione dell’intimità, un desiderio di rifugiarsi e curiosare fino all’utero materno, aspettando una fecondazione degli sguardi.[7] La realtà performativa che lo spioncino ottico avvicina al teatro, al cinema e alla fotografia, diventa una forma di racconto con il corpo, di scrittura con la luce, una visione, una proiezione che è per Fioroni ancora un pretesto per narrarsi.

Avvicinarsi alle opere di Giosetta Fioroni significa, quindi, scorgere un certo biografismo, una serie di corrispondenze che addensano il suo lavoro di piacevoli andirivieni. Una pagina scritta, una tela, una carta disegnata o la forma modulata della terracotta, sono tutti frammenti di materia biografica.

Su questo continuo oscillare tra pubblico e intimo l’artista fonda la sua poetica decidendo di affidare la sua immagine e le immagini che crea alla parola di narratori e poeti che costruiscono ogni volta un ricco e passionale pamphlet, nel tentativo, dichiara la stessa Fioroni, di offrire un’interpretazione autentica della sua opera e del proprio passato.[8]In questo rapporto che intrattiene con i suoi amici poeti e scrittori – narratori incontrati nella sua vita, ai tavolini di un bar o dentro un libro – l’immagine che sembra emergere è quella di un convivio affollato, immerso nel fluire delle parole, all’interno di dialoghi-interviste che riportano alla mente l’Autoritratto di Carla Lonzi,[9] dove la costruzione narrativa tra l’artista e chi scrive è giudicata come frammento di verità teatrale che colta solo in apparenza nella sua spontaneità, continua a essere un elegante artificio.[10]

Pertanto la bibliografia critica su Giosetta Fioroni abbonda di grandi nomi ed è costituita da un sistema fitto di materiali e documenti che non lascia spazio a interpretazioni alternative, celandosi e rivelandosi tra artificio e realtà come per l’universo della letteratura. Nel 1957, sin dagli esordi, è dentro una lettera che Emilio Vedova definisce il suo lavoro un’«antipittura»[11]dal segno indefinito. Questo intimo biografare è nelle parole di Cesare Garboli che immagina Fioroni poetessa dell’oggetto, del meraviglioso nel casalingo,[12] e si ritrova nei versi di Alberto Arbasino che non resiste a Una poesia per Giosetta, memore di una stagione felice e della Carmen a Bologna nel 1967.[13] Anche nelle parole di Goffredo Parise si rintraccia, ancora, un commento intimo e biografico, quando scrive che Giosetta Fioroni è sempre Alla ricerca dell’infanzia perduta. La pittrice rosa.[14], un rosa che per lo scrittore non indica grazia femminile ma una tinta cromatica che senza urla né clamore sa essere intensa.[15]

 

2. Da Parigi a Balestrini

Lo stile calligrafico nelle pitture di Giosetta Fioroni e tutto ciò che ne consegue in termini di scrittura, è indissolubilmente legato all’esperienza parigina della fine degli anni Cinquanta. L’artista comincia in quegli anni a liberare la sua pittura dall’Informale materico e sceglie la capitale francese come città di una nuova genesi artistica preferendola a New York, metropoli dell’arte contemporanea. Negli anni Sessanta Parigi è ancora la città di Tristan Tzara e degli altri dadaisti, del Surrealismo e del Nouveau Realisme, e nella capitale francese Giosetta Fioroni viene a contatto con la pittura di Joan Mitchell e le performances di Yves Klein, accumulando esperienze non solo visive, ma intellettuali, culturali e psicologiche[16]. Sempre attratta dalla parola, infatti, frequenta filosofi, scrittori e poeti, molto meno critici d’arte. Pierre Restany, Giancarlo Marmori, Germano Lombardi, Nanni Balestrini, Sandro Viola, Bernardo Valli, sono gli amici che incontra nei Cafè e che ritrova poi in Italia insieme alla letteratura di Moravia, di Gadda e le sperimentazioni del Gruppo 63.[17].

Le carte dipinte nel periodo parigino richiamano le scritture calligrafiche, classiche e primitive dell’amato amico Cy Twombly[18] e corrono verso una figuralità della scrittura, un iconismo poetico, che Fioroni non abbandonerà più. Anche il segno pittorico, a questa altezza cronologica, è teso al calligrafismo e, di segno ancora materico, ricorda il graffitismo di Jean Michel Basquiat e gli sfoghi cromatici di Robert Motherwell. Nelle opere che vanno dal 1958 al 1963, si accumulano, infatti, in maniera indifferenziata simboli e immagini, labbra, parole e numeri come alfabeto, tutti elementi per una personificazione narrativa della materia che proiettano l’artista verso il periodo più fortunato e noto della sua attività artistica, quello dei Quadri d’argento.

