4.4. La wunderkammer di Giuliana Cunéaz

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Giuliana Cunéaz (Aosta, 1959) è un’artista del tutto originale nel panorama delle arti elettroniche e digitali (viene definita media artist) italiane. Il nucleo forte del suo lavoro è caratterizzato dal dialogo e dal confronto con la scienza, intesa sia come apporto di riflessioni e cambiamento dei paradigmi del nostro pensare, sia – e forse soprattutto – come inarrestabile bellezza e suggestione evocativa delle immagini scientifiche, rivisitate e ricreate grazie alle ultime tecnologie digitali, fino al 3D e al virtuale. Definirla media artist è riduttivo, in quanto il suo lavoro – dagli esordi nei primi anni Ottanta – prende le mosse da studi artistici (Accademia di Belle Arti di Torino) ed è segnato dalla commistione di nuove tecnologie e di oggetti e di materiali che esulano da quest’ambito: la luce, innanzitutto (in dialogo con l’ombra), ma anche pietra, polvere dorata, carta, marmo, ferro, coni riflettenti. Questo dialogo si esprime in alcune opere anche attraverso un più ampio richiamo a figure e a temi del passato, che affiorano dal mito e dalla leggenda. Ad esempio, nell’installazione Il silenzio delle fate (1990). Qui, mi scrive Giuliana Cunéaz, «affronto, attraverso lo studio delle leggende legate al territorio della Valle d'Aosta, la natura misteriosa e inquietante di queste creature femminili (spesso capricciose, vanitose e irascibili) in relazione al nostro immaginario e ai luoghi. Le fate, figure sempre in bilico tra l’immateriale e l’umano, sono indubbiamente emanazioni della natura. È interessante notare, (sempre attraverso le leggende) come dietro alla bellezza e al fascino spesso nascondono una deformità (piede caprino o coda d’asino) che cercano di mascherare. Un altro aspetto è l’innamoramento verso un essere umano che generalmente poi le abbandona lasciandole nella disperazione o anche come possano partorire solo orchi che cercano di sostituire con bimbi rapendoli in fasce nelle culle...» (Cunéaz 2021).

Cunéaz è tuttavia ascrivibile anche alla ricerca videoartistica, a partire dalla sorprendente videoinstallazione Lucciole del 1991, con cinque monitor disposti in una stanza in maniera anomala, «come fossero degli insetti» (Cunéaz in Spataro 2021), che mostrano l’immagine della superficie che sta dietro al televisore: un inganno percettivo, arricchito da calcolate variazioni della luce nella stanza fra chiarore pieno e oscurità, così da creare uno stato di oscillazione e ambiguità sensoriale [fig. 1]. Ma ritroviamo anche un richiamo alla videoarte nel dialogo che i suoi screen paintings instaurano fra pittura ‘reale’ su schermo e immagini in movimento: una videoarte ricreata in modi più rigorosi, ‘scientifici’ potremmo dire, rispetto alla dimensione ludica e improvvisativa dei pionieri. La dimensione performativa è comunque sempre all’opera, nel suo lavoro, e in varie forme [fig. 2].

I contributi critici su questa artista, di cui è impossibile qui elencare la quantità di opere e di mostre anche internazionali, e la bibliografia (si rimanda per questo al suo sito),[1] si sono sviluppati in particolare nell’ambito dell’arte contemporanea, per la dimensione pittorica, scultorea, il senso della dimensione architettonica, l’eleganza delle materie scelte e sapientemente installate, i riferimenti a quel dialogo arte-scienza che vede all’opera importanti artisti del nostro tempo. Ma, oltre che alla videoarte (si sono interessati al suo lavoro alcuni festival storici, da Vidéoformes in Francia a INVIDEO a Milano) e all’arte attuale, il lavoro di Giuliana Cunéaz si collega a quel vasto ambito di ricerche che è la computer art. O meglio, intreccia tutti questi territori, senza necessità di definizioni e appartenenze specifiche. L’arte installativa le consente di usare i più diversi materiali e di creare risonanze con l’ambiente reale; le tecnologie digitali le permettono di dare forma alla suggestione dell’infinitamente piccolo e di esplorare l’invisibile, richiamandosi alle immagini della scienza, ma anche di creare ambienti e paesaggi virtuali; il video, da quello della ‘scatola luminosa’ televisiva alle videoproiezioni, le consente di giocare con il fascino e le trappole della luce, talvolta in rapporto di interazione con lo spettatore-visitatore. Su tutto, la particolare ‘aura’ della creazione consentita dalle simulazioni digitali e dal virtuale: «Il filo conduttore di tutte le mie opere, anche le più recenti, credo sia l’interesse per il campo immaginifico che si crea intorno all'invisibile. Sono fondamentalmente un’esploratrice e lavoro sulla materia e sull’immaginario come un archeologo nel sottosuolo. È come avvicinarsi al cuore più segreto della vita e constatare le qualità e i limiti della nostra potenzialità percettiva e creativa. Mi piace pensare che in ogni microgrammo di materia sia contenuta tutta la complessità dell’universo e immedesimarmi nell’improbabile sogno di un atomo» (Cunéaz 2020).

