Il collettivo tedesco Rimini Protokoll[1] è costituito da tre autori-direttori che lavorano in squadra dal 2000 – pur potendo scegliere se lavorare da soli, in due o in tre – e firmano insieme le loro creazioni dal 2002: Helgard Kim Haug e Daniel Wetzel provengono dalla Germania, mentre Stefan Kaegi proviene dalla Svizzera, dove ha studiato alla F+F art school di Zurigo. Si sono incontrati frequentando il corso in «Applied theatre science and performance studies» presso l’Institut für Angewandte Theaterwissenschaften dell’Università di Gießen,[2] concentrandosi sullo sviluppo dei mezzi espressivi del teatro per stimolare nuovi sguardi sul reale. Sono considerati dunque i principali esponenti del movimento teatrale Theater der Zeit:[3] «un teatro della realtà e nella realtà. È una tipologia di teatro che, attraverso spettacoli, lavori per la radio, mostre e installazioni, mette in diretta connessione il teatro con la realtà portando sulla scena interpreti-non attori, estendendosi così ben oltre i confini della sala teatrale per coinvolgere in varie forme e luoghi reali del mondo».[4]
Le loro produzioni – che attingono alla vita reale,[5] utilizzando elementi e persone provenienti da situazioni concrete e luoghi identificabili – spaziano dal teatro documentario[6] al radiodramma, alla performance in ambiente urbano, con diverse varianti di collaborazioni e partnership. Esse indagano fenomeni del mondo contemporaneo ed ingaggiano soggetti che non fanno parte del professionismo teatrale. Il fulcro della loro ricerca consiste infatti nello scardinare e rivelare i meccanismi teatrali attraverso l’azione, il dialogo o la narrazione di experts riguardo a particolari funzioni; questi ultimi possiedono specifiche esperienze, conoscenze e competenze sul tema che è oggetto della performance (cioè non sono esperti dello stare in scena, non sono attori professionisti e non sono quindi giudicati rispetto al loro recitare, nel senso tradizionale del termine; la loro particolare presenza si lega piuttosto a quel determinato setting).
Partendo da tali presupposti, nel 2010 Rimini Protokoll trasforma in una pièce teatrale l’assemblea generale della Daimler-Benz:[7] Haug, Kaegi e Wetzel realizzano infatti 100% City,[8] portando sul palco cento cittadini veri come campione statistico per rappresentare, tra le altre, città come Berlino, Zurigo, Londra, Melbourne, Copenaghen o San Diego. Nominiamo poi solo alcune fra le più note produzioni del collettivo, a partire dal 2003 (anno in cui arriva il premio NRW-Impulse per Shooting Bourbaki[9]): Brunswick Airport (2004),[10] Calcutta in a box (2005),[11] Remote X[12] e Situation Rooms (2013),[13] quest’ultima presente, su invito, al prestigioso festival Berliner Theatertreffen. Nel 2011 l’intera opera di Rimini Protokoll vince il Leone d’Argento alla 41° Biennale di Teatro di Venezia, presso la quale gli artisti tedeschi presentano Bodenprope Kasakhstan;[14] nel 2015 ricevono lo Swiss Grand Prix of Theatre.
Attraverso performance immersive, partecipative ed interattive, il collettivo (ormai berlinese d’adozione) cerca di ri-definire lentamente i confini della pratica del teatro occidentale,[15] puntando ad una ricerca teatrale in cui l’attore (non professionista) racconti la propria esperienza relativamente ad un tema dato ed il pubblico partecipi in maniera sempre più attiva all’evento, secondo varie modalità previste dagli autori. Lo spazio dell’azione non è necessariamente un luogo fisso, ma itinerante, mentre le performance possono includere il camminare, danzare, persino guidare un camion e simulare un volo, alla scoperta di un teatro democratico in cui tutti (attori/spettatori) siano coinvolti nella stessa misura, stabilendo relazioni nuove e coinvolgendo ogni tipo di stimolazione sensoriale. Tali relazioni sono comunque temporanee e la cifra dell’instabilità percorre queste creazioni, tanto da essere definite «drammaturgies of care and insecurity».[16] L’obiettivo di tali pratiche non è tanto stabilire nuove strutture di riferimento, quanto provocare un sistema di strategie comunicative in un gruppo che può sciogliersi e riorganizzarsi in qualsiasi momento, secondo modalità simili a quelle del gioco.
Nel contesto dato, il concetto di autorialità è flessibile: gli autori ideano, selezionano e montano l’intero lavoro, ma l’obiettivo della performance è raggiunto in stretta collaborazione con gli experts o (come in alcuni degli ultimi lavori) con il solo pubblico, secondo uno sviluppo che non è drammatico, ma narrativo, essendo prodotto dalla combinazione fra codici dello spettacolo trattati in maniera equivalente. Per questo e per altre caratteristiche, come la dialettica costante tra presenza e rappresentazione – intese come risultato, che si forma nella percezione, di specifici processi di embodiment[17] – e l’interfaccia con i media – che rivela e problematizza il concetto stesso di presenza – il lavoro di Rimini Protokoll può essere inscrivibile nella macroarea del teatro performativo.