All’interno degli Argenti, che nel 1964 sono esposti a Venezia durante la Biennale della Pop Art, ve ne sono alcuni che, differenti nelle dimensioni e nell’impaginazione, suggeriscono per il modo in cui sono disposti nello spazio, una sequenzialità affatto casuale[19]. Si tratta di una pratica quasi fumettistica, forse più cinematografica, che ha lo scopo di rintracciare una forma di narratività più intensa e scorrevole. Vittorio Rubiu, trova in questo modus operandi un «girare au ralenti le sue sequenze di istantanee, sino a estraniarle in una sorta di distaccata presenza dall’evento in cui si rispecchiano».[20]

Questo effetto al rallentatore si ritrova anche nei disegni che Fioroni affianca al testo di Nanni Balestrini, nell’opera a due mani Tutt’a un tratto una ragazza[21]e dichiara la libertà della scrittura di intromettersi nella pittura e di configurarsi come iconotesto.[22]La Ragazza Tv, un’opera già conosciuta, è qui accompagnata ad altri particolari di donne e si affianca specularmente alla scrittura di Balestrini nel bisogno sperimentale di mescolare icona e testo. Proprio da questo genere di soluzioni estetiche nasce in Giosetta Fioroni la consapevolezza che il fatto meramente letterario e il fare pittorico possono produrre sviluppi poetologici inattesi.

  Giosetta Fioroni e Nanni Balestrini, Tutt'a un tratto una ragazza, La botte e il vino, 1965

 

3. Scritture di fiaba e realtà.

Dal 1969 in Giosetta Fioroni gli effetti rassicuranti della pittura e del quadro sono posti in crisi e la necessità espressiva prende vie che conducono a un gesto pittorico sempre più rarefatto e vicino alla scrittura. Sul piano della ricerca linguistica Fioroni si spinge verso un’approfondita elaborazione del sé. «Mentre intorno a me i pittori compagni di strada si sentono investiti di un certo impegno politico, dedicano quadri alle bandiere rosse, al grande movimento politico di quegli anni dal 1968 al 1977, io faccio un percorso inverso, all’interno di me stessa».[23]

Questa metamorfosi si orienta al segno grafico e scrittorio e riemerge come sintomo dell’esperienza parigina intensificandosi, alla fine degli anni Sessanta, sotto l’impulso di un nuovo contesto che non è più quello romano della Dolce Vita. Nel 1970 Giosetta Fioroni, infatti, si trasferisce assieme al suo compagno Goffredo Parise, nella campagna veneta a Salgarèda, vicino al Piave e in questo isolamento bucolico trova un’altra illuminazione, quella della scrittura.[24]

Per raccontarsi e raccontare la realtà che vive, ricorre al mondo simbolico della fiaba, un genere che utilizza soprattutto come recupero della sua infanzia e volontà di ricerca di un sé più nitido e un po’magico. All’origine di questa novità linguistica c’è anche la lettura. Nasce, «perentorio il mio rapporto con la parola, testi vari, saggi, narrazioni, poesia. Un rapporto che durerà tutta la vita»[25]. Le nuove letture che accompagnano e stimolano questo percorso di ricerca sono, pertanto, legate a temi onirici e di fantasia e sempre vicini al sentimento malinconico del ricordare. Oltre a recuperare le fiabe dei fratelli Grimm, Fioroni legge ed esamina Le radici storiche dei racconti di fate e Morfologia della Fiaba di Wladimir Propp, Senex et puer di James Hillman, La psychanalyse du feu di Gaston Bachelard, Fiaba e storia di Giorgio Agamben, Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione di James Frazer, La Poetica del Mito di Eleazar Meletinsky. In una delle tante interviste Fioroni confessa di essere un’artista concettuale e di aver sempre trovato nella parola scritta un «agent provocateur».[26] Le parole provocano immagini, «ideogrammi paralleli e non illustrativi ai testi che non dipendono da questi… anche se sviluppano alcune delle loro tante virtualità».[27]