Non sono molte le autrici che, anche sul piano internazionale, si confrontano con l’universo della scienza. La produzione delle artiste e delle autrici, anche sperimentali, si è in genere focalizzata, per evidenti necessità e urgenze, sui temi della memoria, dell’identità, della rappresentazione e dell’autorappresentazione, sulle narrazioni e le testimonianze di riscatto o di dolorosa minorità, e sulla riflessione sul corpo come luogo, anche, di dissidenza e di feconda diversità, sede di ‘difformità’ non riconciliate. L’accesso alla scienza, anche criticamente intesa, passa semmai da qui: da una riflessione sul corpo, come nei lavori di Maria Klonaris e Katerina Thomadaki; o come nel montaggio di radiografie, in Barbara Hammer. L’attenzione alle tematiche relative al corpo e alla sua rappresentazione, del resto, è presente anche in Cunéaz: da me sollecitata sulla presenza di un possibile filo rosso al femminile nel suo lavoro, ha citato fra gli altri elementi anche questo: «dal 1993 al 1996 altri lavori ispirati al mondo femminile sono quelli di In Corporea Mente, 1993 (le Ninfee, le Vergini, i Talami) o Sub Rosa 1995-1996 (Biancaneve e Corpus in Fabula); quest’ultimo è composto da centinaia di pezzi in perspex lavorati a caldo che ricalcano forme del corpo femminile: seno, ventre, vagina...)» (Cunéaz 2021). Altri elementi di un suo possibile percorso ‘di genere’ sono, secondo l’autrice, il richiamo a figure leggendarie come appunto le fate (corpi imprevisti e letteralmente difformi); e le figure femminili sono centrali anche nel suo ultimo lavoro, I Cercatori di Luce, di cui parleremo più avanti.

Tornando alla scienza, un radicato pregiudizio vede le donne come inadatte alle cosiddette ‘scienze dure’, nonostante vi siano eccellenti e diffusi esempi del contrario. Detto questo, anche nel campo della computer graphics e della computer art la presenza delle artiste è minoritaria: recenti pubblicazioni in Italia iniziano ad illuminare figure e opere, e fra queste autrici vi sono esempi importanti di attenzione alla scienza (Ida Gerosa, Daniela Bertol). La figura di Giuliana Cunéaz assume tuttavia tratti peculiari proprio per quella commistione di arti e di tecniche: pittura, video, fotografia, scultura, dimensione performativa dialogano, in ‘narrazioni’ sperimentali e in modo evocativo, con forme naturali e artificiali. Nelle sue costruzioni la precisione scientifica assume (o esalta) il fascino e la bellezza del mai visto prima, la meraviglia di profili e di evoluzioni ‘favolose’: fluttuazioni quantiche, neuroni, ma anche viaggi simulati nelle catastrofi, come in Zone fuori controllo (2012), da un ciclo «dedicato a problematiche attuali quali le catastrofi naturali e i disordini ecologici [fig. 3]. Sono ipotesi di passaggio che consentono un viaggio simulato e imprevedibile tra le onde di una tempesta, gli spazi misteriosi di una grotta, le colate laviche di un vulcano e la collisione di mastodontici iceberg [...]. La visione stereoscopica dilata gli aspetti enigmatici e ambigui delle forme» (Cunéaz 2012, p. 90). Meraviglia, quindi: quella tanto spesso evocata dagli scienziati e dalle scienziate che parlano del cortocircuito imprevisto, dello shock, della collisione di elementi diversi che offrono una soluzione inattesa. Ma anche allarme e inquietudine, visione critica, che fa emergere dalle forme perfette della scienza un mondo che oscilla fra armonia e autodistruzione. Anche nell’ultimo lavoro, il film I Cercatori di Luce (la prima al Palacinema di Locarno il 27 ottobre 2021) questo tema è presente, fra elemento mitico, paesaggi immaginifici, figure salvifiche: all’interno di paesaggi in 3D attori e attrici reali interagiscono fra musica e danza (e non solo). Opera «che vede tra i protagonisti Angela Molina insieme a tanti altri artisti e che attraverso le azioni, la tenacia e la carica poetica degli interpreti, ci conduce ad uscire dalle tenebre. Una piccola moltitudine di individui che, uniti e in totale sintonia con la terra, riescono nel loro intento a restituirci una natura rigogliosa e integra. Ad attendere il cambiamento bambini di diverse etnie con cui costruire la coscienza etica di un nuovo mondo. La diversità è una ricchezza: non bisogna rassegnarsi alle brutture che ci circondano, ma combatterle con nuove idee e una rinnovata bellezza» (Cunéaz in Celesia 2021).