Già alcuni studi[18] individuano una svolta performativa nelle diverse arti a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, registrando una condizione ormai instabile di alcuni paradigmi e modelli dell’approccio estetico tradizionale agli studi teatrali. In particolare, la messa in discussione della distinzione produttore/fruitore e l’abbattimento dei confini posti tra i diversi generi di fare artistico e gli altri ambiti di azione umana accomunano molte opere del teatro contemporaneo, da Robert Wilson a Jan Fabre, risalendo poi alle performance del Living Theatre ed al teatro di Grotowski nel secolo scorso, solo per fare alcuni esempi significativi. Citando le più recenti riflessioni di Fischer-Lichte, nella sua Estetica del performativo, arriviamo a distinguere l’espressività – intesa come espressione di un significato pre-definito – dalla performatività legata alla costruzione di senso attraverso una serie di atti non fondati sulla rappresentazione. Partendo da tali presupposti, quello che in tedesco è aufführung (ed in italiano può essere malamente tradotto con ‘spettacolo’) scaturisce dall’incontro unico tra attori e pubblico, costituendosi come luogo in cui, nel teatro, avviene il costruirsi performativo di senso. Tutto ciò, come già si capisce e come meglio si capirà in seguito, ha molto a che fare col lavoro dei Rimini Protokoll.[19]
Non si tratta tuttavia di individuare obbligatoriamente elementi di filiazione o modelli di riferimento, ma di rintracciare, nel passaggio di secolo, un humus comune che feconda forme artistiche sempre nuove, poiché la cifra della trasformazione e della metamorfosi, in natura come nell’arte (nata comunque da un’esigenza mimetica) nutre il continuo dialogo fra tradizione ed innovazione. Se il lavoro dei critici e degli storici del teatro è tentare di circoscrivere, definire, mettere in relazione, mentre gli artisti (ed in particolare quelli del nostro tempo) rifuggono con decisione definizioni, etichette e accostamenti, per il collettivo tedesco possiamo individuare alcune parole-chiave, che si connettono in qualche modo alla loro produzione: disequilibrio, destabilizzazione, audience, expert, prova (o, meglio, in inglese, try out). Come pure alcuni temi, o idee guida o fil rouge: tempo, insicurezza, fragilità, ma soprattutto internazionalizzazione e interculturalità, perché sull’incontro e sulla formazione di possibili relazioni e sulla costituzione di nuove identità culturali (per quanto fragili ed impreviste, talvolta) si basa buona parte del loro lavoro.
Così, rispondendo ad un progetto su commissione e nel cinquantesimo anniversario dei Trattati di Parigi, il gruppo approda a Milano ospite del centro artistico-culturale Zona K con la performance Home visit Europe,[20] presente nell’ambito della rassegna artistico-teatrale Focus Democracy che ha visto lo spazio milanese promuovere vari eventi sul tema, tra i mesi di marzo e giugno del 2017. Non è la prima volta che il collettivo tedesco interagisce con gli spazi della metropoli lombarda, dopo il successo itinerante di Remote Milano e le sue numerosissime repliche del 2014. La produzione s’inserisce ancora in un contesto di respiro internazionale, dove le città e gli spazi urbani funzionano da reagenti drammaturgici all’interno di ‘eventi-situazioni’ in cui il teatro è concepito come forza operante e non come opera. Già in Remote X – che dal 2013 aveva toccato molte capitali europee ed extraeuropee – lo spazio urbano funzionava come stage o setting a misura di un gruppo di performer/audience, in cui i veri experts[21] erano chiamati a costruirsi gradualmente, attraverso l’interazione fra la voce-guida e le loro singole specificità, secondo un dispositivo della ‘performance per delega’ (a recitare sono le audience) tipico dell’arte contemporanea.[22] La città stessa si configurava come opera in fieri e comunità dinamica, nella direzione della cittadinanza attiva,[23] in cui ciascun partecipante poteva scegliere il proprio grado personale di coinvolgimento guidato dal leit-motiv del tempus fugit.[24]
Con questa nuova creazione, è un continente intero a invadere gli spazi della città, anche se si tratta di spazi privati: l’Europa che irrompe a domicilio, appunto. Appartamenti messi a disposizione di un ciclo di performance, che si traducono in un gioco di ruolo fra sconosciuti riuniti intorno ad un tavolo per condividere tra loro la propria visione europea. Una sorta di game of thrones politicamente corretto, in cui i partecipanti simulano, intorno ad gigante carta geografica tutta da completare, la costruzione di un’identità politica pacifica (o apparentemente tale). Poche persone sono usate come Maestri di Cerimonia e tecnici (spesso totalmente messi in ombra durante il corso della serata), mentre altre quindici prendono parte alla performance da salotto che intreccia storie personali e meccanismi politici, costruendo via via una rete grafica ed emotiva che da porta a porta si estende a tutto il continente. Il gioco è costruito su cinque livelli che corrispondono alle tappe significative dell’integrazione nell’Unione Europea, dai primi gradini dopo la seconda Guerra Mondiale alla questione attuale dei rifugiati, ma ogni livello serve ad introdurre un’ulteriore o diversa prospettiva fra i presenti.