  Giosetta Fioroni, Spiriti Silvani, appunti calligrafici, 1970

Gli Spiriti di campagna o Silvani (1970) hanno questa fresca scaturigine. Sono piccole storie, disegni, calligrafie, ideogrammi, acquerelli e teche che custodiscono frammenti provenienti dal microcosmo naturale, ispirate ai racconti di contadini che alludono all’esistenza di esseri della natura conosciuti solo nelle fiabe, come gnomi e fate. Raccontano un dato fenomenico liberato verso una tensione letteraria e metaforica, suggestiva e ironica, a tratti psicoanalitica. Pur scorrendo alle volte verso un tono cronachistico, gli Spiriti Silvani mantengono il carattere evanescente del racconto e fermentano in Giosetta Fioroni il desiderio di un dialogo con un paesaggio tangibile e illusorio, mentale e reale.

 

Sono andata a vivere in una zona lontana da tutto, molto povera, i contadini portavano zoccoli di legno, mangiavano il pollo una volta al mese. Questo cambiamento mi diede una grande spinta, cambiò molti dei punti di vista del mio lavoro; ci fu un’immissione di elementi del tutto nuovi, alcuni di tipo mentale, letture di libri, uno studio, devo dire appassionato di certi periodi di Klee, e altri, invece, approcci di vita quotidiana, la scoperta degli animali, del silenzio degli animali, la vita legata agli accadimenti del naturale.[28]
 

Questa serie lunghissima di disegni a china sono esperimenti calligrafici liberamente ispirati alle scritture automatiche di Masson e Hugo di ambito surrealista e che avvicinano Fioroni a quella cerchia di pittori-poeti, come Klee e Licini, ai quali lei stessa confessa di ispirarsi. Sono opere costruite da segni veloci e da sottili linee spigolose che s’intervallano a macchie leggere di colore o a piccole immagini ripetute come geroglifici moderni. Hanno la forma di uccelli, cuori, stelle, lune, case, simboli archetipali e nascono dall’acquerello, dalla tempera e dall’olio. La scrittura all’interno di queste opere è esercizio calligrafico che completa didascalicamente l’immagine proposta.[29] Anche il titolo delle opere, infatti, rimarca l’importanza evocativa della parola scritta e non è solo suggestione letteraria ma modifica il tempo di osservazione e di percezione dell’opera, costringendo a sostare per interpretare.

La serie degli Spiriti Silvani possiede un doppio registro costituito dalle Teche (1972), scatole contenenti frammenti di memoria in collage, disegni e minuscoli oggetti di ovatta o carta crespa assieme a foglie che alludono ad alberi della vita, scritture come formule magiche sedimentate sulla carta come segni d’introspezione. La tassonomia silvana degli Spiriti chiama in causa gli erbari medievali e i reperti surrealisti. L’idea di scrutare così da vicino la natura è un modo di guardare visionario tipico anche della cultura simbolista[30] e ricorda i microcosmi onirici di Alfred Kubin e Odilon Redon.

  Giosetta Fioroni, Spiriti di Campagna, carta con Upupa Baba e Salbanello e Teca, 1970

Le Prove e le Imprese nelle Fiabe di Magia, afferenti agli Spiriti Silvani, sono ancora opere dove la scrittura è diventata preponderante e protagonista tanto da trasformare queste carte in ‘pagine-immagine’. All’interno di questi lavori, infatti, è avvenuta una sostanziale metamorfosi che ha lasciato al disegno solo piccole superfici di spazio bianco tra le parole. Le ‘pagine-immagine’ sono riflessioni e rielaborazioni, appunti teorici sui testi di Propp e su altri autori, «uno studio e l’elaborazione di una sintesi, prima intellettuale e poi visiva».[31]

Questa esperienza di ricezione del fantastico nel reale, la scelta di oggetti e scritture in grado di evocare il prodigioso nel quotidiano, risuonano come i contenuti di questo fitto corpus di opere che includono anche gli acquerelli Fiabe di Magia, ispirati ai lavori tunisini di Klee. Tutti insieme questi manufatti cartacei non possono essere disgiunti dalla consapevolezza critica dell’artista che, non ferma al solo dato fiabesco, lascia intuire un livello interpretativo più articolato che indaga il mondo della percezione psicoanalitica del reale verso un modo di indagare l’uomo e il significato della fiaba.

