Pasolini pittore, a cura di Silvana Cirillo, Claudio Crescentini, Federica Pirani

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«Non ha senso chiedersi se Montale o Zavattini o Pasolini siano veramente dei pittori, è chiaro che non lo sono. È invece interessante vedere quali siano il posto e la funzione della figurazione nel quadro delle loro attività preminenti. Quant’acqua porta al mulino della loro poesia o narrativa, o, magari, cinematografica?».[1] Così scriveva nel 1978 Giulio Carlo Argan nel catalogo della mostra Pier Paolo Pasolini. I disegni 1941/1975 che, a pochi anni dalla morte dello scrittore, ne riuniva per la prima volta i lavori grafici e pittorici. Oggi, a oltre quarant’anni di distanza, la mostra Pasolini pittore, allestita presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma (29 ottobre 2022-16 aprile 2023), a cura di Silvana Cirillo, Claudio Crescentini e Federica Pirani, ha il merito di presentare nuovamente nella sua organicità il percorso compiuto da Pasolini come pittore autodidatta, e parallelamente di ricostruire i legami da lui intessuti con i maggiori artisti e studiosi dei suoi tempi, fra cui emergono con evidenza le figure di Roberto Longhi e di Fabio Mauri.

Di fronte alle pitture e ai disegni del poeta ora esposti negli spazi museali di via Francesco Crispi, prova di un lungo percorso artistico compiuto all’insegna del figurativismo, le domande poste da Argan nel 1978 risultano ancora attualissime, fra tutte: quale ruolo ha assunto l’arte moderna nella definizione dell’immaginario visivo di Pasolini? E perché gli scrittori, per quanto avanzato sia il loro gusto letterario, quando disegnano ostinatamente rifuggono dal non-figurativo? Le spiegazioni date dallo storico dell’arte vanno oltre le vicende che vedono Pasolini prendere una chiara posizione a favore del realismo nello scontro che dal 1948 opponeva i sostenitori di questo indirizzo politico-culturale ai difensori dell’astrattismo. Egli ne fa piuttosto una questione di metodo: il fatto è che, scrive Argan, la ricerca astratta vuole essere fondazione di linguaggio, mentre la grafica e la pittura, così come vengono intese da alcuni scrittori, si pongono come un esercizio utile a restituire consistenza visiva e peso di materia al codice linguistico. Per il critico d’arte, dunque, Pasolini utilizzando il disegno e la pittura con un intento narrativo non può che rivolgersi alla figurazione, funzionale a esplicitare visivamente qualcosa di «già verbalmente (e sia pure mentalmente) descritto».[2] E questo dipingere da poeta, come osservano al contempo Mario De Micheli e il pittore Giuseppe Zigania nello stesso catalogo del 1978, appare con evidenza anche allo spettatore che oggi si addentra nelle sale della mostra. Attraverso un chiaro e lucido allestimento, il percorso espositivo prende avvio da un primo nucleo di dipinti e disegni degli anni Quaranta, radunati attorno al tema della corporeità, propria e altrui. Questo soggetto, affrontato in ambito letterario e cinematografico da Pasolini, appare in questa sede ben messo a fuoco anche attraverso il medium della pittura e della grafica. Segue la presentazione di alcune opere – paesaggi, volti, composizioni – realizzate dall’autore durante il suo soggiorno nel paese materno di Casarsa della Delizia, in Friuli, luogo prima di vacanze estive, poi di rifugio durante gli anni della guerra, e infine residenza fissa del poeta sino al 1950.

Una componente ‘narrativa’ è visibile fin dalle prime opere esposte, ma appare con maggiore evidenza nella ben distinta parete dedicata agli autoritratti dello scrittore, genere su cui Pasolini si applica con assiduità. Fra questi campeggia il celebre Autoritratto con fiore in bocca, del 1947, a cui viene abbinato, come se fosse un dittico, un dipinto di medesimo soggetto realizzato però dall’amico pittore Federico De Rocco. Non soltanto l’autoritratto permette allo scrittore di raccontare di se stesso attraverso una simbologia visiva di antica tradizione, ma la narratività, propria del genere, viene rimarcata dall’espediente del quadro nel quadro, ricorrente in diversi dipinti di Pasolini. La dimensione del racconto che si dà attraverso delle forme visive si esplicita anche nella frequente scelta dello scrittore di dipingere sia sul recto sia sul verso della tela, come se questa fosse la pagina bianca di un taccuino. I curatori risolvono la difficile presentazione di questi lavori bifronti ponendoli al centro delle sale, in modo che scandiscano il percorso dello spettatore. Il carattere letterario del corpus grafico e pittorico pasoliniano è evidente anche nelle numerose incursioni della scrittura nelle opere. Individuando due esempi distanti nel tempo, si possono citare i casi del recto/verso del 1944, dove Pasolini su di un lato ritrae il volto della nonna Giulia Zacco Colussi, appena scomparsa, e sull’altro annota a matita un suo ricordo affettuoso; e di quel doloroso autoritratto, un disegno non datato, ma probabilmente risalente agli anni Settanta, in cui l’autore traccia in ripetizione la forma della sua bocca, a cui abbina in basso la frase «il mondo non mi vuole più e non lo sa».

Il ritratto e l’autoritratto sono i generi più affrontati dall’autore. Questi, infatti, si intervallano con cadenza regolare nella mostra, rendendo esplicito allo spettatore quali variazioni stilistiche subentrino nel corso degli anni nella pittura e nella grafica di Pasolini. Esemplare è il Ritratto di Andrea Zanzotto del 1974, dove, benché non si arrivi a rinnegare la dimensione figurativa, vengono sperimentati motivi riconducibili a una pittura gestuale.