I partecipanti, come politici, si riuniscono dunque nel soggiorno o nella cucina del padrone di casa; al centro della tavolata, i due oggetti che muovono l’azione: la grande carta geografica e la macchina denominata pacemaker, che, passando di mano in mano, sputa scontrini con domande, riflessioni, suggerimenti, azioni, scandendo fasi e livelli successivi. Prima si gioca singolarmente, poi si stringono alleanze; in seguito, la squadra più forte mangerà la fetta più grande della torta al cioccolato che cuoce in forno, dal momento del nostro arrivo e nella fase conoscitiva del primo livello: una torta decorata con la cartina dell’Europa disegnata con zucchero a velo. Siamo alla fine di un rito aperto con tè e caffè: i partecipanti mangiano la torta europea, foto ricordo e possibilità di visionare dati, statistiche e scatto della serata sul sito internet, appositamente predisposto per accogliere i risultati di questa rete performativa, ma anche statistica, itinerante.
Partendo dunque dalla scelta dei temi, abbiamo chiesto ad Heldgard Haug[25] perché Rimini Protokoll riflettano sul concetto d’identità europea in un momento storico in cui tale concetto è profondamente messo in discussione: la risposta risiede ovviamente nel concetto di crisi, che nella sua etimologia greca include l’instabilità e il cambiamento, condizioni entrambe feconde per l’arte. Ma non solo, poiché alla base di ogni progetto artistico riuscito esiste sempre un’esigenza concreta, non si può ignorare il fatto che si tratti di un lavoro ‘su commissione’: una rete di dieci teatri europei denominata HOUSE on FIRE[26] ha infatti chiesto al collettivo tedesco di lavorare sul tema Europa, creando un progetto che potesse viaggiare attraverso tutti e dieci i paesi partner. Questa rete include teatri e festival europei che negli ultimi anni hanno mostrato interesse o hanno giocato un ruolo centrale verso il paradigma di un’arte con un ruolo attivo nella società.
Come si capisce, la ricerca di Rimini Protokoll s’inserisce pienamente in questo paradigma e raccoglie così la sfida europea, non senza alcune perplessità iniziali dovute all’ampiezza del tema e alla sua attuale criticità. Poiché il loro teatro nasce sempre da una fase preliminare di studio e di raccolta dati sul tema preposto, i tre ideatori del gruppo inizialmente sono entrati in contatto con l’istituzione Europa attraverso la frequentazione di alcune persone che lavoravano per l’Unione Europea, condividendone obiettivi, regole, routine di tutti i giorni. L’immagine-guida, di sicuro effetto, era quella della grande tavola, con i rappresentanti di ventotto paesi seduti intorno ad essa; questa sembrava stridere tuttavia con la realtà del paesaggio di ventotto paesi diversi, spesso distaccati fra loro nelle idee e nelle condizioni. Così il loro immaginario artistico, alimentato da questo campo di tensioni, prova a spostarsi dall’Europa organizzata ed istituzionale per entrare in una microcella, un ambiente privato ed una situazione simile: un grande tavolo ed alcune questioni da discutere.
Dal punto di vista logistico, il gioco si sposta in molte case ed ambienti diversi, in giro per l’Europa e non solo, poiché ci sono state migrazioni anche in Egitto ed in Nord America, con un progetto futuro che coinvolgerà l’Australia. L’itineranza del setting genera strategie di azione/reazione sempre diverse, con alcuni punti fermi: una persona/protagonista proveniente da diversi paesi europei, come padrone di casa al tavolo; azioni e testi predisposti; un Maestro di Cerimonie locale ed un assistente, come unici elementi esterni, a garanzia delle procedure di gioco. In tale contesto, la drammaturgia dell’evento, pur avendo un’ossatura predisposta in maniera sempre uguale, si costruisce ogni volta sulla base delle reazioni e dei dialoghi dei partecipanti.
L’obiettivo è infatti creare una situazione in cui le persone si possano incontrare in un modo che non è formalmente organizzato, seppure non casuale, sperimentando il divario esistente tra la propria costruzione mentale di Europa e la propria sperimentazione pratica di cosa l’Europa sia, nella vita e nel pensiero di tutti i giorni.
Le domande che scaturiscono dal pacemaker orientano il dialogo in questo senso: «lavori spesso in un paese diverso da quello in cui vivi?», «chi ha mai mentito sulla sua nazionalità?», «chi si sente più europeo che cittadino del proprio paese?». Quelle iniziali – di carattere puramente conoscitivo – si rivolgono ad un individuo singolo (il padrone di casa appunto) per poi estendersi a tutto il gruppo e salire di livello, dalla sfera intima alla sfera comunitaria: l’obiettivo è proprio creare comunanza fra i partecipanti, aggiungendo a questo la competizione, orientata verso il premio finale, seppure simbolico come una torta al cioccolato. Si tratta di riprodurre dunque, in ambiente domestico, dinamiche più ampie a livello politico-istituzionale, sperimentando come la competizione stessa sia alla fine in grado di compromettere la solidarietà all’interno di un gruppo, anche solo a livello ludico: emerge infatti, specialmente nelle ultime fasi del gioco, la difficoltà da parte dei partecipanti a stringere compromessi e prendere parte a decisioni che danneggino il proprio stretto interesse.