Gli Spiriti Silvani sono, dunque, resti di un naturale ritrovato e ricordato, che vivono dentro una bacheca o semplicemente sotto passe-partout con il pretesto, ingenuo ed estetico, di ricerca e di scoperta. Cesare Garboli, disorientato inizialmente da queste opere su carta confessa di aver sentito a un tratto un modo per decifrare un significato affatto fiabesco e infantile:

 
Mi sfuggivano i nessi fra la cornice silvestre, la dimensione magica, la puerilità dei reperti. Mi sfuggiva tutto. A un tratto, scrutando una per una le didascalie, le ‹‹leggende›› che servono da inventario degli oggetti relitti e ritrovati nei collages, fui sorpreso da una fulminea allegria. […] era evidente che a Giosetta non importava un fico né di elfi né di fate. Questo mi rallegrò. Gli oggetti erano un trucco, e anche questo si sapeva. Ma anche la loro magia, la loro appartenenza a un mistero fiabesco e puerile era un tranello. Queste barbe, queste erbe, queste bave superstiti a raduni e convegni di spiriti erano oggetti magici e soprannaturali per la ragione esattamente opposta. Era la loro estrema, assoluta appartenenza a un ordine di cose naturali a farci apparire queste sopravvivenze, questi resti come resti di un prodigio, oggetti risalenti a un passato remoto e irrevocabile, e dunque da raccogliere, da schedare, da inventariare, da custodire fino alla morte dei secoli. Visti come piccoli cimiteri del meraviglioso, i nuovi collages di Giosetta si lasciavano adesso decifrare anche nella loro puerilità. Sappiamo piangere tutti quanti le cose che sappiamo riconoscere come importanti. Più difficile è accorgerci della perdita irreparabile, della frana impercettibile delle cose di cui abitualmente viviamo. Più la futilità di questi oggetti era dichiarata, più grande appariva l’importanza di ciò che era andato perduto con loro.[32]
 
 

4. Inchiostri e pigmenti In forma di libro.

Elisabetta Rasy commentando le opere scritte a mano di Giosetta Fioroni rivela che al gesto dello scrivere l’artista ha assegnato un posto del tutto privilegiato

 
È come se scrivere a mano per lei fosse l’appassionata esplorazione dell’altra faccia delle parole: allontanarne l’anima sonora, perché l’arbitrio sovrano del segno, che iscrive nella preistoria dei significati i ritmi e le aritmie del cuore, possa celebrare la sua sacra apparizione. La mano che scrive è un agente del mondo infero e celestiale del cuore. […] Paesaggista delle parole, Giosetta le disegna tra le figure, come fossero alberi uccelli in volo, perché ci insegnino il clima, la collocazione geografica, le caratteristiche geologiche, la temperatura emotiva del mondo naturale interiore.[33]

 

L’incontro con la scrittura-oggetto che ricorda quella di André Breton diventa per l’artista una mise en abyme di parole e immagini verso il disvelamento di un sé. Con carattere aneddotico Fioroni cerca, ricorda e tramanda attraverso il supporto cartaceo confessando lei stessa il motivo

 

Ho realizzato questi libri con poeti e scrittori e ho chiarito a me stessa sempre più un’attrazione a tradurre in immagini testi letterari, non come iter parallelo… ma in senso più misterioso una sollecitazione del profondo, la messa in moto di un meccanismo interiore, la scintilla dell’immaginazione.[34]

 

Analizzare alcuni libri d’artista può darci un’idea dell’esperienza di scrittura dell’artista e mostrare le forme e le sfumature di questa fitta trama di pagine da vedere, di disegni da leggere, che ancora oggi continua a farsi sempre più densa.

Nel 1971 Giulia Niccolai, poetessa legata al Gruppo 63, esplora con i versi di Greenwich le assonanze e le dissonanze di luoghi e città desunte dall’atlante fisico e politico. Questa poetica del nonsense si accompagna a disegni che Giosetta Fioroni fa abitare nello spazio geografico di sei fogli. Nel 1976 Giosetta Fioroni collabora con Magdalo Mussio, esponente della poesia visiva con cui lavora alla grafica del libro d’artista Giosetta Fioroni. Nello stesso anno in Poetry Box l’artista crea litografie, serigrafie e calcografie abbinate alle poesie di Giorgio Caproni, Cesare Garboli, Olindo Guerrini, Eugenio Montale, Sandro Penna, Alonso Quesada (la raccolta diventa libro d’artista nel 1990). Nel 1980 crea Ciel Cielo Sky. dove al suo interno la frase «Bataille, Ciel, le bleu du ciel George Bataille Paris 192…/ le café de Flore»[35] è accompagnata da cuori, profili umani e forme che ricordano la sua Parigi. Con Acephale: la congiura sacra Fioroni omaggia ancora George Bataille assieme a Pierre Klossowski e André Masson. Questo libro d’artista che porta lo stesso titolo, Acéphale, della rivista che il filosofo francese Bataille fonda e pubblica negli anni Trenta, al suo interno riprende e rielabora la stessa illustrazione di André Masson utilizzata per il primo numero; un uomo vitruviano privo di testa con un teschio sul pube, simbolo del fallimento della razionalità umana. Tramite questi autori, promotori della rinascenza di Nietzsche negli anni Sessanta, si deduce la vicinanza dell’artista alla filosofia, all’antropologia e ad argomenti di carattere esistenzialista che dimostrano la corposità delle ricerche di Giosetta Fioroni e la necessità di indagare vari ambiti del sapere e di ricercare in autori della cultura europea, come Paul Celan e a Kostantinos Kavafis, il desiderio di confrontarsi con i limiti dell’essere umano.