In un video invece piccolo e personale, realizzato per il museo Puškin durante il confinamento dovuto all’emergenza sanitaria (The Sand Wasp, 2020), Giuliana Cunéaz racconta in prima persona, percorrendo con la videocamera le stanze della propria casa, la bellezza di un nido di vespa-vasaio, trovato dietro i libri: una forma perfetta, che, dipinta di chiaro, andrà a far parte di una ‘camera delle meraviglie’, in cui coesistono le creazioni della natura e quelle dell’arte. In fondo, l’opera di Giuliana Cunéaz è essa stessa una wunderkammer, una raccolta di meraviglie in cui oggetti regalati dal mondo naturale o creati dall’autrice dialogano senza lontananze spaziali e temporali con forme generate dal codice e dal calcolo, controllate e riformate dal gesto artistico che fa emergere microcosmi invisibili o mondi irraggiungibili: fino al cielo stellato.

 

Bibliografia

S. Celesia, ‘Intervista a Giuliana Cunéaz’, La Stampa, 7 aprile 2021.
G. Cunéaz, ‘Zone fuori controllo’, in ‘Giuliana Cunéaz: l’arte del 3D’, in S. Lischi, E. Marcheschi (a cura di), Mutazioni critiche/Critical Mutations, catalogo INVIDEO 2012, XXII edizione, Milano, Mimesis, 2012.

G. Cunéaz, intervista in ARTcure, blog online curato da Vincenzo Circosta, 19 marzo 2020, <https://artcure.wordpress.com/tag/giulianacuneaz/> [accessed 20 September 2021].

G. Cunéaz, dichiarazioni raccolte da me in intervista del 6 ottobre 2021.

M. Spataro, ‘Intervista a Giuliana Cunéaz’, Nel Segno della Musa, anno 13, febbraio-marzo 2021, <https://www.accainarte.it/rivista/nel-segno-della-musa-202103241145.html> [accessed 20 September 2021].
M. Firmani (a cura di), ‘Artribune Podcast: Alberto Diaspro e l’artista Giuliana Cunéaz’, Contemporaneamente, ciclo di podcast, 4 ottobre 2021, < https://www.artribune.com/arti-visive/2021/10/artribune-podcast-lincontro-tra-lo-scienziato-alberto-diaspro-e-lartista-giuliana-cuneaz/> [accessed 6 October 2021].
G. Iovane, J. Putnam, S. Risaliti (a cura di), Giuliana Cunéaz, libro con dvd di The Growing Garden (2008), Milano, Silvana editoriale, 2008.

P. Lagonigro, ‘Gli esordi di Ida Gerosa e Daniela Bertol nella computer art italiana’, in L. Conte, F. Gallo, Artiste italiane e immagini in movimento. Identità, sguardi, sperimentazioni, Milano-Udine, Mimesis, 2021.

G. Simi, Corpi in rivolta. Maria Klonaris e Katerina Thomadaki tra cinema espanso e femminismo, Pisa, Edizioni ETS, 2019.


1 Cfr. <https://www.giulianacuneaz.com> [accessed 6 October 2021].