Frammenti di storia e di mito uniti ad una serie di domande poste al padrone di casa o ai giocatori costituiscono l’unico testo drammaturgico di natura verbale riconducibile allo statuto del teatro, mentre i dialoghi strutturati si riducono ad una serie domande/risposte, lasciando alla casualità i dialoghi spontanei che nascono fra i giocatori. Le didascalie d’azione sopravvivono in alcune indicazioni di movimento che gli scontrini del pacemaker sputano fuori per essere letti dai partecipanti, a turno. Non esiste copione, che non sia questa sequenza di istruzioni consegnata al programma di elaborazione dati che presiede i piccoli congegni elettronici utilizzati dai giocatori nel corso della serata, per svolgere le fasi finali della performance da salotto.
Home visit Europe[27] sembra quindi abbandonare, del tutto, lo statuto della rappresentazione per proporsi come gioco sulla costruzione dell’identità e della relazione (seppure entrambe fragili e temporanee). Teatro e gioco, del resto, erano indagati anche da quegli orizzonti teorici di riferimento elaborati nella seconda metà del Novecento da Victor Turner[28] a Richard Schechner, che ponevano le loro radici in una prospettiva di studi antropologici. E la storia della scena del Novecento si configura in effetti come «la storia di una trasformazione radicale degli assunti culturali su cui si è fondata l’idea stessa di rappresentazione nella drammaturgia moderna».[29] Tuttavia, sullo sfondo di questa trasformazione:
non c’è solo l’eclissi del sacro e della funzione profondamente motivante che esso ha avuto nel fondare il tempo e lo spazio dell’immaginario collettivo: c’è l’avvento di una civiltà, che assegna allo spettacolo il compito di illustrare una diversa avventura mondana, con personaggi che fanno un’esperienza singolare del divenire; c’è l’idea della rappresentazione che si inscrive nell’orizzonte dell’illusione, del gioco, del divertimento, della celebrazione del potere avendo obliterato definitivamente i nuclei rituali attorno a cui si convocava il teatro.[30]
Si capisce come il collettivo tedesco, collocandosi in questo orizzonte ed eludendo volontariamente alcuni nuclei rituali di riferimento del teatro occidentale, cerchi di elaborare una lingua della scena tutta sua, al di fuori di un testo drammaturgico dato e di un concetto di autorialità pre-definito.
Di questa ricerca il gioco domiciliare dell’Europa da salotto rappresenta sicuramente un caso-limite, perché, ponendo le sue fondamenta in quella riscoperta che tanta drammaturgia novecentesca fa di un teatro ambientale, immersivo, performativo rende la procedura stessa oggetto della rappresentazione e riduce la drammaturgia dell’evento ad una serie di istruzioni per l’uso. Tale riduzione non è da intendersi tuttavia in accezione negativa, poiché non si tratta di una rinuncia alla forma teatrale tout court: di questa infatti sopravvivono le più nobili intenzioni originarie, ovvero la convocazione di una cittadinanza attiva in una situazione conoscitiva (e non puramente contemplativa) predisposta. Le istruzioni per l’uso fanno poi parte di quel ‘protocollo’ che il collettivo berlinese richiama nel proprio ossimorico nome: un protocollo festoso e rivierasco, che vuole unire alla presunta scientificità dell’esperimento sociale la leggerezza di un contesto vacanziero italiano. ‘Rimini Protokoll’ non è solo il nome di un gruppo, ma – come osserva Francesco Fiorentino – «un Label, un brand, un marchio, un’etichetta, che i tre fondatori si sono dati per i lavori che fanno insieme, o solo in due, o singolarmente, anche con altri partner. Per usare il nome è necessaria la presenza di almeno uno dei tre, oltre a un certo modo di lavorare. Poi temi e forme possono cambiare, ma sono sempre postdrammatiche».[31]
Nell’opera di Rimini Protokoll e in particolare in questo ultimo esperimento, così radicale, non viene meno dunque la fiducia nel ruolo che le arti performative rivestono nella società: ad esse appartiene infatti il regno del ‘come se’ e, seppure partendo dalla realtà, possono facilmente sconfinare nel campo dell’immaginazione e dell’utopia. Per Heiner Goebbels[32] sono l’esempio di un collettivo attivo di registi che stimola dei processi piuttosto che realizzare un’opera d’autore e, come negli obiettivi del miglior teatro novecentesco, al centro del processo c’è lo spettatore, il suo sguardo, la sua possibilità di trasformare sé stesso e, di conseguenza, il mondo che lo circonda. Non si tratta però di soddisfarne necessariamente le aspettative, quanto di stabilire un canale di dialogo, uno spazio di discussione, una zona franca dai ruoli acquisiti; tutto ciò a costo di destabilizzare, scuotere, perturbare. Partire dal reale non significa così appiattirsi su un ruolo puramente documentario, ma rendere la realtà stessa più vivida, più visibile, più concentrata attraverso quella visione ‘diversamente’ teatrale da quale i Rimini Protokoll non abdicano del tutto.