  Giosetta Fioroni, Acephale la congiura sacra, libro d’artista,1983

All’interno dell’oggetto-libro, dunque, Giosetta Fioroni pratica anche un continuo esercizio citazionistico, di riferimenti poetici, rifacimenti letterari e filosofici che, con la dovuta cautela filologica, sembrano potersi conciliare alla pratica del centone. Frammenti calligrafati, infatti, sotto forma di iconismi, si ‘centonano’, si ricompongono in un collage di scritture di autori e opere diverse, unite e infarcite a formare un’opera altra. Per l’artista le precedenti scritture, le precedenti immagini, rappresentano un ostacolo da superare e allo stesso tempo uno sprone per creare. Sostenendo una dialettica tra originalità e convenzione, tra letterarietà e immediatezza, instaura, così, relazioni intertestuali rielaborando le parole e le scritture di altri artisti.

Per Goffredo Parise, Giosetta Fioroni prepara la copertina dei suoi Sillabari (1972);un cuore di smalto rosso su carta, con foglie, piume e sassi, decorato da una didascalia. Entrambi si incontrano ancora nel racconto Ozio (1989), tratto sempre dai Sillabari, dove risaldano la pacifica convivenza tra disegno e parola. Nei libri dell’artista la calligrafia e il disegno diventano una ‘riscrittura’, la prova di un’avvenuta simbiosi. Per Giosetta Fioroni è sufficiente una semplice giustapposizione di parole e immagini per generare una grande forza evocatrice e sentimentale, come quando dello stesso Parise, inscena e condensa in pochi fogli il nucleo del romanzo Il ragazzo morto e le Comete.

  Giosetta Fioroni, Il ragazzo morto e le Comete, in My Story La mia Storia 2013

Guido Ceronetti e Andrea Zanzotto, Cesare Garboli e Raffaele La Capria sono alcuni degli autori con i quali l’artista mantiene profonde affinità elettive che traduce in libri, tele e carte. Il teatro, luogo della parola inscenata e dell’immagine viva, è presente nella memoria di Giosetta Fioroni sin dal ricordo della madre marionettista. Questo interesse si alimenta negli anni Settanta degli spettacoli teatrali che vede a casa Ceronetti e con l’autore del Teatro dei Sensibili si ritrova nel 1988 nel colophon di Mystic Luna Park: spettacolo per marionette ideofore di Guido Ceronetti e ricordi figurativi di Giosetta Fioroni. Nel 1998 collabora ancora con il poeta in Frate Martino suona il liuto alla locanda dello struzzo, un libro di fogli stampati a mano, decorati con tempera, china e collage dove, immagini che mimano Picasso, Braque e il cubismo sintetico, accompagnano la poesia del poeta e il profilo di una ragazza che ricorda gli anni Settanta.[36]

  Giosetta Fioroni, Frate Martino suona il liuto alla locanda dello struzzo, libro d’artista, 1998

L’esortazione di Andrea Zanzotto a non rinunciare mai alla beltà, ad affinare i mezzi per trovarla più in profondità, suggerendo di «cercare meglio il piano di clivaggio / per lavorare in diamante»,[37]diventa per Fioroni uno stimolo visivo e visionario. La grande attenzione che il poeta pone alla lingua e all’idea di bellezza salda in maniera definitiva il legame tra l’artista e il poeta[38], una sintonia appagante che diventa nel 1988 Attraverso l’evento, un’antologia di poesie già edite che l’artista accompagna con la fotoriproduzione di alcuni suoi disegni. Nel 1992 si aggiunge al duo anche Goffredo Parise a dare forma tra parole e immagini a Tapestry: psiche e metapsiche e guerre stellari, un’opera dedicata al compagno scrittore ironico e impertinente ma anche al poeta e i suoi versi che Fioroni definisce lungimirante e incantato.

