Nanni Moretti, Santiago Italia

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Perché dopo quarantacinque anni Nanni Moretti ha sentito il bisogno di andare a Santiago e di riparlare del golpe di Auguste Pinochet che rovesciò il governo socialista cileno e uccise il presidente Salvador Allende?

Il documentario Santiago, Italia sembra motivato non solo dal racconto delle vicende dell’epoca, ma dalla necessità di riflettere – attraverso quei fatti – sulla cospicua differenza di comportamento socio-politico tra l’Italia di allora e quella di oggi. In questo senso il documentario ripropone in termini nuovi, se non inediti, il rapporto Italia-Cile attraverso una serie di interviste a uomini e a donne cileni, che in vario modo hanno vissuto gli accadimenti del 1973. In questa prospettiva tali interviste somigliano più a finestre sul mondo ovvero a racconti liberi, ma puntuali dove la vicenda o il ricordo personale coincidono con il ripensamento sul valore della sfera pubblica, ridefinendo in tal modo lo spazio del reale dentro la messa in scena docu-filmica.

Nella ricorrenza stabile di un architettura definita, di una fotografia nitida e di un montaggio calibrato, serrato ed incisivo, Moretti modifica di volta in volta la costruzione delle inquadrature in base ai vari ‘personaggi’ – dal primissimo piano al piano medio ad esempio – non tanto come sguardo del regista sulle storie di ogni testimone in relazione alla Storia, ma piuttosto viceversa come trasposizione nel linguaggio filmico – nella materia sensibile – delle peculiarità dei vari individui agenti all’epoca dei fatti. Moretti così entra in scena solo quando intervista un condannato per torture per sottolineare il suo (ovvio) non essere imparziale.

 

 

Così dopo il racconto del Cile all’epoca di Allende – epoca di rinnovato benessere, definita dal presidente ‘la via cilena al socialismo’ – seguono i filmati di repertorio del bombardamento aereo del palazzo della Moneda e l’audio dei radio giornali dell’epoca che annunciano l’avvenuto golpe e la morte di Allende. La presa al potere del generale Pinochet e della ‘junta militar’ sfocia in un feroce clima repressivo soprattutto verso gli esponenti della coalizione di Unidad Popular e delle forze di sinistra, col sequestro degli oppositori e dei sospettati nello Stadio di Santiago tramutato in un lager. Senza sussulti di retorica ascoltiamo le dinamiche di tortura a cui fu sottoposta una ex militante con scosse elettriche nelle parti intime da una donna militare e incinta.

L’ambasciata italiana con la sponda del governo di allora diviene quindi, non solo il ricovero per molti cittadini cileni ma – come si evince dall’intervista a due diplomatici italiani - anche l’unica ambasciata che più a lungo delle altre (rispetto ad esempio a quella svizzera e francese) ha continuato ad accogliere i rifugiati trasformandosi ben presto in una seconda casa-comunità a cui tuttavia si poteva accedere solo saltando arditamente il muro di cinta controllato dai militari armati. Il cadavere di Lumi Videla, che Moretti ci mostra in un filmato dell’epoca, gettato dagli sgherri della dittatura nel giardino dell’ambasciata italiana segna un punto di svolta nella narrazione e nella vita degli ex abitanti dell’ambasciata.

La possibilità di espatriare in Italia costituisce così un atto salvifico legato a ricordi di grande e immediata accoglienza e possibilità di poter riprendere una vita normale. Significativa la vicenda del gruppo degli Inti Illimani, autori del noto inno della Unidad Popolar, El Pueblo Unido (jamás será vencido), che si trovavano in Italia al momento del golpe e qui decisero anch’essi di restare. La grande mobilitazione di decine di migliaia di militanti comunisti italiani a sostegno dei compagni cileni, disvela come vi fu al tempo un’ondata emotivo-politica di identificazione con la situazione cilena, ciò che avrebbe poi indotto Enrico Berlinguer ad un radicale cambio di strategia politica con l’elaborazione della proposta di un ‘compromesso storico’ tra le forze democratiche popolari.

Santiago, Italia conferma Moretti come il regista italiano più dotato di testa e sguardo politici; in questo ultimo film documentario il regista suggerisce agli spettatori odierni il compito di fare un confronto con un’Italia estinta e con una concezione diversa della propria esistenza e di quella collettiva. Nel corso del film un ex militante divenuto poi imprenditore si commuove ricordando la sua passata militanza; nella sua commozione, che Moretti ‘riprende’ dando respiro e tempo al soggetto inquadrato, si comprende come la consapevolezza che la propria lotta era di tutti ovvero che era servita a qualcuno, restituisse il senso del vivere.

È su questo punto che è possibile individuare il nodo problematico di Moretti; l’eclissi di una sensibilità e memoria storico-politica e di un pensiero critico connota la presente Italia a-ideologica, segnata da pulsioni consumiste e individualiste che hanno sostituito la solidarietà internazionalista con le paure e le spinte xenofobe.

Sui gradoni dello stadio-lager di Santiago Moretti ‘immette’ una banda composta di ragazze e ragazzi come a voler proporre un momento catartico in cui la partecipazione artistica-emotiva alle vicende del Cile è anche tentativo artistico di tornare a scandire un tempo attraverso un linguaggio universale lasciando lo spettatore con l’impressione di un nuovo lavoro morettiano in corso d’opera.