Se è vero che «nella vita che si svolge fuori della scena possiamo trovare i materiali su cui si basa il mondo teatrale»,[33] l’assimilazione del teatro al gioco (così evidente nel termine inglese ‘to play’) come apertura a nuove possibilità non esclude tuttavia un processo di restituzione mimetica ad un ipotetico pubblico che guarda, anche se non gioca fisicamente. Ridotto ai minimi termini o potenziato al massimo esponente (dipende da quale prospettiva esaminiamo la performance) esiste in Home visit Europe un pubblico virtuale, oltre a quello che prende fisicamente parte al gioco. L’esperienza domestica viene restituita al web, con foto e documentazione dell’evento tramite il sito dedicato al progetto www.homevisiteurope.org che ci conduce, con un click, dentro a case private sparse in tutta Europa (e non solo), per conoscere volti, ambienti e pensieri (seppure in forma statistica) di chi ha giocato a sentirsi europeo. Il sito permette così di navigare fra dati, percentuali e grafici che rappresentano la traduzione visiva della costruzione temporanea di un’identità, quella del gruppo riunito in ambienti domestici che vanno a costituire progressivamente una nuova geografia europea definita dall’immaginario collettivo. In effetti, oltre il quinto livello, quello della competizione, c’è un livello successivo, quello della restituzione, in cui tutte le singole recite vengono raccolte e diventano di nuovo aperte ad un pubblico anonimo esteso in tutto il mondo. Tale livello rimane parte integrante del progetto e ne costituisce il sedimento visibile, aggiungendo alla matrice puramente esperienzale dell’evento, anche quella prettamente teatrale, concentrata sullo sguardo.
Nonostante teatro e gioco appartengano entrambi al mondo trasformativo del ‘come se’ e possano facilmente essere accostati e sconfinare l’uno nell’altro, Rimini Protokoll, anche in questa produzione, supera la prospettiva del gioco per proporsi in una prospettiva reale e simbolica, mantenendo vivi alcuni meccanismi specifici dell’arte teatrale che producono senso. Sopravvive dunque il concetto di rappresentazione – offerta allo sguardo anonimo di chi si connette via web – nella costruzione ideale di un setting, cioè di un ambiente/forma in cui proprio l’Europa diventi un palcoscenico su cui recitare. In questo modo, il tema del progetto diviene, ipertroficamente, rappresentazione e la macchina teatrale non implode su sé stessa, azzerandosi, ma scatena un immaginario drammaturgico di cui fanno parte i pensieri di chi gioca, ma anche quelli di chi guarda, ri-orientando la percezione secondo orizzonti di senso imprevisti e sempre nuovi.
Per concludere, abbiamo voluto girare provocatoriamente alla Haug una delle domande poste al tavolo di Home visit Europe: «hai fiducia nel futuro?». Volevamo testare il suo grado di fiducia come artista, come parte di un gruppo in quello che verrà, perché all’interno di questo gioco domiciliare, apparentemente innocuo, emerge spesso una presa d’atto (talvolta amara) di ciò che ancora l’Europa non è, o non è ancora. Si riporta di seguito il testo della risposta, che sembra intravedere un futuro solo nel ritorno al grado zero, agli albori della vita sulla terra, alle prime forme semplici e spontanee di esistenza:
The reason why I can not participate at your meeting via skype today is because I am on a research trip for another project. The last couple of days I met biologist that focus on the specie of jelly fish! Their hypothesis is that climate change will make the jellyfishes the winners of the ‘game’. They have a simple but very effictive structure, no brain and no social life. They have not changed or evolved during the last billion years and somehow it seems that the more complex species like the human being perfectly learned how to destroy whilest these beings silently manage to survive. Looking at a tank with jellyfishes for example made me understand that they somehow (nobody knows how) manage to adopt their size and population according to the available space. So in case you put 100 jellyfishes in a tank they will only grow to half the size in comparison to a group of 50 jellyfishes. I think this is absolutely fascinating — whiles comparing this with human beings — the number is getting higher and higher, size and weight and consumption, too though intellectually everybody knows that this will no create a happy end.
Tra le righe, leggiamo la profezia di autodistruzione per un’umanità sempre più rivolta ai propri consumi ed ai propri bisogni, senza perseguire uno sviluppo realmente sostenibile nell’ambito di un contesto climatico mondiale che mostra ancora tutte le sue incognite.
Distruggersi con le proprie mani sembra essere pertanto il nostro destino, o forse no, se all’arte continuiamo ad assegnare quel potere trasformativo della realtà che abbiamo già più volte ricordato. Come uomini, dunque, Rimini Protokoll vedono nubi nere al nostro orizzonte, ma come artisti intravedono un piano di fuga nella trasformazione, nella metamorfosi, nella rinascita, se — come afferma la Haug — «I like to be optimistic and maybe times of crisis are good times for the arts».