«Un tema comune mi lega allo scrittore, al poeta. Con Zanzotto, è la campagna veneta, luoghi dove entrambi abbiamo vissuto. Io, con Goffredo, a Ponte di Piave, proprio sulle rive del fiume, lui un po’ più in là…».[39]La sintonia con Zanzotto si coagula anche nel sentimento dei luoghi a entrambi cari che ispirano e nutrono ancora l’intreccio in parallelo tra poesia e immagini. «Abbiamo fatto insieme un libro che si chiama Meteo, che sono appunto delle sue poesie su cambiamenti meteorologici, l’odore della pioggia, l’arrivo del vento».[40] In Meteo (1996) le parole nello spazio del foglio, nel tempo della lettura, sono paesaggi e stagioni esse stesse, i disegni che le accompagnano, minuscoli quasi si ‘ideogrammano’ e in assonanza con la poesia lasciano intuire un innesto di sapore meteopatico.

Il rapporto con la scrittura, con gli scrittori, con i libri, rimane ancora oggi una costante nel lavoro di Giosetta Fioroni e conferma quel dialogo sinestetico fra una pittura che cerca le parole e una poesia che arriva all’immagine. Tra i suoi recenti lavori c’è una raccolta di lettere speciali, pubblicata nel 2000, intitolata Giosetta Fioroni, Lettere a Amici, Artisti e Poeti…. In questo rapporto epistolare intrattenuto con il suo cane Pepote, Andrea Zanzotto, Nadia Fusini, Raffaele La Capria, Elisabetta Rasy, Cy Twombly, Erri De Luca e altri, la passione calligrafica dell’autrice si accompagnata al collage e a una scrittura verbo-visiva che ricorda fatti ed eventi legati ai suoi destinatari senza rinunciare mai a un tono confidenziale.

  Giosetta Fioroni, Lettere a Amici, Artisti e Poeti…, libro d’artista, 2000

Nel 2013 Giosetta Fioroni ha la fortuna di curare personalmente un progetto editoriale dove intende raccogliere e incastonare dentro le pagine di un ‘diario d’artista’, il sunto emotivo delle sue esperienze di vita, come artista e come donna. My Story, La mia storia diventa un atlante caleidoscopico che l’artista scrive perché intende ‘riportarsi’ alla mente, è un libro d’artista di carattere biografico e autobiografico che scaturisce da una triangolazione, autore-personaggio-autoritratto, che aderisce bene alla figura di Giosetta Fioroni. L’intervento di autori che conoscono e continuano a studiare il suo lavoro (Dalila Colucci, Romy Golan, Alfonso Berandinelli, Claire Gilman) prova il peso che le opere e la poetica di una popist italiana, proietta ancora oggi nel mondo dell’arte contemporanea, non solo nel contesto italiano.

Un’irrimediabile desiderio di immagini proviene anche dall’immateriale mondo onirico. In Sogni ed incubi in frammenti (2015) Fioroni racconta di essersi addormentata con un libro in mano e di essersi ritrovata in un sogno sapendo di sognare. Questo piccolo libro d’artista nasce da un coinvolgimento per il mondo notturno e possiede le sembianze di un taccuino da comodino sul quale durante la notte vanno annotate le parole per ricordare le figure che nascono a occhi chiusi. Questa volta sono le immagini del sogno agents provocateurs[41] delle parole che solo dopo la scrittura, ancora calligrafica, prendono vita e corpo. Il piccolo libro è ancora un dialogo con se stessa questa volta senza intermediari; lei, i sogni, gli incubi e l’esercizio della memoria indistintamente compiuto con la scrittura o con le immagini.