Durante il percorso espositivo si ha modo di osservare come il ritratto venga utilizzato da Pasolini per fissare i volti dei suoi cari, o di quei personaggi che ruotano attorno al suo mondo artistico. Fra questi, segnaliamo le numerose prove grafiche che vedono come protagonista Maria Callas e il disegno che ritrae Ezra Pound, eseguito durante un incontro fra i due avvenuto nel 1967, e documentato anche da un video in mostra.

Un discorso a sé meritano invece i numerosi ritratti che Pasolini, negli ultimi anni della sua vita, dedica a uno dei suoi maestri, Roberto Longhi. Uno scatto di Dino Pedriali ci mostra il poeta nel 1975 nella sua casa di Chia intento a disegnare il viso di Longhi, appoggiato a terra e circondato da altre copie del medesimo disegno. L’impostazione di queste prove grafiche è sempre la stessa e ricalca la fotografia dello studioso riprodotta sulla copertina del volume Longhi. Da Cimabue a Morandi, da poco pubblicato e prontamente recensito dallo stesso Pasolini su Il Tempo (18 gennaio 1974). La sua conoscenza del maestro risaliva a molti anni prima, quando, nel 1938-1939, lo scrittore, ancora giovane studente, ne seguiva i corsi bolognesi su Masolino e Masaccio. E sono gli insegnamenti del professore a determinare in lui quella ‘folgorazione figurativa’ da cui scaturisce il suo interesse per l’arte: un debito che viene riconosciuto dalla stesso Pasolini nella sceneggiatura di Mamma Roma, non a caso dedicata a Longhi.[3] Proprio al professore Pasolini aveva chiesto una tesi di laurea su «l’odierna pittura italiana», di cui ammetteva avere «una preparazione abbastanza approfondita, quasi appassionata».[4] Come è noto, i primi capitoli della tesi andarono perduti durante la fuga dell’autore, ancora studente, da Bologna nel 1943. Dopo egli avrebbe deciso di laurearsi su un altro argomento, ma l’attenzione per l’arte del proprio tempo era rimasta per lui una costante. Importanti opere appartenenti alla collezione della stessa Galleria d’Arte Moderna vengono utilizzate in mostra proprio per suggerire allo spettatore quali siano gli artisti contemporanei che rientrano nell’alveo dell’interesse di Pasolini. Fra questi possiamo citare le nature morte di Filippo de Pisis e alcune composizioni di Carlo Levi, verso le quali lo scrittore sarà debitore di quella pennellata corposa e materica riproposta anche nei suoi dipinti. Se la presenza delle opere di Toti Scialoja e di Renato Guttuso serve a ricordare allo spettatore il ruolo assunto dallo scrittore nella polemica fra pittori astrattisti e realisti, a un più articolato rapporto con l’arte contemporanea rimanda la presentazione in mostra di parte della collezione privata di Pasolini. Qui gli accostamenti sono sorprendenti: da una natura morta di Levi, un pennarello su carta che vediamo anche nelle fotografie di Aldo Durazzi ritraenti il poeta nella sua abitazione, si passa a un astratto di Zigaina; e ancora alle serigrafie di Andy Warhol, Ladies and Gentleman del 1975, sulle quali l’autore scrive un testo in occasione di una mostra monografica dedicata all’artista americano presso la Galleria Guglielmino di Milano.

La ricognizione sul rapporto di Pasolini con l’arte odierna non può escludere l’amicizia di lunga data che lo lega a Mauri. La storia di questa ‘consanguineità creativa’ viene ripercorsa a partire dall’esperienza intorno alla rivista Il Setaccio fino a giungere alla performance Intellettuale del 1975. Per ricordare invece Che cosa è il fascismo del 1971, lavoro che vede di nuovo i due collaborare fianco a fianco, troviamo in mostra un’imponente stampa della fotografia di Elisabetta Catalano che cattura Mauri e Pasolini durante una prova generale della performance, mentre il vuoto dello spazio allestitivo è riempito dalle parole de La Guinea diffuse da un altoparlante. Ed è proprio con un’opera di Mauri che la mostra termina, più precisamente con un estratto video di Intimità di Pasolini del 2005, dove l’artista condivide con lo spettatore il suo ricordo intimo dell’amico scomparso. L’esposizione appare dunque aprirsi e chiudersi sul tema della corporeità sperimentato sia nella sua presenza, nelle forme dell’autoritratto e del ritratto, sia nella sua smaterializzazione, come suggerisce il ‘ritratto in assenza’ del poeta proposto da Mauri.


1 G.C. Argan, Prefazione, in G. Zigaina (a cura di), Pier Paolo Pasolini. I disegni 1941/1975, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Braschi, 1978), Milano, Edizioni Vanni Scheiwiller, 1978, p. nn.

2 Ibidem.

3 P.P. Pasolini, Mamma Roma, Milano, Rizzoli, 1962. Cfr. anche S. Cirillo, C. Crescentini, F. Pirani (a cura di), Pasolini pittore, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana Editoriale, 2022, pp. 258-269; e sul fronte dell’impatto della storia dell’arte nella sua ricerca cinematografica cfr. M.A. Bazzocchi, R. Chiesi, G. L. Farinelli (a cura di), Pier Paolo Pasolini. Folgorazioni visive, catalogo della mostra (Bologna, Sottopasso di Piazza Re Enzo, 1° marzo-2 novembre 2022), Bologna, Edizioni Cineteca di Bologna, 2022.

4 C. Crescentini, ‘“Gettare il mio corpo nella lotta”. Pasolini pittore. Percorsi, riscontri e rifrangenze visive’”, in S. Cirillo, C. Crescentini, F. Pirani (a cura di), Pasolini pittore, p. 32. Si rimanda più in generale al catalogo della mostra, che ha anche il merito di raccogliere una selezione di testi di Pasolini sull’arte contemporanea.