1 Ai suoi esordi il gruppo comprendeva anche un quarto membro: Bernd Ernst, che dal 1998 lavorava insieme a Kaegi sotto il marchio Hygiene heute, nome nato in opposizione a quello che era considerato lo ‘sporco’ vecchio teatro tedesco. Ernst ha lasciato il collettivo nel 2002 per divergenze d’opinione legate alla modalità di gestione del gruppo, pur continuando tuttavia a collaborare con Kaegi in alcuni progetti. Haug e Wetzel, invece, avevano già lavorato insieme in precedenza insieme a Marcus Dross sotto il marchio Ungunstraum- Alles zu seiner Zeit (Unfavourable Space - Everything in its Time), attivo dal 1995 al 1998.
2 Fondato da Andrzej With nel 1982, è l’unico dipartimento di lingua tedesca che combini teoria teatrale e pratica, dedicandosi soprattutto alla produzione delle forme di teatro contemporaneo e sperimentale.
3 Cfr. H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzel, Rimini Protokoll ABCD, Berlin, Theater der Zeit, 2012.
4 L. Candelpergher, ‘Nuove realtà teatrali si incontrano a Venezia. Conversazione con Stefan Kaegi, Rimini Protokoll’, in A. Malaguti, M. Calcagno (a cura di), La sperimentazione dei processi di produzione teatrale, Milano, FrancoAngeli Editore, 2012, p. 192.
5 Cfr. D. Schreiber, ‘Sehsucht nach Alltag. Die Realitätsspiele des Rimini Protokolls’, Theater der Zeit. 3, 2004, pp. 40-42.
6 Cfr. I. Thomas, ‘A Search for New Realities: Documentary Theatre in Germany’, TDR, 3, 2006, pp. 16-28.
7 La Daimler AG è un produttore tedesco di automobili e di mezzi di trasporto per l'impiego militare e civile come pure per i servizi finanziari, con sede centrale a Stoccarda in Germania. La Daimler AG attuale è nata nel 2007 dopo la vendita del gruppo Chrysler alla Cerberus Capital Management L.P. La precedente società “DaimlerChrysler AG” era sorta nel 1998 in seguito alla fusione della Daimler-Benz con la Chrysler Corporation, dando origine ad una società per azioni secondo il diritto tedesco.
8 100% City - A Statistical Chain Reaction. Directed by H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzel. Reasearch + Dramaturgy: Cornelius Puschke. A Rimini Apparat production in co-production with HAU Berlin, funded through the Capital Cultural Fund (Hauptstadtkulturfond).
9 Shooting Bourbaki - 5 swiss boys performing on they self stabilizing strategies and the teenage urge to shoot by H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzel with Valentin Erin, Thomas Hostettler, Diego Krauss, Ahmed Mehdi and Adrian Seitz. A production of luzernertheater and Expo.02 (AMJ). Cooperation Dramaturgie: Olaf Kroek. Coproducers: Künstlerhaus Mousonturm (Frankfurt am Main), Neues Cinema (Hamburg), Sophiensæle (Berlin), BIT Teatergarasjen (Bergen) and Avantgarden (Trondheim).
10 Brusnwick Airport. Weil der Himmel uns braucht by H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzen.
11 Calcutta in a box - An intercontinental phone play by H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzel. worldpremiere: Berlin, Mannheim, Zürich 2.4.2008Perfomers in the Call-Center: Durbha Alivelu, Avisek Arora, Dicky Banerjee, Suktara Banerjee, Avik Chakraborty, Sagnik Chakraborty, Souptic Chakraborty, Surjodoy Chatterjee, Anusua Chatterjee, Sarmistha Das, Arpan Goenka, Basundhara Ghoshal, Sneha Jha, Islam Mohammed, Madhusree Mukherjee, Priyanka Nandy, Mira Parekh, Aditi Roy, Sunayana Roy u.a. Production: Hebbel am Ufer, Berlin. In collaboration with the Callcenter Descon Limited in Kalkutta (2008-2010). Coproduction Baltic Circle Helsinki and Helsinki Festival; Camp X Kopenhagen; Rimini Apparat; Kunstenfestivaldesarts Brüssel; Nationaltheater Mannheim; Schauspielhaus Zürich; 104 Centquatre Paris. Supported by the European Cultural Foundation and Regierenden Bürgermeister von Berlin – Senatskanzlei – Kulturelle Angelegenheiten.
12 Remote X by S. Kaegi.
13 Situation Rooms - A multiplayer video place by H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzel. With: Abu Abdu Al Homssi, Syria; Shahzad Akbar, Pakistan; Jan van Aken, Germany; Narendra Divekar, India; Nathan Fain, USA; Reto Hürlimann, Switzerland; Maurizio Gambarini, Germany; Andreas Geikowski, Germany; Marcel Gloor, Switzerland; Barbara Happe, Germany; Volker Herzog, Germany; Richard Khamis, South-Sudan; Wolfgang Ohlert, Germany; Irina Panibratowa, Russia; Ulrich Pfaff, Germany; Emmanuel Thaunay, France; Amir Yagel, Israel; Yaoundé Mulamba Nkita, Kongo; Familie R, Lybia; Alberto, Mexico; and: Christopher Dell, Alexander Lurz, Karen Admiraal. A production of Rimini Apparat and Ruhrtriennale, in coproduction with Schauspielhaus Zürich, SPIELART festival & Münchner Kammerspiele, Perth International Arts Festival, Grande Halle et Parc de la Villette Paris, HAU – Hebbel am Ufer, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt am Main, Onassis Cultural Center-Athens. Funded by the German Federal Cultural Foundation and the Regierende Bürgermeister of Berlin - Senate Chancellery - Cultural Affairs.