La fisionomia dell’arte di Giosetta Fioroni è costruita anche da questo intreccio di apparizioni inconsce che tuttavia non rappresentano un mero autobiografismo ma un continuo rigenerarsi linguistico e iconico. Entrare nei recessi dell’intimo e del privato attraverso la memoria, alimenta l’immaginazione e trasforma il racconto personale in una storia collettiva. Di contro nella narrazione di sé rientra anche una continua ‘riappropriazione’ di figure che, femminili integre e sensuali, sono per Fioroni un continuo rievocarsi. Le donne dei suoi Argenti, sconosciute o celebri nella storia dell’arte, si accompagnano alle eroine della letteratura realizzate alla Bottega Gatti di Faenza che archetipiche rievocano Ottilia delle Affinità elettive di Goethe, Agathe dell’Uomo senza qualità di Musil, Daisy Miller di James, Effi Briest di Fontane, Elettra di Sofocle, Isadora Duncan. Torsi acefali in terracotta che ricordano la Nike di Samotracia, armature come di cavalieri inesistenti alla ricerca di una fusione tra corpo e spirito, tra conscio e inconscio. In mezzo a queste proiezioni il suo ritratto appare nel lavoro fotografico di Senex (2002) e poi sempre con Marco Delogu nell’Altra ego (2012) in un continuo lavoro di pittrice e indagine sull’io.

  Giosetta Fioroni, C’era una volta una bambina, appunti calligrafici in My Story, La mia Storia, 2013

Sintonizzata su queste frequenze, dove il cinema, il teatro e la fotografia la fanno da padrona, Giosetta Fioroni rimane pittrice e della narrazione condivide la dimensione del tràdito e del tradìto mentre crea, intreccia, traslittera e interpola, diventando, forse a sua insaputa, testimone della coscienza critica delle scritture pittoriche e di quelle letterarie.[42]Mentre compie questi gesti pittorici che esprimono il reale e inventano realtà, dietro un’aria «da ragazzina un po’ tonta»[43] s’incantata, s’incarta, e nel farlo ‘cade’ dentro la letteratura.

 

C’è un personaggio nel racconto L’Aleph di Borges, il quale, steso per terra nella sudicia cantina di un appartamento di Buenos Aires, pone l’occhio a una specie di miracoloso telescopio che gli permette di vedere tutta la bellezza dello scibile umano […] a me interessa la felicità, il godimento del protagonista quando riesce, attraversando l’idea stessa di mistero, ad appropriarsi della visione che gli viene incontro. Ecco, io ho con la pittura un rapporto simile a quello del personaggio borgesiano col telescopio. L’idea metaforica, la suggestione che è possibile inventare quando uno spazio insignificante come qualsiasi supporto da dipingere viene dall’autore modificato a tal punto e dotato di valenze così ampie e complesse… che un universo conoscitivo si apre sorprendente e nuovo davanti agli occhi di chi guarda.[44]
 

 

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1 N. Balestrini, ‘Quartina per Giosetta’ [1965], in G. Bianchino, Giosetta Fioroni, Milano, Skira, 2004, p. 202.

2 Cfr. C. Casero, ‘Giosetta Fioroni, oltre il dipingere’, Arabeschi, 8, luglio-dicembre 2016, pp. 25-39.

3 Cfr. A. Boatto, ‘Dialogo con Alberto Boatto’, in A. Boatto, A. Carancini, A. Sauzeau (a cura di), Giosetta Fioroni, Ravenna, Essegi, 1990, p. 11.

4 M. Meneguzzo, ‘Affondo nella superficie. 1956-197: i primi quindi anni di Giosetta’, in M. Menguzzo, P. Mascitti, E. Bottazzi (a cura di), Giosetta Fioroni. Roma ’60, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2016, p. 25.

5 N. Balestrini, ‘Quartina per Giosetta’, p. 202.

6 Cfr. G. Parise, ‘Roma pop art’, Corriere dell’informazione, 5-6 febbraio, 1965, ora in G. Celant, Giosetta Fioroni, Milano, Skira, 2009, p. 126.

7 M. Calvesi, ‘Giosetta e Cupido’, in G. Fioroni, M. Mussio (a cura di), Giosetta Fioroni, Macerata, La Nuova Foglio, 1976, p. 16.

8 Ivi, p. 13.

9 Cfr. C. Lonzi, Autoritratto: Accardi, Alviani, Castellani, Consagra, Fabro, Fontana, Kounellis, Nigro, Paolini, Pascali, Rotella, Scarpitta, Turcato, Twombly, Bari, De Donato, 1969.

10 Cfr. L. Iamurri, ‘“Un mestiere fasullo”: note su Autoritratto di Carla Lonzi’, in M. A. Trasforini, Donne d’arte, storie e generazioni, Roma, Meltemi, 2006, pp. 113-116.

11 E. Vedova, ‘presentazione a Giosetta Fioroni’ [1957], in G. Bianchino, Giosetta Fioroni, p. 201.

12 C. Garboli, s.t., ivi, pp. 208-209.

13A. Arbasino, ‘Una poesia per Giosetta’ [1974], in G. Bianchino, Giosetta Fioroni, p. 210.

14 È il titolo già rappresentativo che Goffredo Parise usa in uno scritto pubblicato in G. Parise, ‘Alla ricerca dell’infanzia perduta. La pittrice rosa’ [1975], in D. Lancioni, F. Pirani, La Beltà, Giosetta Fioroni; opere dal 1963 al 2003, Roma, Viviani, 2003 p. 85.

15 C. Casero, ‘Giosetta Fioroni, oltre il dipingere’, p. 28.

16 Cfr. M. Meneguzzo, Giosetta Fioroni. Roma anni ’60, p. 22.

17 Cfr. G. Celant, Giosetta Fioroni, p. 30.

18. Cfr. R. Ferrario, Le signore dell’arte, Quattro artiste italiane che hanno cambiato il mostro modo di raffigurare il mondo, Milano, Mondadori, 2012, pp. 88-89.

19 Cfr. R. Perna, ‘Tra presente e passato’, Arabeschi, 8, luglio-dicembre 2016, pp. 12-23.

20 V. Rubiu, ‘Giosetta Fioroni’, Il Punto, 6 febbraio1965, p. 19.

21 N. Balestrini, ‘Tutt’a un tratto una ragazza’, La botte e il vino, 2 marzo 1965, pp. 57-59.

22 Cfr. R. Perna, ‘Tra presente e passato’, pp. 12-23.

23G. Fioroni, ‘Giosetta Fioroni: Casa “la vita”’, in G. Bianchino, Giosetta Fioroni, p. 44.

24 Cfr. G. Celant, Giosetta Fioroni, p. 56.

25 Ibidem.

26 G. Fioroni, ‘Tre giorni con Giosetta Fioroni: le parole’, in G. Bianchino, Giosetta Fioroni, p. 67.

27G. Fioroni, ‘Conversazione tra Giosetta Fioroni e Claudio Spadoni’, in C. Spadoni (a cura di), Giosetta Fioroni, pp. 32-33.

28G. Fioroni, ‘Giosetta Fioroni: Casa “la vita”’, in G. Bianchino, Giosetta Fioroni, p. 67.

29Cfr. F. Pirani, ‘“Al centro del mio cuore” tempo e spazio nel percorso artistico di Giosetta Fioroni’, in D. Lancioni, La Beltà. Giosetta Fioroni opere dal 1963 al 2003, p. 22.

30 Cfr. V. Strukelj, Giosetta Fioroni, Parma, CSAC Dipartimento Arte/2, 1984, pp. 27-32.

31 F. Pirani, in D. Lancioni, La Beltà. p. 24.

32 C. Garboli, ‘Gli Spiriti Silvani’, in D. Lancioni, La Beltà, p. 85.

33 E. Rasy, ‘prefazione’ a Giosetta Fioroni. Scritte a mano. Poesie del cuore del gioco e del dolore [1998], in G. Bianchino, Giosetta Fioroni, p. 230.

34G. Fioroni, ‘Dialogo con Alberto Boatto’, in A. Boatto. A. Carancini, A. Sauzeau (a cura di), Giosetta Fioroni, p. 27.

35 Ibidem.

36 Ibidem.

37 Termine utilizzato da A. Zanzotto, ‘Ampolla (cisti) e fuori’, in La Beltà, Milano, Mondadori, 1968.

38 Cfr. D. Lancioni, La Beltà. p. 13-18.

39 G. Fioroni, in F. Pasini, ‘Il Veneto come una fiaba’, Il Secolo XIX, marzo 1989, p.19

40 G. Fioroni, ‘Tre giorni con Giosetta Fioroni: le parole’, in G. Bianchino, Giosetta Fioroni, p. 68.

41 G. Fioroni, ‘Con gli scrittori’, in D. Lancioni, La Beltà…, pp. 155-157.

42 Cfr. G. Bianchino, ‘Tre giorni con Giosetta Fioroni: le parole’, in G. Bianchino, Giosetta Fioroni, p. 61.

43 Cfr. M. Meneguzzo, Giosetta Fioroni. Roma anni ’60, p. 23.

44 G. Fioroni, in C. Spadoni, Giosetta Fioroni, p. 38.

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