14 Bodenprope Kasakhstan (Soil Sample Kasakhstan) with: Elena Panibratowa, Gerd Baumann, Heinrich Wiebe, Helene Simkin, Nurlan Dussali. Concept & Direction: Stefan Kaegi (Rimini Protokoll). A production by Rimini Apparat and HAU / Hebbel am Ufer Berlin. Coproduced by Schauspiel Hanover, Wiener Festwochen, Goethe Institute Almaty, Le Maillon - Théâtre de Strasbourg / Scène Européenne, Territory Festival 2011 and BIT Teatergarasjen. Supported by the Capital Cultural Fund and the Governing Mayor of Berlin – Senate Chancellery for Cultural Affairs. Si legga R. Carpani, ‘Presence, Storytelling, Testimony and Theatre in «Bodenprope Kasachstan»’, in A. Cascetta (a cura di), Il teatro verso la perfomance, Milano, Vita & Pensiero, 2008, pp. 81-92.
15 Cfr. L. Mango, ‘Appunti preliminari per una «messa in storia» del teatro del Novecento’, Acting Archives Review, VII, 13, 2017, pp. 1-23, <http://www.actingarchives.unior.it/Rivista/RivistaIframe.aspx?ID=81f87db0-83de-493c-9b9c-e766fc1a1fcb> [accessed December 2017].
16 F. Malzacher, ‘Dramaturgies of care and insecurity. The story of Rimini Protokoll’, in M. Dreysse, F. Malzacher (a cura di), Experts of the Everyday. The Theatre of Rimini Protokoll, Berlino, Alexander, 2008, p. 14. Si veda anche J. Birgfeld, U. Garde, Meg Mumford (a cura di), Rimini Protokoll Close-Up: Lektüren, Hannover, Wehrahn, 2015. Sempre sulla drammaturgia di Rimini Protokoll, si legga anche M. Mumford, 2013. ‘Rimini Protokoll’s Reality Theatre and Intercultural Encounter: Towards an Ethical Art of Partial Proximity’, Contemporary Theatre Review. 23, 3, 2013, pp. 14-45; Ead, ‘Towards Transculturality in Reality Theatre from Berlin and Sydney: A study of the Nomad in Rimini Protokoll’s Cargo Sofia-X and the «Spiritual Medium» in Fast Cars and Tractor Engines by Urban Theatre Projects’, in A. Corkhill, A. Lewis (a cura di), Intercultural Encounters in German Studies, St. Ingbert, Röhrig, 2014, pp. 181-96.
17 Cfr. J. Butler, Performing Feminism: Feminist Critical Theory and Theatre, a cura di S.-E. Case, Baltimore-London, Johns Hopkins University Press, 1990, p. 273; E. Fischer-Lichte, Estetica del performativo. Una teoria del teatro e dell’arte [2004], trad. it. di T. Gusman, S. Paparelli, Roma, Carocci, 2014, p. 48.
18 Cfr. R. Schechner, Performance Theory [1977], New York, Routledge, 1988; Id., Magnitudini della performance, Roma, Bulzoni, 1999; H.- T. Lehmann, Postdramatisches theater, Frankfurt am Main, Verlag der Autoren, 1999; M. De Marinis, Al limite del teatro. Utopie, progetti, aporie nella ricerca teatrale degli anni Sessanta e Settanta, Firenze, La casa Usher, 1983; Id., Il Nuovo Teatro 1947-1970, Milano, Bompiani, 1987; C. meldolesi, ‘Con e dopo Beckett: sulla forma sospesa del dramma, la filosofia teatrale e gli attori autori italiani’, Teatro e Storia, 27, 2006, pp. 269-292; R. Molinari, Il lavoro del drammaturg. Nel teatro dei testi con le ruote, Milano, Ubulibri, 2007; G. Guccini (a cura di), ‘Drammatico vs postdrammatico: polarità a confronto’, Prove di drammaturgia, XVI, 1 giugno 2010; M. De Marinis, Il teatro dopo l’età dell’oro: Novecento e oltre, Roma, Bulzoni, 2013; V. Valentini, ‘La linea del Settanta (1968-1977): mettersi in viaggio’, in V. Valentini (a cura di), Nuovo teatro Made in Italy (1967-2013), Roma, Bulzoni, 2015, pp. 49-80.
1919 Si legga anche una ricognizione ‘problematica’ delle accezioni della definizione Freies Theater, svolta da Nikolaus Müller-Schöll (‘De la rébellion contre l’institution théâtral au théâtre “hors de soi”: le Freies Theater depuis 2000’), esemplificata poi da due spettacoli dei gruppi Theaterkombinat (Massenmycènes, 2000) e Rimini Protokoll (Cargo Sophia, 2006), in D. Plassard (a cura di), Mises en scène d’Allemagne(s), Collection Arts du Spectacle, Les voies de la création théâtrale, Paris, CNRS, 2014, vol. 24, pp. 104-119; cfr. la recensione di Cristina Grazioli al volume apparsa su Culture Teatrali on line,
20 Home visit Europe, ideazione, testo e regia: H. Haug, S. Kaegi, D. Wetzel; drammaturgia: Katja Hagedorn; Interaction Design: Mirko Dietrich, Hans Leser, Grit Schuster || Assistente Interaction Design: Philipp Arnold || Scenografia: Lena Mody, Belle Santos || Assistente Scenografia: Ran Chai Bar-zvi || Produzione: Juliane Männel || Direzione Tecnica: Sven Nichterlein || Web Design: Tawan Arun + Ralph Gowers (Programming) || Redazione Web: Cornelius Puschke. Maestri di Cerimonia, Milano: Enrico Pittaluga, Andrea Panigatti. Home Visit Europe is a production of Rimini Apparat. In coproduction with Archa Theatre Prague (CZ). BIT Teatergarasjen/Bergen International Festival (NO). Frascati Teater Amsterdam (NL). HAU Hebbel am Ufer Berlin (D). Kaaitheater Brussels (BE). LIFT London (GB). Malta Festival Poznan (PL). Mungo Park (DK). Sort/Hvid (DK). Teater Nordkraft (DK). Théâtre de la Commune Aubervilliers (FR). Théâtre Garonne (FR). Teatro Maria Matos (PT).A House on Fire commission / coproduction with the support of the Cultural Program of the European Union. The project is supported by Capital Culture Fund Berlin.
21 Cfr. P. Boenisch, ‘Other People Live: Rimini Protokoll and Their «Theatre of Experts» — An Interview’, Contemporary Theatre Review. 18, 1, 2008, pp. 107-113.
22 Cfr. C. Bishop, Inferni artificiali. Politiche della spettatorialità nell’era dell’arte partecipativa, Bologna, Luca Sossella Editore, 2015.
23 Cfr. S. Bottiroli, R. Gandolfi, Un teatro attraversato dal mondo. Il Théâtre du Soleil oggi, Corazzano (Pisa), Titivillus, 2012.
24 Cfr. A. Cascetta, ‘Teatri del mondo’, Drammaturgia.it, <http://www.drammaturgia.fupress.net/saggi/saggio.php?id=6489> [Accessed 5 March 2016].
25 In questa sede, facciamo riferimento all’intervista esclusiva concessa alla sottoscritta e da me trascritta e tradotta, in occasione della conferenza-spettacolo dal titolo «Home visit Europe: cronaca di uno spettacolo internazionale dei Rimini Protokoll (Berlino)» che ha avuto luogo l’11 maggio 2011 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano coordinata da me e da Valentina Kastlunger di Zona K durante il Convegno internazionale Identità europea. Diritto, storia, cultura artistica e teatrale, 11 -12 maggio 2017, Università Cattolica del Sacro Cuore, Biblioteca Ambrosiana di Milano. Cfr. A. Frattali, Tra realtà e utopia: ripensare lo statuto della rappresentazione. Intervista a Rimini Protokoll, Arabeschi, VI, 11, <http://www.arabeschi.it/tra-realt--e-utopia-ripensare-lo-statuto-della-rappresentazione-intervista-a-rimini-protokoll/ >.
26 HOUSE on FIRE è supportato dai partners individuali e dal programma culturale dell’Unione Europea (2007-2013). I partners di HOUSE on FIRE perseguono dunque una programmazione internazionale ed una politica di coproduzione basata sulla convinzione che le arti possano avere un ruolo comunicativo essenziale e nello sviluppo del pensiero e del dibattito a proposito di problemi e sfide che le nostre società e il mondo stanno affrontando. Più informazioni sul Programma sono disponibili sul sito della Commissione Europea http://eacea.eceuropa.eu.
27 Cfr. V. Valentini, ‘Home visit Europe, Europa a domicilio’, alfabeta2,
28 Cfr. V. Turner, From ritual to theatre: the human seriousness of play, New York, Performing arts journal publications, 1982.
29 S. Dalla Palma, ‘Momenti e modelli della transizione teatrale’, in C. Bernardi, B. Cuminetti, S. Dalla Palma (a cura di), I fuoriscena. Esperienze e riflessioni sulla drammaturgia nel sociale, Milano, EuresisEdizioni, 2000, p. 9.
30 Ibidem.
31 F. Fiorentino, ‘Abecedario dei Rimini Protokoll’, alfabeta2,
32 H. Goebbels, ‘Call Cutta, Quello che non vediamo ci attrae, Quattro tesi su Call Cutta’, Biblioteca teatrale, 91-92, luglio-dicembre 2009, pp. 291-305.
33 J. M. Lotman, ‘Semiotica della scena’ [1980], trad. it S. Salvestroni, Strumenti critici, 44, p. 6.